Genova celebra oggi il centenario della costituzione del Consorzio Autonomo del Porto. Il CAP ha concluso ufficialmente la sua funzione nel 1995. I cento anni sono stati raggiunti attraverso l'attività dell'Autorità Portuale, che ha ereditato la gestione dello scalo genovese dopo la legge di riforma portuale n. 84 del 1994.
Leggevo ieri i commenti delle istituzioni e degli operatori dell'epoca sul primo mezzo secolo di amministrazione autonoma del porto. «La celebrazione del primo cinquantenario del Consorzio - scrivevano nel 1953 i vertici del CAP - costituisce il riconoscimento del successo di un sistema amministrativo decentrato che, conciliando le esigenze nazionali con quelle locali, ha contribuito alla prosperità del principale porto nazionale».
«Dopo mezzo secolo di esperienze - sottolineava il CAP - è generalmente riconosciuto che il regime autonomo del Consorzio, che è costituito dallo Stato, dalle Province e dai Comuni direttamente interessati all'attività portuale e dalla Camera di Commercio di Genova e che accoglie le rappresentanze delle associazioni degli industriali, dei commercianti e degli armatori e delle organizzazioni dei lavoratori, ha giovato allo sviluppo del porto».
«Infatti - si riconosceva - se il porto di Genova si è via via adeguato nella sua struttura, nelle sue attrezzature e nel coordinamento dei vari servizi alle sempre mutevoli esigenze dei traffici, se le sue maestranze hanno conseguito organizzazione e tutela nel campo della disciplina del lavoro e della previdenza, se, in particolare, è stato possibile ricostruire il porto dopo il 1945 con ritmo tanto rapido, gran parte del merito va riconosciuto allo speciale reggimento portuale che la legge attuò a Genova».
Trent'anni dopo le sorti del porto erano mutate: «la situazione di degrado commerciale del porto di Genova - lamentavano concordi gli operatori economici - ha raggiunto livelli tali di estensione e di profondità da coinvolgere l'economia e gli interessi di tutta la città». Gli esponenti dell'economia della città parlavano allora di una necessaria «trasformazione gestionale che si è resa ormai inevitabile». «La città - scrivevano nel 1983 - si attende che il Consorzio, anche attraverso una revisione del suo Regolamento, si rinnovi nel senso di una progressiva sburocratizzazione, della riacquisizione di elevate capacità decisionali e del superamento della eccessiva propensione alle mediazioni e ai rinvii».
Nel 1990 il presidente dell'Associazione Industriali di Genova, Attilio Oliva, esortava a riorganizzare i porti secondo la formula «regole e controlli pubblici, gestione privata» e individuava uno dei «nemici da battere» nel «grande monopolio gestionale» rappresentato dal Consorzio Autonomo del Porto.
Oliva chiedeva al Consorzio di rinunziare «definitivamente a "gestire" i terminal (direttamente o indirettamente)», esaltando invece «il proprio ruolo pubblico di regia, pianificazione, controllo».
Questo modello di trasformazione dell'ente che guida il porto fu imposto dalla legge di riforma portuale del 1994, ma era già stato adottato dallo stesso Consorzio Autonomo del Porto di Genova e anticipato anche dal porto della Spezia, dove le imprese avevano assunto la gestione di aree terminalistiche. A partire dal 1994 il porto di Genova iniziò a recuperare quote di traffici perse in anni di conflittualità sulle banchine e di drammatico calo di efficienza.
L'era del Consorzio si chiuse senza rimpianti. È giusto ora celebrarne il centenario ricordandone i fasti e i limiti. Lo ha ammesso questa mattina il presidente dell'Autorità Portuale di Genova, Giuliano Gallanti, nel corso dell'assemblea generale straordinaria del CAP convocata per celebrare il centenario e formata dai rappresentanti degli enti che avevano partecipato alla prima assemblea del Consorzio: «i limiti insiti nella natura del Consorzio - ha spiegato - finirono per emergere». Gallanti, ha sottolineato i pregi del nuovo regime di gestione portuale: «l'Autorità Portuale - ha detto - ha un ruolo di regolatore super partes, ed è una peculiarità tutta italiana, che costituisce anche un elemento di forza. Si tratta di un modello unico in Europa». Inoltre, rammaricandosi per la mancata approvazione del testo di legge, Gallanti ha ricordato come il modello portuale italiano sia il più vicino a quello prefigurato dalla proposta di direttiva comunitaria sull'accesso al mercato dei servizi portuali bocciata recentemente dal Parlamento europeo (
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20 novembre 2003). Il modello - ha detto Gallanti - è fondato sul trinomio Autorità Portuale - imprese - pool di lavoratori portuali: «ritengo - ha aggiunto - che questo modello stia funzionando».
Nel corso della cerimonia il ministro per l'Attuazione del programma di governo, Claudio Scajola, ha sottolineato come, all'epoca della discussione della nuova legge sul governo dei porti, la comunità portuale genovese abbia saputo superare «il pericolo di un arretramento sulla trincea della rendita di posizione», ma ha anche evidenziato come la legge 84/94 abbia delle limitazioni e come «il nuovo federalismo debba garantire maggiore autonomia finanziaria ai porti». Dello stesso avviso Gallanti, secondo cui è «importante dotare le autorità portuali di autonomia, soprattutto dal lato finanziario».
La legge di riforma portuale del 1994 nacque dopo accesi dibattiti e contrapposizioni. Fu una legge innovativa pur con le inevitabili mediazioni che traspaiono evidenti dal testo. Da qualche anno si rinnovano le richieste di rimettere mano alla normativa risolvendone una volta per tutte le contraddizioni, le lacune e le incongruenze. Una delle esortazioni che giunge dalle Autorità Portuali, gli enti che sono subentrati alle società consortili o alle autorità marittime nella gestione dei porti, è che venga loro concessa maggiore autonomia, soprattutto finanziaria. Sono necessarie troppe procedure burocratiche e troppo tempo passa prima che i porti possano mettere in opera le loro strategie. Inoltre la cassa è una sola per tutti i porti e le risorse vengono erogate a pioggia, spesso con parsimonia.
La questione dell'autonomia è una delle più delicate per il futuro assetto dei porti. Su questo tema si sono soffermati oggi pomeriggio anche i relatori del convegno "Economia, commercio e trasporti nella transizione tra i due millenni: il ruolo del porto di Genova", svoltosi nella Sala del Capitano del Popolo di Palazzo San Giorgio nell'ambito delle manifestazioni per la celebrazione del centenario. La storia del Consorzio insegna molte cose; ma la storia - ha affermato il professor Tommaso Fanfani dell'Università di Pisa - non prevede il futuro, casomai «conoscere la storia significa capire il presente». Il professor Marco Doria dell'Università di Genova ha ricordato il ricorrente intervento dello Stato nel porto di Genova necessario per effettuare «tardivi adeguamenti infrastrutturali per adeguare il porto al volume di traffico». Nel suo intervento il professor Ugo Marchese, uno dei più prestigiosi esponenti del mondo accademico dell'economia marittima, ha esortato a «riconoscere l'autonomia finanziaria alle Autorità Portuali».
La voglia di autonomia manifestata da molti esponenti delle istituzioni portuali sarà forse presto assecondata. Non bisogna dimenticare però gli errori compiuti dal Consorzio del Porto di Genova grazie alle forti autonomie di cui disponeva. La storia certamente non aiuta a prevedere il futuro, ma aiuta a decidere quali scelte operare. Non bisogna dimenticare i fatti positivi e quelli negativi avvenuti nel corso della lunga vita del Consorzio. Le esperienze maturate nei suoi quasi cento anni di storia sono la più generosa eredità che ci ha consegnato e di cui dobbiamo essergli grati.
Bruno Bellio