Le difficoltà di gestire il territorio e la comunità di una città portuale sono state evidenziate con chiarezza oggi nel corso della lezione-evento "La città e il suo porto: nuovi scenari euromediterranei" che si è tenuta ai Magazzini dell'Abbondanza del Porto Antico di Genova (inforMARE del 21 novembre 2002).
Nel corso degli interventi dei rappresentanti delle istituzioni, che hanno preceduto le relazioni incentrate su alcune delle principali città portuali europee, il presidente della Provincia di Genova, Alessandro Repetto, ha ricordato come per Genova quella di "città portuale" sia una formula recente, anche se fondata su radici antiche. Solo recentemente - ha detto - scelte di programmazione e di pianificazione sono state condivise dalle diverse istituzioni locali, un fatto inedito rispetto ad anni fa. Sulla consapevolezza del valore della città-porto c'è però ancora molto da fare se - come ha sostenuto Repetto - questa valenza è avvertita maggiormente nel basso Piemonte, dove - ha precisato - «chi proponesse lo slogan "Alessandria città portuale" avrebbe un grande successo e notevole seguito».
Anche Marta Vincenzi, assessore alle Reti Infrastrutturali del Comune di Genova, è del parere che per lo sviluppo futuro di Genova sia necessario definire strategie, alleanze e priorità che - ha affermato - «ancora non ci sono». Secondo la Vincenzi la nuova sfida non può essere quella dell'industrializzazione, che data ormai un secolo, ma neanche quella della deindustrializzazione, in atto a Genova da qualche lustro. «Non abbiamo ancora definito - ha spiegato - quale sia il punto di forza attorno al quale la città può organizzarsi». Punto che - secondo l'assessore comunale - è rappresentato dal Mediterraneo.
La strategia - ha però ammonito la Vincenzi - «non è indolore». Da una parte ci sono gli obiettivi di crescita, che ad esempio passano - ha sottolineato l'assessore - da «un ampliamento delle banchine», dall'altro le scelte sociali e territoriali dove - secondo la Vincenzi - «Genova ha già dato, come irreversibilità delle scelte ambientali».
Aree occupate da alcuni porti europei
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Porti |
Superficie impegnata (km2)
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Gioia Tauro |
2 |
Genova | 5
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Barcellona | 8
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Le Havre | 25
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Amburgo | 43
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Rotterdam | 70
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Anversa | 113,5
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(Fonte: I porti: vincoli e opportunità - Beppe Sciutto)
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La serie delle relazioni sulle città-porto è stata introdotta dall'intervento del professor Beppe Sciutto del Centro Interuniversitario di Ricerca Trasporti dell'Università di Genova. Un intervento «con contenuti di provocatorietà», come ha premesso lo stesso Sciutto. Il docente (ed ex presidente dell'Autorità Portuale di Savona) ha parlato dell'evoluzione del trasporto marittimo e dei porti, che negli ultimi anni ha imboccato la strada del gigantismo, sia delle navi che delle aree portuali. Aree che sono estese nel nord Europa e carenti invece in Italia. Nei porti moderni l'introduzione delle tecnologie ha inoltre contribuito a far sì che, a parità di superfici, sia diminuito notevolmente il numero degli addetti. Le ricadute economiche generate da un porto sono oltretutto inferiori rispetto a quelle prodotte da attività "labour intensive". «A fronte di una ricaduta economica di non sempre consistente entità e di difficile valutazione - ha rilevato Sciutto nella sua relazione - un porto richiede grandi spazi e produce impatti negativi rilevanti sul territorio: spazi rubati alla città, sconvolgimento dell'ecosistema marino, inquinamento acustico, congestione delle arterie urbane ed extraurbane adiacenti. Tutto ciò ha finito col fare del porto un elemento ingombrante ed indesiderato, quanto meno per coloro che sono costretti a conviverci senza averne nessun vantaggio».
Aree funzionali per addetto in alcuni porti europei
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Porti |
Aree funzionali per addetto (m2)
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Savona | 410
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Genova | 450
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Livorno | 480
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Rotterdam | 1.146
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Gioia Tauro |
1.200 |
Anversa | 4.173
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Un confronto tra alternative
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| Attività labour intensive
| Terminal contenitori
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Valore aggiunto per addetto
| 80.000 |
57.000 |
Area funzionale per addetto
| 10 - 12 m2
| 1.650 m2
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Investimenti per addetto
| 32.000 |
300.000 |
(Fonte: I porti: vincoli e opportunità - Beppe Sciutto)
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Questi fattori negativi sono ancor più evidenti nei porti italiani, penalizzati dalla carenza di spazi ed aree rispetto ai concorrenti nordeuropei. Per gli scali italiani - ha detto Sciutto - «un'alternativa sarebbe quella di fare sistema, mentre invece ogni autorità portuale va con le proprie gambe».
Nei confronti delle comunità invece - ha precisato Sciutto - è necessario che «si abbia coscienza che il porto è un servizio». «Se riconosciamo che la portualità è un servizio necessario al Paese/continente - ha scritto nella sua relazione - dobbiamo anche riconoscere che, per la città che lo ospita, il complesso delle attività legate al porto non rappresenta una scelta ottimale, dal punto di vista economico, ambientale ed occupazionale, rispetto a tutti i numerosi usi alternativi che delle medesime aree portuali la città potrebbe fare. Siccome i benefici legati alla presenza di un porto marittimo si estendono oltre i confini della regione che lo ospita, secondo il principio di sussidiarietà sarebbe opportuno che, a livello sovraregionale, venissero concertate misure di compensazione degli impatti negativi esercitati dalle zone portuali. Tali misure dovrebbero essere individuate in sede di pianificazione economica e territoriale». In sostanza - ha detto - «le istituzioni locali potrebbero fare un elenco della spesa da presentare a regioni e governo per avere un qualche tipo di ritorno». Un ragionamento che non fa una grinza. Semmai sembra scontrarsi con la tendenza a decentrare le competenze e le risorse per dare vita ad una forma federalista dello Stato. In assenza di un intervento del governo centrale, saranno disposte le regioni limitrofe a quelle portuali a sobbarcarsi gli oneri sociali e ambientali straordinari che gravano sulle comunità delle città-porto?
Bruno Bellio
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