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Nel 2004 la bandiera italiana non sventolerà più sulle navi impegnate nelle rotte marittime internazionali?
Secondo la Confederazione Italiana Armatori (Confitarma ) non si tratta di una ipotesi distante dalla realtà e neppure della trama di un film del filone catastrofico. Anzi, pronosticare l'avverarsi di quest'eventualità è amaramente facile. Gli armatori si dichiarano infatti a un passo dal decidere la "delocalizzazione" delle loro società, ovvero di trasferire all'estero i loro interessi. E sottolineano che non si tratta di una minaccia ma di una necessità, visto che in Italia la pressione normativa e fiscale non permette alla nostra flotta di reggere l'agguerrita concorrenza sui mercati internazionali.
Il presidente Paolo Clerici e lo staff dirigente dell'associazione, che rappresenta l'88,6 per cento della flotta mercantile italiana, hanno convocato la stampa per denunciare la gravità della situazione e per ricordare che in questi giorni si decidono le sorti della flotta italiana. L'appello lanciato oggi a Milano dagli armatori ha infatti il sapore della richiesta della concessione di grazia da parte di un condannato. L'ultima spiaggia per il nostro armamento - ha detto Clerici - è rappresentata dalla conversione in legge del decreto sul registro internazionale. Il provvedimento, che è già passato al vaglio del Senato, è ora in discussione alla Camera. Confitarma attende con impazienza l'approvazione da parte del secondo ramo parlamentare, ma "entro e non oltre la fine della prossima settimana. Se il decreto fosse rimandato al Senato sarebbe un disastro". Gli armatori sostengono infatti che a fronte di un ritardo "non resterebbero altre soluzioni che lasciare andare le nostre navi". "Non ci sono neppure i tempi necessari per discutere eventuali emendamenti - ha sottolineato il presidente - e il decreto va approvato così com'è, piaccia o non piaccia".
"Il registro internazionale - ha detto Emanuele Grimaldi, presidente della Commissione navigazione internazionale - è stato introdotto da tutti gli altri paesi europei", che possono quindi contare su costi di gestione e su costi fiscali competitivi.
Il vantaggio di cui godono gli altri armamenti è registrato in uno studio sulla competitività delle flotte europee realizzato dalla stessa Confitarma. Un'analisi che descrive la contrazione della flotta italiana, passata da 11.694.872 tonnellate di stazza lorda nel 1979 a 8.782.124 nel 1996 (di cui 2.178.822 in Bare-Boat). In 15 anni l'Italia ha perso 270 navi, quasi 3 milioni di tonnellate di stazza lorda e 17.500 posti di lavoro. Senza registro internazionale - ammoniscono gli armatori - le ulteriori perdite entro il 2004 potrebbero essere di 4.300.000 tonnellate di stazza lorda, di 13.000 posti di lavoro e di 14.500 miliardi di prodotto interno lordo.
Le agevolazioni fiscali introdotte dal cosiddetto registro-bis potrebbero tamponare questa emorragia. Grimaldi ha sottolineato quanto sia rilevante il ruolo della tassazione ai fini della localizzazione di un'impresa: il carico fiscale incide mediamente su questa scelta per una percentuale del 47 per cento.
Lo studio rileva qual sia il maggior costo annuo di gestione di una nave cisterna di 85.000 tonnellate di portata lorda. In Italia questo tipo di unità costa all'armatore 3.002.125 dollari USA l'anno, in Francia (che è la nazione europea con i costi di gestione più vicini a quelli italiani) 409.503 dollari in meno, in Germania il risparmio è di 662.840 dollari, in Danimarca 708.100. Seguono Belgio, Olanda, Regno Unito, Spagna Norvegia e Portogallo con costi ancora più contenuti, fino a raggiungere un maggior costo di 1.014.495 dollari della bandiera italiana rispetto a quella greca.
Per una portacontainer da 2.000 teu (costo di gestione annuo sotto bandiera italiana 2.413.380 dollari USA) lo svantaggio della bandiera italiana rispetto ad altri registri europei è di 300.760 dollari sulla Francia, di 550.055 sulla Germania, di 629.990 sulla Danimarca e sul Belgio, fino a raggiungere 847.530 dollari sulla Grecia.
Le compagnie armatrici italiane devono fare i conti con un costo di esercizio che per oltre il 50 per cento è rappresentato dall'equipaggio, contro il 37 per cento della Germania e il 33 (valore minimo in Europa) della Norvegia. L'analisi indica come in Italia le imprese marittime siano gravate da un'asfissiante pressione fiscale, con un'aliquota superiore al 40 per cento, la più alta in Europa. Nei Paesi europei dove sono stati adottati regimi fiscali particolari, come l'introduzione della tassa sul tonnellaggio (tonnage tax), la percentuale è sensibilmente inferiore: in Grecia è del 5%, per il registro spagnolo delle Canarie dell'1% e per quello portoghese di Madeira dello 0%.
I dati dimostrano - ha detto Clerici - che se il decreto non verrà ora convertito in legge l'esodo dalla bandiera nazionale non potrà che essere massiccio, un vero "crollo". Ricordando infine il processo di privatizzazione che coinvolge in questi mesi le compagnie Italia e Lloyd Triestino del gruppo Finmare ha aggiunto che "se non passa il registro internazionale sarà anche inutile parlare di cabotaggio".
Bruno Bellio
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