Se a salvaguardare l'attività del porto di Gioia Tauro ci
pensassero solo Cgil, Cisl e Uil, sarebbe meglio che lo scalo
portuale calabrese si trovasse altri santi protettori. Sì
perché, a giudicare dal modo in cui i rappresentanti
regionali dei tre sindacati hanno lanciato l'allarme perché -
hanno fatto sapere - il porto «rischia realmente la chiusura a
causa della direttiva europea sulla riduzione delle emissioni in
atmosfera nel settore marittimo», si desume che i segretari
generali regionali di Cgil, Angelo Sposato, Cisl, Tonino Russo, e
Uil, Santo Biondo, della nuova norma europea ne sappiano assai poco
e quindi che del suo possibile impatto negativo sullo scalo portuale
calabrese ne siano venuti a conoscenza per vie traverse e non
abbiano ben compreso perché questo rischio sussiste.
«Come sta emergendo, infatti - hanno spiegato Sposato,
Russo e Biondo per i quali, evidentemente, la questione è
nuova - la direttiva entrerà in vigore dal primo gennaio 2024
e c'è il rischio, per non dire la certezza, che le compagnie
di trasbordo, al fine di non rischiare multe pesantissime,
delocalizzino la propria attività in altri porti, al di fuori
dell'UE». A quanto pare chi ha riferito ai tre sindacalisti
dei contenuti della direttiva e delle possibili ripercussioni
sull'attività del porto di Gioia Tauro non ha ben chiarito
che si tratta del pagamento di quote di emissioni in cui potrebbero
incorrere gli armatori che fanno scalare le loro navi al porto
calabrese e non di sanzioni.
«È necessario, dunque - hanno ammonito Sposato,
Russo e Biondo - che il governo e la Regione intervengano
immediatamente perché l'UE dia alle compagnie marittime il
tempo di operare una riconversione del sistema di emissioni».
E quindi, dalla babilonia di voci dalle quali i rappresentanti
regionali di Cgil, Cisl e Uil hanno appreso del possibile rischio,
Sposato, Russo e Biondo hanno dedotto - a quanto sembra di capire -
che alle compagnie di navigazione debba essere concesso tempo per
fare che cosa non si sa, se non - come hanno avvertito altri più
consapevoli di loro - modificare le rotte delle loro navi per
evitare scali in porti, come Gioia Tauro, che farebbero scattare
l'obbligo dei pagamenti.
«Sono in pericolo - hanno denunciato Sposato, Russo e
Biondo - migliaia di posti di lavoro ed è in discussione
anche il futuro stesso del porto di Gioia come hub strategico nel
Mediterraneo». Futuro che potrebbe essere compromesso anche
dalla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, che
rappresenterebbe un ostacolo al passaggio delle navi più alte
sulla superficie del mare, come più volte segnalato dal
nostro giornale sulla base degli avvertimenti espressi a tale
riguardo dal gruppo armatoriale MSC che non solo è l'unico
terminalista del porto di Gioia Tauro attivo nel settore dei
container ma è anche la compagnia che praticamente tiene in
vita lo scalo calabrese indirizzandoci le proprie portacontenitori.
Ma visto che questa è storia meno recente rispetto agli
allarmi sulla direttiva europea percepiti tardivamente dai tre
sindacalisti, confidiamo che Sposato, Russo e Biondo abbiano già
affrontato quest'altra questione che potrebbe anch'essa
compromettere l'esistenza del porto.