Quando in una discussione sull'utilità della realizzazione di retroporti a servizio del porto di Genova, invocati da molti come necessari per alleviare attuali e futuri momenti di congestione dello scalo, si sollevano perplessità sulla reale efficacia di queste strutture logistiche la prima reazione è di sgomento. Almeno per coloro che sostengono la loro realizzazione.
Così è stato oggi a Palazzo San Giorgio, sede dell'Autorità Portuale di Genova, in occasione della presentazione dei progetti per i retroporti tenutasi su iniziativa della port authority nel corso della riunione del Comitato Portuale.
«Capisco questa operazione per le merci per le quali si vuole una rottura di carico, per merci che si vogliono manipolare. Per le altre non la capisco», ha detto l'amministratore delegato di RFI - Rete Ferroviaria Italiana, Mauro Moretti. Come dargli torto. È del tutto evidente l'aumento del costo di trasporto delle merci quando questo viene frazionato con "rotture di carico" non indispensabili.
Se per retroporto intendiamo un distripark nel retroterra portuale al quale indirizzare le merci che necessitano di una manipolazione, di lavorazioni - diciamo interpretando le parole del dirigente di RFI - allora questi progetti hanno senso. Altrimenti no. Questi progetti hanno senso se, non potendo realizzare un distripark a ridosso delle banchine portuali, lo si realizza a qualche chilometro e decina di chilometri dal porto, dove si trovano aree disponibili a costi contenuti. Tutto ciò senza far lievitare il costo complessivo del trasporto ed offrendo alle merci i servizi di cui necessitano.
La prima discriminante è quella economica. Un sensibile ed ingiustificato aggravio dei costi del trasporto può determinare il fallimento dei retroporti. Sull'aspetto economico di questi progetti è incentrata la relazione presentata da Sandro Carena, responsabile Interporti dell'Autorità Portuale, che pubblichiamo nella rubrica "
Forum dello Shipping e della Logistica" di
inforMARE. Carena si è soffermato sul modello gestionale dei retroporti che - ha detto - «dovrebbe caratterizzarsi per la forte presenza di operatori portuali», aree che comunque - ha precisato - «non possono essere classificate tout court estensione del territorio portuale».
«Noi - ha detto Luigi Negri, rappresentante degli imprenditori nel Comitato Portuale - sposiamo questo criterio logistico dell'off-dock». «Questo lavoro - ha sottolineato - non lo vogliamo lasciare andare via da Genova». Negri ha proposto al presidente dell'ente portuale, Giovanni Novi, la creazione di un gruppo di lavoro costituito dai terminal operator, dall'Autorità Portuale, e dai rappresentanti degli spedizionieri, degli autotrasportatori e delle ferrovie che dovrà essere incaricato di studiare la questione.
Fabrizio Palenzona, presidente S.L.A.L.A. - Sistema Logistico dell'Arco Ligure ed Alessandrino è assolutamente convinto della necessità di realizzare un'area logistica a servizio del porto ed ha sottolineato che per competere con lo sviluppo logistico di nazioni come la Spagna o la Turchia «o si è competitivi o non si va da nessuna parte». «O ci mettiamo insieme a lavorare su un disegno strategico di grande respiro, senza perdere di vista la quotidianità - ha aggiunto - o perdiamo l'ultimo treno».
Ma a scuotere le convinzioni di molti è stata ancora la relazione dell'amministratore delegato di RFI (un intervento «molto forte» ha detto il presidente della Provincia di Genova, Alessandro Repetto). «La rete ferroviaria italiana - ha sostenuto Moretti - non è satura. A Genova non è affatto satura. Per sviluppare il porto di Genova dal 2006 al 2010 è necessario utilizzare la capacità ferroviaria che oggi è buttata via». E si deve partire proprio dal porto dove - ha spiegato - «la logistica operativa è a servizio dei camion e non della ferrovia». In generale - ha osservato - è necessario «togliere le barriere all'operatività del treno".
B.B.