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AMBIENTE
La strada per la decarbonizzazione dello shipping deve essere definita dalle autorità di regolamentazione
Un'indagine di Global Maritime Forum, Global Centre for Maritime Decarbonisation e Mærsk Mc Kinney Møller Center for Zero Carbon Shipping evidenzia che attualmente gli armatori possono solo programmare l'uso in futuro di un mix di e-fuel. Il rapporto conferma i limiti del GNL
Copenhagen
20 aprile 2023
Una strada certa che gli armatori potranno percorrere per raggiungere l'obiettivo di decarbonizzare le loro flotte non c'è. Lo ripetono da mesi, ormai da anni, le principali rappresentanze internazionali del settore e lo conferma una nuova indagine su come si stanno muovendo le principali compagnie di navigazione per ottenere, con l'utilizzo di combustibili più ecologici, l'abbattimento delle emissioni di carbonio prodotte dalle loro navi che è stata realizzata dal Global Maritime Forum, dal Global Centre for Maritime Decarbonisation e dal Mærsk Mc Kinney Møller Center for Zero Carbon Shipping con il supporto della McKinsey & Company.
L'esito del sondaggio, realizzato intervistando compagnie che rappresentano circa il 20% della capacità delle flotte mondiali di navi di tutte le differenti tipologie, è che gli armatori e manager di flotte dovranno prepararsi ad un futuro di navi che possano operare con tre o più “famiglie” di carburanti. Secondo le risultanze dell'indagine, infatti, entro il 2050 il mix più comune di fuel che verrà usato, secondo il 45% degli intervistati, sarà costituito da olio combustibile/biodiesel, metano, metanolo e ammoniaca. «Il settore - ha rilevato Bo Cerup-Simonsen, direttore del Mærsk Mc-Kinney Møller Center for Zero Carbon Shipping - dovrà pensare in modo strategico sul modo di gestire flotte multicarburante, e i carburanti verdi dovranno essere introdotti in modo sicuro ed economico al fine di renderli l'alternativa preferita agli attuali prodotti petroliferi».
L'indagine fa anche il punto su quali, allo stato attuale, sono i fuel attualmente utilizzati nel settore del trasporto marittimo e quali potranno essere quelli in futuro usati dalle navi per decarbonizzarsi, a partire dalla “famiglia” dei fuel petroliferi come l'olio combustibile pesante (HFO), il gasolio marino (MGO), l'olio diesel marino (MDO), ovvero i combustibili fossili più comunemente attualmente in uso che possono essere decarbonizzati solo con il ricorso a sistemi di cattura del carbonio a bordo delle navi. È una famiglia che include il biodiesel, cioè un carburante “drop-in” che brucia nei motori a combustione interna attualmente utilizzati dalle navi e che - specifica l'indagine - può fornire fino al 50-90% di decarbonizzazione rispetto a HFO, MGO e MDO, ma presenta vincoli proprie delle materie prime biologiche, dato che queste materie prime sono richieste anche per essere utilizzate come carburanti in altri settori come l'aviazione, ed ha inoltre un limitato potenziale di riduzione dei costi dato che i processi di produzione sono ormai maturi. L'indagine precisa che i biodiesel di seconda generazione, che potrebbero vantare credenziali di sostenibilità più consistenti rispetto agli attuali biodiesel disponibili sul mercato, richiedono tuttavia un'ulteriore maturazione tecnologica.
Un'altra famiglia di combustibili per il settore navale è quella del metanolo. L'indagine spiega che il biometanolo, che è derivato da materie prime biologiche, può essere un combustibile a emissioni zero su una base “well to wake” e già oggi ci sono motori marini che possono bruciare metanolo. Si tratta - precisa il rapporto - di un liquido a temperatura ambiente e quindi può essere movimentato e immagazzinato. Tuttavia ha un potenziale di riduzione dei costi limitato a causa di un processo di produzione anch'esso ormai maturo. Quanto all'e-metanolo derivato dall'idrogeno verde e dalla CO2 catturata, l'indagine rileva che se attualmente risulta più costoso del biometanolo, probabilmente in futuro diventerà più economico a lungo termine dato che i costi delle energie rinnovabili e dell'idrogeno verde diminuiranno. Tuttavia sarà sempre più costoso dell'e-ammoniaca, poiché quest'ultima è prodotta dall'azoto che è abbondantemente disponibile nell'aria.
L'indagine prende quindi in esame i combustibili liquefatti/criogenici. Relativamente al metano, lo studio spiega che il gas naturale liquefatto, che è un combustibile fossile, riduce le emissioni di CO2 rispetto all'olio combustibile pesante di circa il 20% su base “tank to wake”. Tuttavia, su base well to wake, le emissioni di CO2 derivanti dalla produzione e dal trasporto di GNL, combinata con i problemi delle emissioni climalteranti lungo la catena del valore, fanno sì che il GNL abbia, in alcuni casi, un'impronta di gas serra peggiore rispetto al fuel oil tradizionale. Quanto al biometano/bio-GNL, che è derivato da materie prime biologiche, lo studio osserva che, sfruttando le infrastrutture di GNL esistenti (stoccaggio, bunkeraggio e navi), questo combustibile può essere utilizzato per sostituire il GNL di origine fossile, ma può anche affrontare problemi derivanti dalle emissioni climalteranti del metano. Inoltre presenta un potenziale di riduzione dei costi relativamente limitato perché i processi di produzione sono maturi. Relativamente all'e-metano/e-LNG, che è derivato dall'idrogeno verde e dalla CO2 catturata e sfrutta l'infrastruttura GNL esistente, ha una struttura dei costi simile all'e-metanolo ed è anche più costoso dell'e-ammoniaca. Lo studio spiega che la CO2 viene emessa durante la combustione; tuttavia se proviene da CO2 biogenica o DAC, l'e-metano è generalmente considerato carbon neutral su base well to wake, ma potrebbe incontrare i problemi climalteranti del metano durante il processo di combustione, specialmente nei motori a quattro tempi a media velocità. Quanto all'idrogeno verde/blu, l'indagine osserva che, data la svantaggiosa densità di energia per unità volumetrica, l'idrogeno puro, probabilmente in forma liquefatta, sembra avere più probabilità di trovare un mercato solo in segmenti di navigazione a corto raggio come quelli dei rimorchiatori, dei traghetti, delle navi per l'industria offshore e, potenzialmente, delle navi da crociera. Lo studio precisa infine che le celle a combustibile a idrogeno costituiscono un possibile caso d'uso, ma devono ancora essere sottoposte a stress test su larga scala in un ambiente marino.
L'indagine prende poi in considerazione i carburanti refrigerati a partire dall'e-ammoniaca, che è derivata dall'idrogeno verde e dall'azoto estratti dall'atmosfera ed è veramente un combustibile a zero emissioni di carbonio e - sottolinea lo studio - ha i costi più allettanti di qualsiasi altro e-fuel, oltre a presentare un'interessante traiettoria di riduzione dei costi data la riduzione dei costi delle rinnovabili e dell'idrogeno verde. Tuttavia - precisa il rapporto - l'ammoniaca è tossica, quindi le perdite e la sicurezza sono una delle principali preoccupazioni e un motore ad ammoniaca non sarà disponibile in commercio fino alla metà di questo decennio. Inoltre l'ammoniaca deve essere conservata in serbatoi refrigerati che possono ridurre la capacità di carico delle navi e la combustione dell'ammoniaca può creare protossido di azoto (N2O), un gas serra più potente della CO2, problema che può essere affrontato con la messa a punto del motore e con l'utilizzo degli scrubber. Quanto all'ammoniaca blu, che viene prodotta tramite idrogeno blu e azoto estratto dall'atmosfera, è considerata un combustibile a basse emissioni di carbonio e la sua economicità è legata alla sua capacità di realizzare economie di scala, al costo del gas naturale e al costo della cattura e dello stoccaggio del carbonio. Inoltre, a bordo della nave affronta le stesse sfide dell'e-ammoniaca, tra cui tossicità, disponibilità del tipo di motore, stoccaggio e potenziali emissioni di protossido di azoto.
Infine l'indagine ha preso in esame il nucleare che - spiega il documento - è la cosa più vicina alla navigazione a zero emissioni di carbonio oggi utilizzata, ad esempio dalle marine militari e dalle navi rompighiaccio. Si tratta tuttavia di una fonte d'energia che deve ancora superare questioni di carattere ambientale, normativo, economico e di accettazione da parte della società prima che possa essere adottata su larga scala per la navigazione commerciale.
Se il quadro dei combustibili disponibili per la decarbonizzazione dello shipping attualmente è questo, i partner che hanno realizzato il rapporto hanno sottolineato che la strada per la decarbonizzazione dello shipping deve essere chiaramente indicata dalle istituzioni: «per raggiungere un futuro a emissioni zero - ha evidenziato la direttrice del Global Maritime Forum, Johannah Christensen - il settore ha bisogno di un quadro normativo più ambizioso con chiari obiettivi di riduzione delle emissioni e di politiche di sostegno volte a colmare il divario di costo tra i combustibili verdi e i combustibili fossili che attualmente alimentano la flotta mondiale. Prima si fa chiarezza su obiettivi e politiche - ha rimarcato Christensen - e prima questi potranno essere realizzati e sarà più facile per le compagnie definire una strategia su come raggiungere gli obiettivi. In questo processo il ruolo delle autorità di regolamentazione sarà cruciale. In particolare lo sarà l'esito dei negoziati in corso presso l'International Maritime Organization».
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