Una cronica carenza di infrastrutture caratterizza i porti italiani. Lo rileva la ricerca "Competitività della portualità italiana", di cui riportiamo una sintesi nella rubrica "
Forum dello Shipping e della Logistica", che è stata realizzata per il CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro) dalla società Maior. Lo studio, presentato oggi nella sede del CNEL di Villa Lubin a Roma, analizza i principali fattori di competitività dei porti, quali la posizione rispetto ai mercati, le infrastrutture e gli impianti, la qualità e l'efficacia dei servizi offerti, i costi sostenuti dall'utenza.
La ricerca - hanno precisato gli estensori del documento - si presenta come profondamente innovativa non tanto per l'oggetto (sui porti esiste infatti un'ampia letteratura a livello nazionale ed internazionale), ma perché esamina i porti non già sotto il profilo della "competizione"/concorrenza in atto (se un porto sia più forte di un altro o gli faccia concorrenza) bensì sotto il profilo della "competitività" intesa come capacità di un soggetto di affrontare nuove o diverse situazioni di concorrenza determinate dalle evoluzioni che possono avvenire nel mercato per le più varie ragioni.
La ricerca valuta molto positivamente la posizione dei porti nei mercati; tale positività - viene rilevato - risulta più variegata per quanto riguarda i collegamenti marittimi (diverse tipologie di traffico nel Tirreno, nell'Adriatico, nel Mezzogiorno, nelle isole), mentre per i collegamenti con l'hinterland terrestre le opinioni sono concordemente più positive, anche se - viene sottolineato - occorre rilevare che questa valutazione si riferisce sostanzialmente ai traffici nazionali, in considerazione della quota molto limitata di traffico che va oltre le Alpi.
È buono anche il giudizio sulla qualità dei servizi, in particolare sia per la produttività delle operazioni portuali che per la professionalità delle risorse umane, mentre le principali criticità riguardano qualità ed efficacia dei servizi pubblici e delle manovre ferroviarie. In generale - precisa lo studio - sono più frequenti i casi di valutazioni positive per i porti di non grandi dimensioni o maggiormente specializzati, a motivo delle minori problematiche che emergono nell'organizzazione dell'insieme delle attività portuali.
Sono generalmente ritenute buone anche le tariffe dei servizi portuali, anche in rapporto al mercato internazionale, per i servizi liberalizzati (le operazioni terminalistiche). L'onerosità dei porti italiani - precisa la ricerca - viene principalmente attribuita dagli operatori ai costi indiretti dovuti alle disfunzioni provocate dallo scarso coordinamento delle diverse attività portuali.
È invece poco più che sufficiente la valutazione delle infrastrutture
portuali, con la sola eccezione di alcuni grandi progetti realizzati recentemente (Gioia Tauro, Genova Voltri, Taranto). Le criticità che emergono, nella maggior parte dei casi - spiega lo studio - non si riferiscono alla generalità delle infrastrutture portuali, ma, piuttosto, a specifiche situazioni (fondali, piazzali, viabilità stradale, raccordi ferroviari, '), mentre quasi mai compaiono rilevanti criticità relativamente agli impianti per la movimentazione delle merci. Per quanto riguarda le infrastrutture extraportuali,
i porti che lamentano maggiori criticità (soprattutto per il sistema ferroviario) sono quelli che trattano i maggiori volumi di traffici, o quelli la cui viabilità presenta significative sovrapposizioni con la viabilità urbana.
La ricerca non evidenzia rilevanti situazioni di concorrenza tra i porti italiani, data la grande diversità di ruolo nei confronti del rispettivo territorio. Inoltre i porti che servono lo stesso territorio per la medesima tipologia di traffico - osserva lo studio - sono configurabili più come terminal distinti dello stesso complesso portuale che come porti diversi.
È ritenuta infine per ora poco rilevante la concorrenza tra i porti italiani e quelli del nord Europa, in quanto i rispettivi mercati si sovrappongono in misura limitata rispetto ai traffici complessivi. La cosa è comprovata - sottolineano i ricercatori - dai numeri sui traffici ferroviari Nord-Sud , dalle opinioni concordi degli operatori intervistati e da autorevoli studi di autori anche nordeuropei.