- Con il disegno di legge sul welfare, approvato lo scorso 29 novembre dalla Camera dei deputati e trasmesso al Senato per la seconda lettura, - ha accusato il Comitato Nazionale di Coordinamento degli Utenti e degli Operatori Portuali - il governo intende riproporre l'estensione del contratto dei lavori portuali temporanei a tutti i lavoratori delle società che operano nei porti con una norma che è il Comitato ritiene essere incostituzionale.
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- Per avvalorare la propria tesi il Comitato ha raccolto il parere dell'avvocato Mattia Persiani, uno dei più autorevoli studiosi del diritto del lavoro, e dell'avvocato Stefano Gregorio, socio dello Studio Persiani, che hanno vittoriosamente difeso nel 2006 il Comitato di Coordinamento degli Utenti e degli Operatori Portuali, la Confitarma, la Fedarlinea, la Fedespedi e la Federagenti nel contenzioso sul cosiddetto contratto collettivo “unico dei porti” che, ora, il disegno di legge sul welfare vorrebbe ripristinare.
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- In merito alla genesi del contratto collettivo unico dei porti, l'avvocato Persiani ha ricordato che «il legislatore, nel 2000, volle tutelare i lavoratori portuali temporanei (quelli, cioè, che vengono affittati alle imprese che operano nei porti) con un meccanismo semplice: avrebbe dovuto essere stipulato, all'esito di trattative aperte ai sindacati dei lavoratori e alle rappresentanze di tutta l'utenza portuale, un contratto collettivo che fissasse il trattamento minimo inderogabile da applicare a tutti i lavoratori temporanei durante le loro varie missioni«. «Accadde, però - ha spiegato - che non solo il ministero dei Trasporti e della Navigazione non invitò alle trattative le associazioni che successivamente si sono fatte difendere dallo Studio Persiani, ma, all'esito di tali trattative, fu stipulato un contratto collettivo diverso da quello previsto dal legislatore. Tale contratto collettivo, definito dagli stipulanti “unico dei porti”, non si preoccupava affatto della tutela dei lavoratori temporanei, ma pretendeva di disciplinare compiutamente i rapporti di lavoro dei dipendenti di tutte le imprese portuali. Per giunta, il ministero dei Trasporti e della Navigazione, con una circolare del febbraio 2001, diede ordine alle Autorità Portuali di condizionare al rispetto di tale contratto collettivo unico la validità delle autorizzazioni e delle concessioni rilasciate alle imprese. In tal modo, le imprese dei porti furono obbligate ad attribuire ai propri dipendenti non più i trattamenti previsti dai contratti collettivi da sempre liberamente stipulati dalle loro organizzazioni sindacali (quella degli armatori privati, quelle degli armatori pubblici, quelle degli spedizionieri, ecc.), bensì i trattamenti previsti dal contratto collettivo imposto dal ministero per il tramite delle Autorità Portuali». «Venivano così annientati - ha osservato Persiani - decenni di storia sindacale dei porti, in quanto il nuovo contratto collettivo unico sostituiva d'imperio i precedenti contratti collettivi che, nel tempo, avevano dettato specifica disciplina a ciascun settore. Fu, quindi, inevitabile ricorrere al TAR del Lazio lamentando la lesione della libertà sindacale delle imprese e, al tempo stesso, il danno alle associazioni dei datori di lavoro che stipulavano i contratti collettivi oramai resi inutili».
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- «Il TAR del Lazio e, poi, definitivamente, il Consiglio di Stato - ha ricordato l'avvocato Gregorio - hanno stabilito che alle trattative dovevano essere invitate anche le associazioni da noi difese, in quanto rappresentanti dell'utenza portuale. I giudici amministrativi hanno anche affermato che il sedicente contratto collettivo unico dei porti, in quanto non disciplina il lavoro portuale temporaneo, non ha nulla a che vedere con quello voluto dal legislatore. Sono, quindi, stati annullati tutti gli atti amministrativi impugnati. L'effetto più importante delle sentenze è che, attualmente, il contratto collettivo “unico” dei porti, privato del suo piedistallo amministrativo, è tornato ad essere un semplice contratto collettivo, applicabile, secondo le regole generali, soltanto alle imprese che aderiscono alle organizzazioni sindacali che lo hanno stipulato».
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- In merito alla legge che il Parlamento sta per approvare, l'avvocato Persiani ha sottolineato come «il disegno di legge sul Welfare, nella parte dedicata al lavoro nei porti, voglia ripetere, direi a tutti i costi, l'operazione a suo tempo posta in essere dal ministero dei Trasporti e della Navigazione e annullata dai giudici amministrativi. È infatti previsto che a tutti i lavoratori portuali, anche a quelli stabili e non temporanei, dovrà essere garantito un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo unico dei porti e dai suoi successivi rinnovi, pena la revoca delle autorizzazioni e delle concessioni rilasciate alle imprese datrici di lavoro». «Il disegno di legge, quindi - ha spiegato - fa rivivere il contratto collettivo a suo tempo illegittimamente scelto dall'Autorità amministrativa. Solo che, in caso di approvazione del disegno di legge, non saremmo più di fronte ad atti amministrativi illegittimi, bensì ad una disposizione di legge che presenterebbe sicuri profili di illegittimità costituzionale. Mi riferisco a quei profili che, a suo tempo, indussero il TAR del Lazio ed il Consiglio di Stato a disattendere l'interpretazione ministeriale e ad aderire a quella proposta dalle associazioni ricorrenti in quanto unica ad essere conforme all'art. 39 della Costituzione».
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- L'avvocato Gregorio ha precisato quali sarebbero i profili di incostituzionalità. «Nel nostro ordinamento - ha sottolineato - il legislatore non può imporre ai datori di lavoro l'applicazione di un determinato contratto collettivo, nemmeno per assicurare ai lavoratori un trattamento minimo inderogabile. Poiché vige la libertà sindacale, il contratto collettivo è applicato esclusivamente su base volontaria, con la conseguenza che il datore di lavoro, fermo il limite della retribuzione proporzionata e sufficiente, può anche scegliere di non applicare alcun contratto collettivo, ovvero di applicarne uno stipulato per un settore merceologico non corrispondente alla sua attività. Né avrebbe senso richiamare quegli interventi legislativi che subordinano la concessione di determinati benefici all'applicazione dei contratti collettivi. Quegli interventi, infatti, hanno come scopo quello di incentivare l'applicazione dei contratti collettivi da parte dei datori di lavoro non sindacalizzati e, comunque, sono rispettosi della pluralità dei contratti collettivi nei vari settori merceologici. Viceversa, la norma contenuta nel disegno di legge sul welfare non ha quella logica promozionale, perché interviene in una realtà già fortemente sindacalizzata. Crea, invece, un conflitto tra i vari contratti collettivi applicati nei porti e lo risolve facendo prevalere, arbitrariamente, un determinato contratto collettivo, peraltro stipulato in violazione della legge ancora in vigore. Quindi, c'è anche un profilo di irrazionalità perché il disegno di legge assume senza alcuna giustificazione che, tra i vari trattamenti previsti dai diversi contratti collettivi stipulati con riferimento al lavoro nei porti, soltanto quello fissato dal contratto collettivo unico dei porti è congruo, mentre tutti gli altri non sono adeguati. E ciò, si badi bene, nonostante i trattamenti ritenuti non adeguati siano stati concordati, nei rispettivi settori merceologici, dalle stesse organizzazioni sindacali dei lavoratori che hanno stipulato il contratto collettivo unico dei porti».
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