ASSOCIAZIONE PORTI ITALIANI
(ASSOPORTI)
RELAZIONE DEL PRESIDENTE
sen. FRANCESCO NERLI
ALLA 39ª ASSEMBLEA
Roma
13 giugno 2000
Autorità, illustri ospiti, amici e colleghi, nel porgervi
il mio saluto desidero ringraziarvi per essere intervenuti alla
nostra assemblea. Un particolare ringraziamento è rivolto
al sottosegretario, il Sen. Occhipinti, ai parlamentari ed alle
autorità presenti. Come di consueto mi è doveroso
premettere che con questa relazione non intendo esaminare tutte
le questioni relative al comparto marittimo portuale, ciascuna
delle quali meriterebbe, per un adeguato approfondimento, uno
spazio che va oltre quello disponibile. Ho scelto, pertanto, di
limitarmi solo a quelle principali e ad alcune considerazioni
di riferimento e d'impostazione generale.
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Francesco Nerli
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Il quadro di riferimento
Come è noto a quanti operano nel settore, la domanda di
trasporto è una domanda in buona parte determinata da fenomeni
esterni al settore stesso. In un'economia integrata e in un sistema
plurinazionale aperto al mercato, il trasporto è funzione
dell'andamento della produzione, degli scambi e del reddito nazionale
ed internazionale. L'andamento dei traffici marittimi mondiali,
nell'ultimo anno non particolarmente esaltante, va quindi valutato
tenendo conto dei trascinamenti negativi che nel corso del 1999
sono stati provocati: dalla crisi economica che aveva interessato,
a partire dal 1998, aree geografiche tradizionalmente forti, quali
il Giappone e le cosiddette altre "tigri" asiatiche
(Hong Kong, Corea, Singapore, Taiwan); da una crescita del PIL
nazionale di circa l'1,4% rispetto l'anno precedente e di una
produzione industriale che era rimasta sostanzialmente stabile.
In questo contesto va letto il dato sull'andamento complessivo
del traffico registrato nei principali porti italiani, sostanzialmente
fermi nel '99 - come dicevo - sugli stessi volumi complessivi
dell'anno precedente. All'interno di un dato solo apparentemente
non brillante, testimone di una fase riflessiva e d'assestamento,
va però evidenziata la crescita del traffico delle rinfuse
solide e delle merci varie. Entrambe hanno confermato un consolidato
trend positivo, così che il risultato nazionale globale
risulta di fatto determinato dalla sola contrazione delle rinfuse
liquide (prevalentemente petrolifere) componente merceologica
meno "ricca" e in grado di generare un minore indotto.
Si deve però altresì sottolineare l'andamento ancora
crescente del movimento di contenitori ben oltre la soglia di
6 milioni di TEU imbarcati e sbarcati e, in questo segmento di
traffico, la posizione preminente dei porti italiani nel Mediterraneo.
Risultati positivi si registrano per il traffico croceristico,
che ha visto una crescita dei passeggeri transitati per i porti
italiani del 7,4% per un totale di 2.300.000 persone.
Fermenti positivi risultano anche per ciò che riguarda
il traffico di breve e medio raggio.
I primi dati riguardanti l'anno 2000, nonché le previsioni
per i prossimi anni, elaborate da istituti di ricerca, forniscono
indicazioni incoraggianti. Il P.I.L. è previsto in crescita
del 2,9% nell'anno in corso e ben oltre il 3% nel 2001. Gli investimenti
fissi lordi sono in crescita, quelli in macchinari ed attrezzature
dovrebbero aumentare nel 2000 almeno del 7%. Gli ultimi risultati
e le previsioni riguardanti l'occupazione segnano una tendenza
favorevole. Tutti questi debbono essere considerati segnali importanti.
In un contesto in precedenza non del tutto favorevole quindi,
la crescita degli ultimi anni e le favorevoli attese testimoniano
la capacità concorrenziale indotta dall'assetto normativo
della legge di riforma portuale, dalle iniziative degli operatori,
delle imprese, del mondo del lavoro e delle Autorità Portuali.
Al contempo, però, va riaffermata l'esigenza di rafforzare
questa capacità concorrenziale e competitiva del sistema
portuale Italia, che per la sua collocazione nel centro del Mediterraneo
è ponte tra le aree geografiche ed economiche che vi si
affacciano e potenziale snodo tra le rotte infraoceaniche dell'Atlantico
e dell'oriente che transitano in questo mare.
Tale esigenza di rafforzamento della concorrenzialità e
della competitività sembra ancora maggiore, tenuto conto
del valore aggiunto che deriva, in termini economici e d'opportunità
occupazionali, dalla capacità di trasformare i porti da
semplice interfaccia modale a centri della logistica avanzata.
Nodi cui fanno capo attività di magazzinaggio, svuotamento
e riempimento delle unità di carico, trasporto, ridistribuzione
dei prodotti e loro trasformazione. Ma anche attività che
potremmo definire immateriali, di software, che occorre integrare
utilizzando le nuove tecnologie telematiche, quali la gestione
e l'organizzazione dei flussi, delle attività assicurative
e doganali, il supporto in genere delle attività di distribuzione
e trasporto che tanto incidono sui costi di produzione delle aziende
manifatturiere. Ci riferiamo in sintesi al ruolo rivestito dai
porti nell'ambito dell'economia nazionale e regionale.
A fronte d'obiettivi d'alto livello, quali concorrenzialità
e competitività globale, è del tutto evidente l'esigenza
di un'azione altrettanto globale o, meglio ancora azioni coordinate
e coerenti in sede comunitaria, nazionale e locale in grado di
rendere adeguati, efficienti ed efficaci tutti i diversi aspetti
e soggetti che concorrono a fornire i servizi portuali.
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Il livello comunitario. Le politiche dell'Unione Europea
Fin dalla fine del 1997 l'Unione Europea ha collocato il settore
portuale al centro della sua attenzione e del dibattito nelle
sedi istituzionali europee. Le premesse e le motivazioni erano,
e sono ancora oggi, pienamente condivisibili: necessità
di un settore portuale moderno, efficiente e competitivo che contribuisca
all'attuazione del principio della mobilità sostenibile;
raggiungimento del Mercato Unico; sviluppo di un sistema di trasporto
più equilibrato, promovendo soluzioni di trasporto più
ecologiche.
Ma alcune modalità proposte per il raggiungimento di questi
obiettivi continuano a suscitare in noi riserve. Già due
anni fa in questa sede abbiamo presentato alcune considerazioni
circa il "Libro Verde", in particolare riguardo alla
equiparazione di fatto del finanziamento delle infrastrutture
con gli aiuti di Stato. Successivamente abbiamo manifestato riserve
circa il cosiddetto "Libro Bianco", per quella parte
che prevede di fare carico agli utilizzatori del porto dei costi
di realizzazione delle infrastrutture, adottando sistemi di computo,
cosiddetti costi sociali marginali, che appaiono penalizzanti
proprio per le realtà, come quella italiana, che necessitano
di forti investimenti infrastrutturali incrementali, seppur concentrati
nei porti maggiori.
Nel confermare queste considerazioni, mi sembra utile porre l'accento
sul fatto che il dibattito, avviato da tempo, ancora non consente
di individuare una chiara linea di finalizzazione al riequilibrio
tra le varie parti e regioni geografiche dell'Unione Europea,
questo in particolare modo a beneficio dell'area mediterranea
che, per la richiamata funzione di transito interoceanico di questo
mare interno, ha potenzialità geoeconomiche non trascurabili,
addirittura in grado di competere con la zona tradizionalmente
forte nel "North Range", se si elimineranno i colli
di bottiglia e si realizzeranno le connessioni mancanti porto
territorio e porto hinterland, a partire dagli assi di collegamento
ferroviario.
Recentemente in sede ESPO (European Sea Ports Organisation), che
è l'Assoporti europea, il Commissario Europeo Loyola De
Palacio, responsabile del settore, ha fatto presente che non sembrano
assimilabili agli aiuti di Stato gli interventi di finanziamento
delle infrastrutture ad uso generale; di quelle per i traghetti;
delle opere di collegamento tra il porto e il territorio. Tutto
ciò viene da noi valutato favorevolmente, come un passo
in avanti. Così come analogo giudizio favorevole esprimiamo
per la rinnovata e rafforzata attenzione per la navigazione a
corto raggio, il cosiddetto "Short Sea Shipping", sempre
che questo concetto non venga ristretto ai soli collegamenti infracomunitari
ma ricomprenda anche i collegamenti all'interno dell'intero bacino
mediterraneo, come indicato nella comunicazione "Lo sviluppo
del trasporto marittimo a corto raggio in Europa" (COM(1993)317
Def.). Di contro, non può essere sottaciuto come i più
recenti documenti sul riesame della politica comunitaria dei trasporti,
per tutti basta il documento di lavoro della Commissione Europea
titolato "I trasporti nell'Unione Europea fino al 2020",
sembra sottovalutino il settore marittimo-portuale. Proprio questo
documento, infatti, trascura la componente marittima, maggioritaria
nel trasporto da e verso i paesi terzi ed extraeuropei; non fa
riferimento allo sviluppo della rete TEN ed alla necessaria maggiore
attenzione che deve essere riservata agli scali marittimi all'interno
della rete che sarebbe vanificata dall'impostazione del "Libro
Verde"; non valuta il positivo apporto alla diminuzione dei
costi monetari e socioambientali che potrebbe derivare dallo sviluppo
del trasporto combinato strada/mare e ferro/mare e dello Short
Sea Shipping.
Dobbiamo quindi porci l'obiettivo di dare una maggiore capacità
concorrenziale ai porti italiani, il che presuppone in sede comunitaria
un'azione delle amministrazioni dello Stato in coordinato raccordo
anche con le Autorità Portuali, cui il legislatore ha attribuito
il ruolo anche di soggetti della politica portuale, finalizzata,
a nostro avviso, almeno a tre questioni principali:
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assicurare che le politiche dell'Unione Europea garantiscano un
patrimonio infrastrutturale omogeneo tra le diverse aree geografiche;
a consentire una più intensa utilizzazione della modalità
marittima;
all'adozione di misure conseguenti e coerenti con questi obiettivi,
anche per quanto riguarda la destinazione delle risorse comunitarie.
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Non sfugge infatti - e lo cito solo a titolo di esempio - che
al trasporto marittimo e ai porti, sia nel 1997 che nel 1998,
è stata destinata una quota delle risorse TEN pari a circa
il 2%.
Tra i vari temi riguardanti la portualità che si dibattono
nelle sedi comunitarie, oltre agli argomenti degli aiuti di Stato
e della revisione del TEN-T, la rete transeuropea di trasporto
appunto, sui quali abbiamo cercato in sede ESPO di trovare una
linea di pensiero comune con i rappresentanti degli altri porti
comunitari sud Europei, merita una citazione l'argomento della
trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e
le imprese pubbliche, oggetto tra l'altro di una comunicazione
del dicembre '99 della Commissione riguardante un progetto di
modifica della direttiva 80/723/CE. A questo riguardo è
necessario considerare attentamente le specificità delle
diverse portualità. In Italia - lo ribadiamo ancora una
volta - le Autorità Portuali sono soggetti autonomi, con
propri bilanci leggibilissimi, e non possono svolgere attività
imprenditoriali o fornire direttamente servizi, salvo casi eccezionali,
o residuali. Viceversa molti porti nordeuropei sono strettamente
legati o addirittura incardinati nelle municipalità o land
regionali; taluni hanno compiti tanto autoritativi, quanto gestionali
in concorrenza con operatori privati.
Questo, ancor più del problema del finanziamento delle
infrastrutture, sembra non contribuire al corretto dispiegarsi
della concorrenza e non rende chiare le relazioni finanziarie
tra gli Stati e i porti. Per questo motivo costituisce un tema
importante di confronto e d'approfondimento in sede associativa,
ma noi riteniamo anche in sede di Governo e di Commissione Europea.
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L'adeguamento infrastrutturale
Tornando agli aspetti infrastrutturali, la leva e il livello comunitario
non sono gli unici su cui agire per perseguire il riequilibrio
delle dotazioni infrastrutturali tra il versante portuale settentrionale
dell'Europa e la sponda mediterranea, anzitutto l'Italia. Il Governo
e il Parlamento hanno dimostrato di avere presente la portata
del problema, visto che nella legge finanziaria del 2000 si prevede
il rifinanziamento del programma di ammodernamento e riqualificazione
dell'articolo 9 della legge 413/1998 per importi che appaiono
quantificabili in circa 850-900 miliardi.
Segnale importante e coerente ma provvedimento non risolutivo.
Non risolutivo: in considerazione, intanto, di una valutazione
del fabbisogno stimata, per i soli porti sede d'Autorità
Portuale, nel 1998, in circa 3.500-4.000 miliardi (senza contare
gli occorrenti investimenti per ammodernare la rete ferroviaria
portuale), in considerazione delle nuove esigenze che nascono
dall'importanza riconosciuta a tutti i livelli, di recente anche
dalla massima autorità in carica dello stato, al cabotaggio;
del fatto che se la competitività del sistema trasportistico
e portuale italiano si gioca sulla creazione di piattaforme e
reti di nodi logistici integrati, tale partita può essere
giocata solo mediante il rafforzamento dell'infrastruttura disponibile
nel territorio. A questo proposito vorrei citare il recente studio
del CNEL "La logistica come strategia produttiva": un
territorio caratterizzato da una maglia infrastrutturale ancora
inadeguata.
Pur tenendo presente le esigenze e le compatibilità del
bilancio dello Stato - ma qui vorrei, aprendo una parentesi, dire
che forse questo è un settore, quello delle reti fisiche,
nel quale investire le risorse che arrivano dalle reti immateriali
e della cosiddetta new-economy - è quindi necessario ribadire
che ancora molto deve essere fatto. Segnali importanti in questo
senso si auspica siano presenti già nel prossimo documento
di programmazione economica e finanziaria - ne fa cenno nella
sua lettera, per la quale ringrazio, il Ministro Bersani. La carenza
di investimenti, anche in presenza di politiche di risanamento
finanziario, genera effetti negativi sulla capacità di
crescita del paese. Una scarsa infrastrutturazione aumenta inevitabilmente
il costo della localizzazione produttiva, peggiorando la competitività
del sistema paese.
Gli sviluppi in materia d'investimenti pubblici per opere portuali
si rendono quindi necessari sia sul piano quantitativo sia su
quello del metodo.
Vorrei notare infatti come, a quasi due anni dalla legge 413/1998,
solo da pochi giorni le Autorità Portuali hanno certezza
e conoscenza esatta delle risorse su cui potranno contare, e quindi
solo da oggi possono, di fatto, avviare i primi interventi di
adeguamento che corrispondono ad una minima parte di quelli individuati
dal Ministero dei Lavori Pubblici fin dal 1990. Per le risorse
previste nella legge finanziaria 2000 sembra quindi urgente -
vorrei dire che i tempi indicati nella lettera del Ministro mi
sembrano un po' troppo lunghi - dare corso alla fase di definizione
del programma, riattivando immediatamente la procedura concertata,
lo specifico Gruppo di Lavoro tra i soggetti della politica infrastrutturale
di trasporto: il Ministero dei Trasporti e Navigazione, il Ministero
dei Lavori Pubblici, del Tesoro, Assoporti e le Regioni.
Ma tale metodologia di lavoro, riteniamo possa essere attivata
anche con buoni risultati per le altre risorse disponibili per
il settore, al di là della specifica tabella di bilancio,
in una logica di sinergia tra i diversi settori dell'Amministrazione
statale e le Autorità Portuali, tanto più nella
prospettiva di un riassetto a breve termine del modello organizzativo
della pubblica amministrazione.
Una revisione dei metodi e delle procedure pare anche necessaria
riguardo alla pianificazione. La questione è complessa,
dovendosi contemperare esigenze delle comunità locali,
dell'ambiente, del porto e delle realtà economiche. Non
si ritiene per altro rinviabile, poiché in un sistema in
cui le scelte corrono alla velocità degli impulsi elettronici,
non sembra possibile che processi determinanti quali la pianificazione
e la realizzazione delle opere siano assoggettate a procedure
defatiganti o di durata imprecisata, anche se (vorrei essere chiaro
a questo proposito) non penso a forme di deregulation e a procedure
senza vincoli.
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Politiche di sviluppo del cabotaggio e della navigazione a
corto raggio
Alle esigenze e alla problematica dell'adeguamento qualitativo
e quantitativo della dotazione infrastrutturale si collega, ed
in parte si sovrappone, la questione dell'adozione di adeguate
politiche di sviluppo del cabotaggio e della navigazione a corto
raggio. Ciò ancor più tenendo conto che il legislatore
ha collegato i due aspetti, allorché ha parlato, con la
legge 488/1999, la finanziaria scorsa, di rifinanziamento della
legge 413/98 e delle "Autostrade del Mare". Se tale
legame esiste, non può essere inteso nel senso che una
quota del fabbisogno, prudenzialmente quantificata in 3.500 miliardi
per il solo "riallineamento" infrastrutturale dei principali
porti in funzione concorrenziale e competitiva, venga soddisfatta
con interventi finalizzati al cabotaggio nazionale. Tale finalizzazione,
per la gran parte dei porti, è una necessità aggiuntiva
rispetto al riallineamento e all'adeguamento infrastrutturale,
dal momento che, in tutta Europa e nel Mediterraneo, i tradizionali
e nuovi competitori dei porti italiani già hanno programmato
e prevedono di realizzare consistenti investimenti per il loro
potenziamento, nella misura di migliaia di miliardi, anche per
singoli porti, basta pensare a Barcellona.
Con queste premesse, si è comunque non solo consci che
non può essere ulteriormente rinviata un'adeguata politica
di sviluppo del cabotaggio e della navigazione a corto raggio,
ma anzi, se mi è consentito, ci stiamo lavorando da 3-4
anni. L'Italia deve onorare gli impegni presi nelle sedi internazionali
per ciò che concerne la diminuzione dei gas con effetto
serra. Conseguentemente ha la necessità di incrementare
modalità di trasporto ecocompatibili, anzitutto quella
marittima, in linea con le indicazioni dell'Unione Europea, e
non può sottrarsi dal mettere a punto adeguate azioni di
sussidiarietà. È altresì chiaro che il sistema
trasportistico nazionale, ma anche quello comunitario in molte
aree, non pare in grado di reggere incrementi di traffico che
la stessa Commissione Europea, nell'ultima comunicazione "Sviluppo
del trasporto marittimo a corto raggio in Europa", stima
in un 2% circa l'anno, sia nel settore merci, sia in quello passeggeri,
anche se è più plausibile pensare ad una cifra probabilmente
doppia, cioè il doppio del PIL, come incremento, come indicano
i dati di quasi tutti gli istituti di ricerca. L'immobilità
equivarrebbe, entro breve termine, alla paralisi del sistema trasportistico
e conseguentemente al collasso del sistema economico nazionale.
Sono necessarie quindi azioni intese ad indirizzare almeno gli
incrementi verso modalità alternative alla strada, anche
se esse non possono essere ispirate ad una mera logica di trasporto
interno o di premio che incoraggi il singolo autotrasportatore
ad optare per l'utilizzo della nave su determinate tratte. Non
solo cioè "autostrade del mare", ma sistema logistico
organizzativo che sulle rotte a ciò congeniali, soprattutto
quelle medie, privilegi un'impostazione di catena logistica intermodale
e le collaborazioni tra operatori delle diverse modalità
di trasporto e tra queste le imprese che, per le merci generano
la domanda di trasporto.
Soluzioni quindi più complesse, frutto della combinazione
di azioni diverse, in particolare ribadendo quanto Assoporti ha
esposto alla Tavola Rotonda nazionale sullo short-shipping ed
in altre occasioni, le nostre proposte sono: in primo luogo, investimenti
mirati all'adeguamento delle infrastrutture portuali alle esigenze
del traffico di cabotaggio, infracomunitario e di breve raggio;
attrezzaggio di approdi e terminali o loro porzioni specializzate,
piazzali, aree di sosta, ecc., nell'ambito della politica di potenziamento
e riqualificazione dei porti nazionali; interventi finalizzati
alla eliminazione delle strozzature e quindi all'ottimizzazione
dei collegamenti stradali e ferroviari, porto retroterra; eliminazione,
laddove ancora esistenti, di vincoli procedurali e burocratici
legati all'operazione di arrivo e partenza delle navi e di imbarco
sbarco delle merci; contenimento dei costi delle operazioni portuali
e dei servizi alla nave; sostegno ad una politica di alleanze
tra autotrasportatori, vettori marittimi e ferroviari; promozione
di azioni di marketing, sensibilizzazioni congiunte, autorità
portuale o marittima, vettori, operatori, utenti; azioni combinate,
pubbliche e private per disporre di naviglio adeguato. A riguardo
noi prendiamo atto e seguiremo con interesse e attenzione quanto
ci risulta si sta elaborando e proponendo in Confitarma agli uffici
del Ministero. Così come ci sembrano convincenti, per quanto
è nostra conoscenza, le proposte contenute in una bozza
di disegno di legge del Governo, che apprendiamo essere in discussione
in questi giorni fra i vari Ministeri interessati, che riguarderebbe
l'estensione anche alle aziende italiane nel settore marittimo
del sistema fiscale e contributivo già oggi vigente in
altri paesi dell'Unione Europea (Germania, Olanda, Spagna, Francia,
Danimarca).
Questo è evidentemente un primo contributo d'idee.
A fronte di un elemento unificante, che per il cabotaggio e lo
short-shipping è una tratta marittima breve, vi sono comunque
tipi di traffici e di navi non sempre omogenei, diverse esigenze
logistiche e regole non identiche (esempio tra il cabotaggio e
la navigazione inframediterranea).
Tutto ciò, e qui il riferimento è anche alla più
ampia problematica della infrastrutturazione e ad alcune indicazioni
dei documenti preparatori del "Piano Generale Trasporti",
si ritiene non possa essere attuato sulla base di un'analisi puramente
teorica della domanda. È invece necessario tenere conto
delle indicazioni programmatiche relative alle singole realtà
portuali elaborate dalle Autorità Portuali e dalle Aziende
Speciali per i porti e delle potenzialità del mercato.
Bisogna evitare cioè, logiche di pianificazione astratta
e centralistica, sostanzialmente antitetiche con i princìpi
ispiratori della riforma che, favorendo la competitività,
hanno determinato la crescita della portualità che si vuole
ancor più sviluppare e favorire.
All'interno di questa importante scommessa sul futuro, e della
complessiva partita del cabotaggio, si colloca altresì
l'intendimento di una maggiore utilizzazione di modalità
di trasporto alternative alla strada per le merci pericolose.
Di una opzione in tal senso cogliamo pienamente la valenza sociale
ed ambientale. Nella sola fase di avvio degli approfondimenti
su questa tematica Assoporti è stata chiamata a fornire
un contributo d'idee. Oggi, sulla base di quanto riportano le
fonti di stampa, non è ancora chiaro se in alternativa
alla strada s'intende privilegiare la sola modalità ferroviaria
o riconoscere un ruolo anche alla modalità marittima. Certo
è che alcuni porti, nell'ambito della propria programmazione,
hanno previsto interventi ed azioni al servizio di tali traffici;
che la modalità marittima sembra in grado di dare risposte
ottimali in termini di esigenze ambientali e sociali e che in
un sistema in cui il trasporto dei prodotti petroliferi e dei
grandi quantitativi dei prodotti chimici e petrolchimici è
già effettuato via mare, sembra naturale ed economicamente
più conveniente sfruttare ogni possibile sinergia.
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Ambiente e Sicurezza
L'attenzione della portualità per i traffici di merci classificate
come pericolose significa, anche, attenzione a questioni d'ordine
ambientale e alle problematiche della sicurezza. Chi ha conoscenza
nel settore sa che il mondo marittimo portuale è, di fatto,
tra quelli ad oggi maggiormente regolati in materia di sicurezza
ambientale. Credo di poter dire che per noi la sicurezza non è
un costo aggiuntivo, ma se teniamo conto proprio anche degli aspetti
economici e sociali, per noi essa è da considerare un risparmio.
Altrettanto si può sostenere con riferimento alla questione
dell'ambiente in senso generale, in particolare se teniamo conto
delle potenzialità dei porti italiani a servizio dei traffici
croceristici e della nautica da diporto, nonché del fatto
che i porti sono, quasi sempre, il water-front di aree fortemente
urbanizzate.
Noi non riteniamo che peggiorando le condizioni dei nostri mari,
o diminuendo la sicurezza, può essere migliorata la competitività
dei porti.
Il problema vero semmai è adattare le norme ambientali
alle specificità e peculiarità del porto, che non
è un'unità di gestione né uno stabilimento,
in cui operano e convivono molteplici soggetti autoritativi, operatori
di servizi con contenuto non solo economico e operatori industriali
puri.
Se in sede comunitaria nazionale non si tengono presenti questi
elementi, il rapporto porti-ambiente e le implicazioni di sicurezza
rischiano di produrre solo conflitti.
E in questo noi riteniamo necessario chiarire alcune cose. Intanto,
qual è il centro di riferimento propulsore e di responsabilità
politica in materia di regole ambientali e di sicurezza riferite
ai porti; chi in sede comunitaria, dove si fanno molte delle scelte
quadro, è portavoce delle specificità del settore;
come vengono adattate allo specifico portuale le norme in modo
da non creare incertezze per le autorità preposte ai porti
e ritardi per lo sviluppo delle attività di un porto del
suo insieme; secondo quale modello, e in che modo, devono essere
regolate nei porti sede di Autorità Portuale le materie
dell'ambiente e della sicurezza, materie sulle quali hanno competenze
più organi della Pubblica Amministrazione.
In diversi porti si sta svolgendo un'opera di sensibilizzazione
alle problematiche ambientali e si lavora a stretto contatto con
le altre Autorità competenti, per stabilire comportamenti
concertati in sede preventiva e attuativa. Come Assoporti dedichiamo
attenzione ai temi ambientali e della sicurezza esaminati all'interno
dell'associazione dei porti europei.
Ribadiamo alle amministrazioni la disponibilità a lavorare
in più stretto contatto ma contemporaneamente ci viene
naturale ribadire tre cose:
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che il ruolo centrale di riferimento per le problematiche ambientali
non può essere lasciato solo al Ministero dell'Ambiente;
le politiche di sicurezza nel settore portuale sono inscindibili
dalle politiche del trasporto marittimo e devono vedere il coinvolgimento
primario, nelle sedi nazionali e comunitarie, del Ministero dei
Trasporti e della Navigazione, delle sue strutture periferiche
e delle Autorità Portuali, oltreché delle Autorità
Marittime, che hanno compiti specifici attribuiti dalla legge
e cognizione diretta delle realtà operative;
secondo, l'applicazione di norme deve tenere conto delle specificità
dei porti;
ancora, allorché si elaborano norme in materia di sicurezza
occorre tenere presente l'esistenza di diverse autorità
che hanno competenze e non ricondurre tutti i compiti e le responsabilità
aggiuntive in capo alle Autorità Portuali, senza fra l'altro
attribuire a queste gli idonei e sufficienti strumenti per far
fronte a tali nuove attribuzioni.
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Sono diversi i temi di natura ambientale e di sicurezza sui quali
aprire un confronto serio che, senza andare a danno degli interessi
diffusi, voglio sottolinearlo, non penalizzi i porti in termini
di durata e di ripetitività degli adempimenti e delle procedure.
Tra tutti, due non appaiono rinviabili: la valutazione d'impatto
ambientale che secondo interpretazioni possibili (e anche nelle
ipotesi attualmente all'esame del Parlamento) espone i porti al
rischio di vanificare i consistenti investimenti richiesti per
la progettazione; gli escavi portuali, il cui iter procedurale,
per complessità e durata, appare spesso inconciliabile
con gli interventi che sono finalizzati talora a ripristinare
con urgenza condizioni operative minime ed una domanda del mercato
che si evolve molto rapidamente.
A tutto ciò si aggiunga la necessità di risolvere
in una logica di collaborazione la definizione piuttosto che la
separazione, dei compiti delle Autorità Portuali e Marittime
in materia di sicurezza, superando così le possibili incomprensioni
e le non utili incertezze. Sempre con riferimento all'ambiente
e alla sicurezza, esprimiamo il nostro convincimento circa la
valenza positiva del disegno di legge recentemente presentato
dall'On. Duca e da altri. Mirando a favorire un rapido ammodernamento
della flotta cisterniera, che sarebbe quindi costituita in tempi
brevi di sole navi a doppio scafo, contribuirà ad accreditare
l'immagine di un settore marittimo nazionale avanzato e migliorerà
le condizioni di sicurezza dei mari italiani e dei porti. Pertanto
auspichiamo un'ampia convergenza delle forze politiche su questa
proposta dei vari gruppi parlamentari, nonché del Governo.
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Servizi Tecnico-Nautici
Collegati con i problemi della sicurezza sono i servizi tecnico
nautici, tanto più nel momento in cui il Parlamento si
accinge a riconoscere - ci auguriamo che fra oggi e domani il
disegno di legge possa essere licenziato - agli stessi la natura
di "servizi di interesse generale, atti a garantire la sicurezza
della navigazione e dell'approdo". Inoltre la Commissione
Europea prevede a breve di elaborare una proposta di direttiva
circa tali servizi, a seguito di uno studio conoscitivo che ha
riguardato tutti i porti europei. Proprio questo studio, pur confermando
la diversità dei regimi giuridici nei singoli Stati membri,
indica quali sono gli elementi comuni nei vari Paesi: la loro
forte connotazione di servizi di interesse generale e di sicurezza;
gli obblighi di servizio in capo a chi li gestisce; l'inesistenza,
di fatto, di una situazione di mercato a causa dell'insufficienza
della domanda.
Tutto questo non farebbe prevedere interventi o indirizzi comunitari
che stravolgano una situazione di fatto e diffusa. Ma gli aspetti
di sicurezza e la connotazione quali servizi d'interesse generale
non esauriscono la problematica dei servizi portuali. Essi costituiscono
un elemento di costo non trascurabile della fase portuale ed una
componente parimenti rilevante della sua efficienza ed efficacia.
Se si vuole dare effettivo impulso allo sviluppo dei porti, allo
short-shipping, al cabotaggio, non possono essere trascurati questi
due elementi.
Prendiamo quindi atto con soddisfazione dell'iniziativa del Ministero
dei Trasporti e della Navigazione che ha avviato di nuovo la fase
di confronto sul servizio di rimorchio, e speriamo di seguito
anche nelle analoghe iniziative per quanto riguarda gli altri
servizi. Riteniamo quella sede naturale tavolo di confronto tra
tutte le parti interessate, per giungere ad una soluzione che
consenta agli utenti e ai singoli porti, anche attraverso revisioni
della modalità di tariffazione, di poter pianificare con
ragionevole certezza il costo di questi servizi e di utilizzare,
dove possibile, quelle che la Comunità definisce "alternative"
alle ordinarie modalità di erogazione dei servizi.
Lavoro portuale e relazioni sindacali
Dopo un lungo periodo di attesa, il disegno di legge A.C. 6239
sulla riforma del lavoro portuale, che in queste ore sta completando
il suo iter approvativo in Parlamento, ci sembra fornisca una
indicazione nel senso della chiarezza e per la definizione di
nodi sinora irrisolti, relativi ai cosiddetti "servizi portuali",
complementari ed accessori al ciclo delle operazioni portuali
stesse, ed alla fornitura del lavoro portuale temporaneo. Si pongono
regole e riferimenti compatibili con l'Unione Europea, che dovrebbero
porre fine alla stagione dei ricorsi, che è stata dannosa
per tutti i porti. È questo, se volete, un invito e un
auspicio. L'impianto di regole, per altro non semplici, dovrà
però essere calato in realtà che non sono omogenee.
Io voglio dirlo, Sottosegretario Occhipinti. A seguito anche delle
norme che si sono succedute nel tempo e delle peculiarità
delle singole realtà portuali, quindi riteniamo che i criteri
che saranno individuati dal decreto del Ministero dei Trasporti,
da emanarsi ai sensi dell'art. 16, dovranno essere non solo chiari
ma anche sufficientemente elastici. Così come si ritiene
utile il ricorso alla concertazione nelle sedi nazionali e soprattutto
locali, per poter meglio affrontare e gestire senza "traumi"
le revisioni, le trasformazioni ed innovazioni indotte dalle nuove
norme, non dimenticandosi dei risvolti di carattere sociale ed
occupazionale.
Connesso alla più ampia problematica delle operazioni portuali
e del lavoro portuale è collocabile il tema riguardante
il cosiddetto contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei
porti.
Non ci siamo sottratti, come Assoporti, alla sfida ambiziosa lanciata
dai sindacati di sederci ad un tavolo congiunto, insieme ad altre
organizzazioni datoriali ben diverse dalla nostra, per cercare
di individuare prima un percorso e quindi di costruire un contratto
collettivo nazionale unico di riferimento per i lavoratori dei
porti, compresi i lavoratori delle Autorità Portuali che
hanno proprie specificità. Un contratto tendente, per quanto
possibile, ad omogeneizzare trattamenti economici e normativi
in atto, derivanti da vari contratti collettivi di lavoro applicati
nel settore, molto diversificati e compositi. Come tutti i presenti
sanno, si tratta di una trattativa tuttora in corso, difficile
e delicata, poiché non si sta procedendo al tradizionale
rinnovo contrattuale, ma si va verso la faticosa costruzione di
un nuovo impianto e quindi di un nuovo contratto di lavoro, ad
una novazione contrattuale. Superata una prima fase, che potremmo
definire d'incomprensioni, che produsse come noto una rottura,
che portò dopo tanti anni ai primi scioperi nei porti,
ricomposta grazie anche ad un intervento del Sottosegretario Occhipinti,
da diverse settimane ed ora il confronto si svolge sul merito,
senza pregiudiziali e posizioni strumentali da ambo le parti.
Ciò avviene in un clima costruttivo, quel clima che ha
contribuito negli ultimi anni ad accreditare sui mercati dello
shipping la portualità italiana facilitandone la ripresa.
L'appello alla responsabilità, al buonsenso, alla collaborazione,
al fine di trovare soluzioni accettabili da ambo le parti, datoriale
e sindacale, e compatibili in termini di costi, sembrerebbe quasi
pleonastico dopo quello che ho detto se non fosse che siamo di
fronte a un negoziato molto complesso, innovativo anche per la
portata, che prosegue ed auspico possa concludersi in modo soddisfacente
in tempi ragionevoli.
Parlando di relazioni sindacali e industriali, mi sia consentito
di fare un cenno più generale al tema della cosiddetta
concertazione. L'istanza di concertazione segna tra i suoi riscontri
operativi prospettazioni ed esigenze provenienti dal variegato
mondo associativo per confrontarsi non solo su argomenti classici,
per essere sentiti da parte delle Istituzioni o della Pubblica
Amministrazione su temi significativi, quali ad esempio la politica
dei trasporti, le scelte governative in termini di infrastrutture,
le politiche fiscali e sociali; ma ci pare che si caratterizza
sempre più come l'opportunità di confrontarsi e
collaborare tra organizzazioni socioeconomiche, di categoria,
datoriali, sindacali, non già per fare azione di lobby,
ma per contribuire, ciascuno per la sua parte, responsabilmente,
a modernizzare questo paese. Per quanto ci riguarda, ciò
significa contribuire ad ammodernare il settore marittimo portuale,
cercando di accompagnare i difficili processi in atto in questo
segmento, come in tutto il comparto dei trasporti e della logistica.
Ritengo che la concertazione, pur se faticosa a volte, sia utile
soprattutto in questa fase così delicata di cambiamenti,
al fine anche di individuare tra le parti strumenti per governare
e monitorare consensualmente gli effetti sociali sulle trasformazioni,
nonché per individuare nuove e più adeguate regole
nelle relazioni sindacali e negli assetti della contrattazione
collettiva, ovviamente nel rispetto dei diversi ruoli e responsabilità
delle parti coinvolte.
Sta qui, consentitemi di dirlo, la differenza tra liberalizzazione
e deregulation, la liberalizzazione regolata e controllata consente
l'innovazione e il radicarsi di pratiche del lavoro e della formazione
utili all'impresa e al mondo produttivo, al lavoro e all'impresa.
Il contrario sarebbe un disastro.
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Autonomia finanziaria delle Autorità Portuali
Ultimo in ordine di trattazione, ma principale in ordine d'importanza
- fatecelo dire, siamo Assoporti - è il tema dell'autonomia
finanziaria delle Autorità Portuali.
Su questo tema il Governo e il Parlamento hanno già preso
impegni precisi. Il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria
'99-2001 prevedeva, infatti, di riconoscere alle Autorità
Portuali un'effettiva autonomia finanziaria. In questa direzione
ci aspettiamo una conferma di tale impegno anche nel prossimo
DPEF e che si vada presto alla presentazione al Parlamento ed
alla approvazione entro questa legislatura, di un apposito disegno
di legge. Riteniamo infatti l'autonomia finanziaria, effettiva,
l'obiettivo centrale e strategico, nonché lo strumento
adeguato per completare il processo di riforma avviato con la
legge 84/94. È in gioco non solo una forma di finanziamento
alle Autorità Portuali, ma lo stesso processo di liberalizzazione
e di apertura dei mercati. Si tratta di consentire alle Autorità
Portuali di svolgere pienamente i compiti attribuiti loro dalla
legge: promozione; programmazione; manutenzione ordinaria e straordinaria;
partecipazione ai processi di sviluppo dell'intermodalità
della logistica e delle reti trasportistiche.
Ma ancora, l'autonomia finanziaria è lo strumento attraverso
cui si consente la realizzazione degli interventi di potenziamento
e sviluppo infrastrutturale, utilizzando all'interno di un porto
parte della ricchezza che esso ha generato, che è costituita
tanto dalle tasse portuali complessivamente intese (portuale sulle
merci imbarcate e sbarcate, d'ancoraggio e erariale) quanto da
una quota, da stabilirsi naturalmente, dei diritti doganali che
il sistema paese introita sulle merci e sulle navi che transitano
negli scali marittimi nazionali, e che prudenzialmente sono calcolati
in circa 9.000 miliardi annui, nei soli porti sede d'Autorità
Portuale. Si può quindi sostenere che, attraverso la reale
autonomia finanziaria, il costo dell'infrastruttura portuale è
ripagato da chi effettivamente utilizza il porto, avvicinando
in tal modo i porti italiani alla visione della dimensione europea.
Esso è altresì lo strumento che, rendendo i porti
pienamente responsabili dell'intero processo di pianificazione
e realizzazione infrastrutturale, può favorire le intese
e le alleanze strategiche tra i porti stessi, in una logica di
complementarità che nasca dalle singole realtà.
L'auspicata devoluzione alle Autorità Portuali di parte
della ricchezza prodotta dai porti e dell'intero gettito delle
tasse portuali, non può considerarsi nell'ipotesi formulata
come un minore introito per l'erario, giacché verrebbe
compensato dal risparmio relativo al contributo del Ministero
dei Lavori Pubblici attualmente riconosciuto alle Autorità
Portuali per la manutenzione straordinaria e ordinaria delle parti
comuni degli ambiti portuali e, al compimento del processo, dallo
sgravio per lo Stato di oneri per gli investimenti in opere infrastrutturali
che verrebbero realizzate direttamente dalle Autorità Portuali.
Io credo che dobbiamo oramai essere chiari. Perché l'autonomia
finanziaria o si realizza con questo DPEF e questa finanziaria
oppure, considerando realisticamente anche il fatto che l'anno
prossimo ci saranno nuove elezioni e quindi il nuovo Parlamento
dovrà ripartire da capo, rischiamo di perdere almeno due
anni.
Di contro, se non c'è questo, nel DPEF e nella prossima
finanziaria, voglio dire con estrema chiarezza, qualora il Governo
non intendesse più perseguire questo obiettivo, è
certo che dovrà essere impegnata, con regolarità
e nel tempo, una consistente massa di risorse per garantire, una
volta ultimato il cosiddetto "piano di riallineamento infrastrutturale"
dei 3.500-4.000 miliardi, il necessario sviluppo ma anche lo svolgimento
dei compiti ordinari delle Autorità Portuali e di quelli
nuovi e urgenti, quali ad esempio l'adeguamento delle infrastrutture
ferroviarie e portuali oggetto della recente intesa fra Ministero,
ferrovie ed Assoporti, documento che presuppone proprio l'autonomia
finanziaria delle Autorità Portuali.
*****
Come detto in premessa, con questa relazione non intendevo esaminare
tutte le questioni che riguardano il mondo portuale, quelle su
cui Assoporti si è impegnata e si dovrà confrontare
con le istituzioni, le amministrazioni, le altre associazioni.
Solo una citazione per il "Piano Generale Trasporti":
sui documenti preparatori dello stesso abbiamo già fatto
conoscere e fornito al Ministero le nostre prime valutazioni.
Il tema sarà oggetto d'approfondimenti. I progressi compiuti
negli ultimi documenti sono apprezzabili e riteniamo che continuando
ad operare in uno spirito collaborativo, nel rispetto ciascuno
del proprio ruolo, si potrà contribuire alla crescita complessiva
del settore, che è fondamentale per il paese.
Ciò che ci permettiamo di dire è che bisogna fare
presto, perché il prossimo DPEF e la prossima finanziaria
contenga misure concrete che nascono dalle indicazioni contenute
nel "Piano Generale dei Trasporti".
Concludo con un auspicio di buon lavoro, a tutti voi e a noi stessi.
Grazie ai colleghi e ai collaboratori che hanno lavorato in questi
due anni, voi sapete siamo tutti in scadenza di mandato, le cariche
saranno rinnovate oggi nell'assemblea associativa che è
riservata ai soci. Vorrei ringraziare i membri del Consiglio Direttivo,
i Vicepresidenti Gallanti e Di Carlo, vorrei ringraziare il Dott.
Robba, insostituibile in questa associazione. Ma vorrei anche,
se me lo consentite concludendo, dare un saluto e anche un ringraziamento
ai dirigenti del Ministero. In questo anno c'è stata un
po' di rivoluzione, alcuni sono andati in pensione o ad altri
incarichi, il Dott. Ciliberti, la Dott.ssa Greco, il Dott. Giurgola;
grazie per il lavoro che hanno fatto, per il confronto che hanno
sempre cercato e apprezzato anche con Assoporti. Così come
vorrei fare gli auguri al Dott. Mucci, che ormai già da
tempo ha assunto il suo nuovo incarico, e al Dott. Provinciali
in particolare modo, che spero abbia anche una dotazione che gli
consenta di affrontare questa sfida in un rinnovato spirito del
lavoro dell'amministrazione che, anche per noi, è molto
importante. Non voglio dimenticare, anzi vorrei sottolineare,
lo facciamo troppo poco forse, l'aiuto, l'attenzione, l'atteggiamento
e l'approccio non geloso del Dott. Di Virgilio, Direttore Generale
delle Opere Marittime al Ministero dei Lavori Pubblici. Dico non
geloso perché prima era solo il Ministero dei Lavori Pubblici
che aveva voce in capitolo negli investimenti nei porti. C'è
stata una piccola rivoluzione, grazie anche al suo lavoro, in
questi anni. Vorrei dare un benvenuto, è un po' tardi ma
l'assemblea la teniamo oggi, all'ammiraglio Sicurezza, che ormai
da diversi mesi ha assunto il comando del Corpo delle Capitanerie
di Porto, sicuro che sapremo collaborare nell'interesse complessivo
del settore. Vi ringrazio.
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