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Brexit, la British Ports Association chiede al governo di piantarla con gli slogan e di chiarire come far funzionare i commerci
Ballantyne: «negli ultimi tre anni e mezzo i paletti sono stati spostati più volte ed ora questa incertezza deve finire»
4 febbraio 2020
L'associazione dei porti del Regno Unito non è arrivata sino al punto di definire indecifrabile o confuso il discorso tenuto ieri dal primo ministro britannico Boris Johnson nella Painted Hall dell'Old Royal Naval College di Greenwich, ma tuttavia ha invitato il governo a chiarire «i contrastanti messaggi sul commercio». Eppure la dissertazione del premier era incentrata primariamente proprio sugli scambi commerciali con le altre nazioni, ma obiettivamente - almeno a giudizio di chi scrive - la visione di Johnson è comprensibile solo da coloro che accolgono favorevolmente l'unico scenario proposto dai politici populisti e/o nazionalisti e/o liberisti e/o protezionisti attuali e di sempre: quello che invita a “prendere nelle mani il nostro destino”, con questo “noi” che è tutto da definire se non che è in contrapposizione con un altrettanto indefinito “loro”.
«Questo - ha recitato Johnson concludendo il suo intervento - è per noi il momento di pensare al nostro passato e di rimetterci in marcia per riconquistare lo spirito di quegli antenati marinai immortalati sopra di noi - ha specificato riferendosi alle pitture e agli affreschi che decorano la barocca Painted Hall - le cui eccezionali imprese non hanno portato solo ricchezza, ma qualcosa di ancora più importante: una prospettiva globale. Questa è la nostra ambizione. Lì - ha aulicamente proseguito citando l'”Ulysses” di Alfred Tennyson - giace il porto; il vascello gonfia la sua vela …il vento soffia sull'albero. Ora - ha detto riferendosi alla Brexit, l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea che Johnson non ma mai citato esplicitamente nel discorso se non per precisare che inizia con la B - ci imbarchiamo per un grande viaggio, un progetto che nessuno nella comunità internazionale pensava che questa nazione avrebbe avuto il coraggio di intraprendere, ma se siamo coraggiosi e ci impegniamo veramente nella logica della nostra missione - aperta e rivolta all'esterno, generosa, accogliente, impegnata a sostenere il libero scambio globale ora che il libero scambio globale necessita di un campione globale - ritengo che possiamo conseguire un enorme successo in questa impresa, per la Gran Bretagna, per i nostri amici europei e per il mondo».
Mentre Johnson invita i Britons a salire fiduciosamente sul vascello che dovrebbe portarli verso luminosi destini, più prosaicamente la British Ports Association (BPA) si chiede cosa ciò significhi per i porti britannici, se la loro sorte sarà altrettanto straordinaria o se invece i bastimenti in partenza e quelli in arrivo non saranno affatto numerosi e soprattutto poveri di merci. L'associazione ha invitato infatti Downing Street e l'intero governo non solo a chiarire la politica commerciale del Regno Unito, ma anche quella industriale del paese.
Johnson ha esultato perché, riprendendo in mano il proprio destino, la Gran Bretagna si impossesserebbe nuovamente anche della libertà di regolare i propri scambi commerciali internazionali: «oggi - ha sottolineato il premier - a Ginevra il nostro ambasciatore Julian Braithwaite si reca alla World Trade Organization e riprende il controllo delle nostre tariffe doganali, un vero e proprio evento che merita di essere immortalato in un dipinto: questo paese sta uscendo dalla crisalide. Stiamo riemergendo dopo decenni di letargo come propugnatori del libero scambio mondiale». Circa gli scambi commerciali internazionali, Johnson ha evidenziato che «sono in ritardo rispetto alla crescita globale. Dal 1987 al 2007 - ha specificato - il commercio cresceva ad un ritmo doppio rispetto al prodotto interno lordo mondiale. Ora mantiene a malapena il ritmo e la crescita globale è di per sé anemica e la diminuzione della povertà globale sta iniziando a rallentare».
La direzione verso cui devono inizialmente puntare i vascelli britannici che si apprestano a lasciare i porti è, secondo Johnson, quella del resto del Commonwealth, ma anche verso il Giappone, le altre nazioni del Pacifico e, naturalmente, gli Stati Uniti che - ha ricordato - «acquistano già un quinto di tutto ciò che esportiamo». Ma Johnson si è dichiarato ben disposto anche verso l'Unione Europea, con cui - ha affermato - vogliamo una fiorente relazione commerciale ed economica». Con l'UE Johnson vuole instaurare «un accordo di libero scambio simile a quello del Canada».
Riferendosi a quest'ultima asserzione la British Ports Association ha osservato che, se le relazioni commerciali del Canada con l'UE sono regolate da un accordo di libero scambio che prevede alcune misure di allineamento, tuttavia sembra che Johnson non stia cercando «allineamenti di alcun tipo».
Secondo l'associazione, quindi, l'incertezza regna sovrana. «Il tempo passa - ha affermato il direttore generale della BPA, Richard Ballantyne - e il settore del trasporto merci deve conoscere con esattezza quali procedure di frontiera ci saranno dal gennaio 2021. Abbiamo un eccellente rapporto con le varie aree del governo che stanno pianificando la Brexit, ma ora abbiamo bisogno di una dichiarazione chiara e dettagliata circa la loro positiva visione sulla strategia commerciale e industriale del Regno Unito con l'Europa e con il mondo e come ciò influenzerà le industrie che si affidano al libero fluire degli scambi attraverso i porti del Regno Unito. Negli ultimi tre anni e mezzo - ha denunciato Ballantyne - i paletti sono stati spostati più volte ed ora questa incertezza deve finire».
«Ora - ha proseguito il direttore generale dell'associazione dei porti britannici - è pressoché inevitabile che la promessa di una prosecuzione di “un commercio senza attriti” non sarà rispettata. Da tre anni e mezzo i porti del Regno Unito si stanno preparando a questa discontinuità e sono pronti come possono esserlo. Tuttavia continuiamo ad essere preoccupati per il livello di preparazione del più ampio settore del trasporto delle merci e della capacità della moltitudine di agenzie governative che operano alle frontiere».
«I porti e gli operatori commerciali - ha sostenuto Ballantyne - devono sapere a cosa mira il governo quando si parla di equivalenza, di allineamento delle norme e di concordare condizioni di parità, cose che non sono la stessa cosa. I gateway portuali del Regno Unito gestiscono il 95% del nostro commercio internazionale e circa la metà di questo è con l'UE, gran parte del quale avviene tramite i porti che movimentano rotabili. I porti del Regno Unito hanno portato a termine tutti i preparativi ragionevolmente possibili per far fronte a questo stato di notevole incertezza, lavorando a stretto contatto con il governo, e anche negli scenari peggiori la maggior parte dei porti non andrà incontro ad una grande congestione. Il blocco di alcuni porti potrebbe determinare un aumento dei costi per i commercianti, per i produttori e, potenzialmente, per i consumatori. È quindi fondamentale che i porti e il più ampio settore del trasporto merci sappiano nel dettaglio per quale tipo di future relazioni commerciali con l'UE dovrebbero prepararsi».
Anche questo - concludendo - la British Ports Association non dice, ma sottintende: è giunta l'ora di smettere di evocare il miraggio di antichi retaggi e di formulare affascinanti profezie. Ora è l'ora di mettere a posto le cose in modo che funzionino.
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