TRAFFICI MARITTIMI E UNIONE
EUROPEA: L'INTEGRAZIONE DEL SISTEMA ITALIA
Giovedì 19 Giugno 1997
Centro Congressi Magazzini del Cotone di Genova
Intervento di Giorgio Giaccardi
Capo di Gabinetto del
ministero dei Trasporti e della Navigazione
"La disciplina italiana dei traffici marittimi ed il modello
europeo"
1. |
I problemi che il settore de traffici marittimi sta incontrando
in questi ultimi tempi corrispondono in larga misura a quelli
propri del mondo dei trasporti in generale.
Da un lato c'è
un problema di ampliamento del mercato a una dimensione mondiale,
con ritmi di crescita talmente elevati da imporre alle imprese
operanti nel settore l'acquisizione, in tempi quanto più
rapidi, di adeguati livelli di competitività.
D'altro canto
c'è un problema di adeguamento di un mercato fino a pochi
anni fa' "protetto", se non addirittura governato da
logiche prettamente monopolistiche, alle regole di concorrenza,
di libero accesso e di pari opportunità ormai imposte in
forma cogente dalla normativa comunitaria, oltre che, più
in generale, dalle stesse regole del mercato globale di cui si
diceva poc'anzi.
Le risposte delle istituzioni pubbliche italiane, Governo e Parlamento,
stanno via via fornendo, pur denunziando ancora margini di oscillazione
dovuti a resistenze ed incomprensioni da parte di alcuni tra i
soggetti coinvolti, costituiscono tuttavia una concreta testimonianza
della acquisita consapevolezza ed impegno politico verso quella
che ormai è l'unica strada percorribile.
Prima di esaminare in dettaglio le iniziative già sviluppatesi
o in corso si attuazione, sembra opportuno chiarire sùbito
che non possono farsi rientrare nella categoria delle resistenze
od oscillazioni quegli interventi che mirano a collocare nella
logica complessiva della libera concorrenza e delle regole del
libero mercato, anche una serie di valori concomitanti, ai quali
certamente si ispirano la legislazione e la giurisprudenza comunitaria
e dai quali non è dato prescindere ai fini di una corretta
regolazione del libero mercato.
Ci si riferisce in particolare ai principi di solidarietà
sociale, tutela della sicurezza dei lavoratori e degli utenti,
di salvaguardia dell'ambiente e del territorio che, in quanto
immanenti alla logica complessiva degli ordinamenti comunitario
e nazionale, non possono non influenzare le scelte politiche intese
a regolamentare la competizione tra gli operatori economici impegnati
nei diversi settori produttivi.
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2. |
Rispetto agli altri settori dei trasporti, il processo di liberalizzazione
dei traffici marittimi in Italia si presenta complessivamente
più avanzato, soprattutto grazie alla coraggiosa ed incisiva
riforma del settore portuale attuata dalla legge 84/94 e recentemente
perfezionata con la legge 647/96 che ha definitivamente convertito
l'ultimo di una serie di decreti legge emanati nel corso di oltre
un biennio.
La riforma dei porti non può dirsi tuttavia ancora completata.
E proprio in vista del suo completamento il Governo ha recentemente
presentato al Parlamento un nuovo disegno di legge che, nella
sua parte conclusiva, contiene alcune limitate ma essenziali norme
intese, in particolare, ad adeguare gli organici delle maggiori
autorità portuali alle caratteristiche organizzative e
funzionali ad esse attribuiti dalla legge 84 del 1994, a riorganizzare
il servizio di escavazione dei porti secondo logiche di efficienza
ed imprenditorialità, allo stato carenti, ed infine a completare
il processo di ristrutturazione, in senso imprenditoriale e concorrenziale,
delle ex Compagnie Uniche dei lavoratori portuali.
In quest'ultima direzione è allo studio del Governo una
proposta emendativa dell'articolo 17 della legge 84/94 come modificata
dalla 647/96 che, tenuto conto dei rilievi mossi dagli organi
comunitari e nazionali preposti alla tutela della libera concorrenza,
renda definitivamente compatibile con il modello comunitario un
segmento di mercato nel quale, peraltro, si manifestano con connotati
di spiccata specificità quelle esigenze di tutela e sicurezza
sociale dalle quali, come sopra ricordato, non si ritiene di poter
prescindere.
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3. |
Accanto al completamento della riforma portuale, lo stesso
disegno di legge recentemente presentato al Parlamento si propone,
nella sua prima parte, di avviare un'altrettanto importante e
decisiva riforma del settore dell'armamento attraverso l'istituzione
del c.d. registro internazionale marittimo, quale strumento indispensabile
per restituire alla flotta italiana quel grado di competitività
e di redditività che da tempo è stato perduto a
favore di altre flotte comunitarie e non, grazie all'introduzione
di strumenti fortemente agevolativi sia sul piano fiscale che
su quello del mercato del lavoro di cui attualmente l'armamento
italiano non è in grado di disporre.
L'obiettivo è
quello di conseguire alla flotta mercantile italiana un consistente
recupero delle proprie capacità di trasporto, tale da farle
riconquistare nel "ranking" mondiale le posizioni progressivamente
perdute in questi ultimi anni.
I dati sono ben noti: alla fine del 1995 la flotta italiana si
collocava appena al sesto posto tra quelle dell'Unione europea
e addirittura al sedicesimo tra quelle mondiali. L'Italia è,
oggi, uno dei pochissimi Paesi che non abbia ancora approntato
rimedi giuridici organicamente tesi ad arginare il fenomeno delle
bandiere-ombra.
L'unica iniziativa finora adottata è stata,
come noto, l'istituzione con la legge n. 234/1989 del "bare
boat charter" e cioè del noleggio della nave a scafo
nudo ad operatore straniero, fermo restandone il regime proprietario,
con temporanea dismissione di bandiera, al fine di consentire
una drastica riduzione dei costi ed un conseguente recupero di
competitività sul mercato dei noli internazionali.
Il principale inconveniente di tale istituto risiede, tuttavia,
nella tendenza alla delocalizzazione delle imprese nazionali,
con conseguente accentuazione, anziché riduzione, del fenomeno
che si vorrebbe arginare e cioè del declino della flotta
di bandiera. Di qui l'esigenza di far ricorso a rimedi di ordine
strutturale, quale appunto l'istituzione di un apposito regime
giuridico per le navi adibite esclusivamente ai traffici internazionali,
che consenta di ricondurre i costi di gestione ai livelli praticati
dalla concorrenza internazionale, con conseguente auspicabile
massiccio rientro sotto bandiera nazionale dell'armamento emigrato
all'estero e con relativo incremento della forza lavoro sia nel
settore armatoriale in senso stretto che nell'indotto a terra.
Basti considerare, a quest'ultimo riguardo, come il disegno di
legge governativo sia stato varato sulla base di un protocollo
d'intesa siglato dalle parti sociali, nel quale si dà atto
di un comune impegno volto a conseguire, pur a fronte di una necessaria
riduzione della forza lavoro nazionale impiegata sulle singole
navi, un complessivo recupero di produttività, e quindi
di occupazione, nell'intero settore economico gravitante intorno
all'armamento.
L'esempio della Norvegia che, a seguito dell'istituzione nel 1987
del registro internazionale, ha assunto la leadership delle flotte
mondiali, fatta eccezione per le flotte fittizie dei paesi c.d.
"di libera immatricolazione", costituisce un punto di
riferimento ineliminabile per quanti, come il nostro paese, intendono
ora, con un ritardo di dieci anni, colmare il gap che ci separa
dai paesi con tradizione marittima certamente non superiore alla
nostra.
La compatibilità del modello che si intende istituire con
l'ordinamento comunitario non sembra, d'altra parte, essere in
discussione, sia ove si consideri che il registro internazionale
è già operante in numerosi paesi dell'U.E. (Regno
Unito, Danimarca, Germania, Olanda, Belgio, Francia, Spagna, Portogallo),
sia soprattutto alla luce dei puntuali rilievi contenuti nel recente
documento della Commissione Europea su una nuova strategia marittima
- il c.d. rapporto Kinnock - che, pur prendendo atto del sostanziale
fallimento della proposta, avviata nei primi anni '90, di istituzione
di un apposito registro europeo (EUROS) per l'immatricolazione
delle navi adibite a traffici internazionali, riconosce come pienamente
compatibili con le norme comunitarie in tema di aiuti di Stato
le misure che vengono adottate dagli Stati membri al fine di sostenere
l'industria e l'occupazione marittima, attraverso un allineamento
dei costi di gestione a quelli praticati dalle imprese concorrenti.
Un ulteriore e concomitante tassello del processo di riforma
in atto riguarda, infine, il settore della cantieristica. Con
un distinto disegno di legge di iniziativa governativa, già
approvato da un ramo del Parlamento ed in fase di avanzato esame
da parte dell'altro ramo, viene disciplinata la materia degli
aiuti a questo importante settore dell'industria nazionale, in
puntuale attuazione delle direttive comunitarie in materia ed
in linea di rigorosa continuità con precedenti interventi
di analogo tenore, già vagliati positivamente dagli organi
comunitari, nel quadro di un processo di sviluppo e potenziamento
della capacità produttiva dell'industria cantieristica
che trova riscontro in ben pochi settori dell'economia nazionale.
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4. |
Il punto di maggiore criticità del sistema, ove più
complessi e delicati appaiono i profili di coerenza con il dettato
comunitario, riguarda tuttora la materia portuale.
Come noto, il processo di riforma sfociato nella legge n. 84 del
1994 ha tratto origine ed occasione proprio da una nota della
Commissione europea (n. 3158 del 10.07.1992) che, facendo seguito
ad una sentenza della Corte di Giustizia (causa C.170/90, Porto
di Genova) imponeva l'adozione di misure idonee a rendere conformi
al diritto comunitario le disposizioni legislative e regolamentari
italiane in materia di lavoro portuale. La contestazione all'epoca
formulata concerneva la previsione, da parte del Codice della
navigazione, di un doppio regime di monopolio: l'uno relativo
all'organizzazione, l'altro all'esecuzione delle operazioni portuali.
La legge n. 84 del 1994, e le successive modificazioni ad essa
apportate, hanno decisamente e sensibilmente innovato il quadro
normativo di riferimento, sia attraverso l'istituzione delle autorità
portuali (soggetti pubblici cui è affidato un compito di
regolazione ed indirizzo delle operazioni portuali, con correlativo
divieto di svolgere in proprio le suddette operazioni, nonché
di organizzare i relativi servizi), sia attraverso l'apertura
alla concorrenza del mercato delle operazioni portuali per conto
terzi, salva autorizzazione ex art. 16 legge citata da parte delle
autorità portuali. La possibilità per tutte le imprese
autorizzate ex art. 16, così come di quelle beneficiarie
di concessione ex art. 18 (c.d. terminalisti), di avvalersi di
personale proprio, il venir meno del divieto di autoproduzione
(cioè della possibilità per l'armatore di una nave
di utilizzare personale di bordo per le operazioni di carico e
di scarico), ed infine lo scioglimento delle compagnie di lavoratori
portuali e la trasformazione delle stesse in imprese, ai sensi
dell'articolo 21 lett. a-b), hanno rappresentato, in via di estrema
sintesi, gli strumenti attraverso i quali lo Stato italiano ha
messo in moto un reale processo di liberalizzazione e di apertura
al mercato delle banchine portuali.
Ed infatti, con la legge n. 647 del 1996 la fase di transizione
è definitivamente cessata ed è entrato a regime
un nuovo assetto normativo del lavoro portuale, enunciato dal
testo novellato dell'art. 17 della legge 84, il cui contenuto
può essere così sintetizzato:
- Il primo comma del nuovo articolo 17, nel disciplinare il
mercato della messa a disposizione di manodopera temporanea in
periodi di picco della domanda, prevede che l'autorità
portuale promuova la costituzione di un consorzio volontario aperto
a tutte le imprese portuali, autorizzando una o più imprese
consorziate alla fornitura di prestazioni di mano d'opera temporanea
a favore di altre imprese consorziate e privilegiando a tal fine
le imprese dotate di adeguato personale e risorse proprie con
specifica caratterizzazione di professionalità all'esecuzione
delle operazioni portuali, tenendo conto delle eccedenze risultanti
dal processo di razionalizzazione e trasformazione produttiva
indotte dalla stessa legge di riforma;
- Il secondo comma dello stesso articolo 17 prevede che, laddove
non sia possibile addivenire alla costituzione di un consorzio
fra un numero di imprese pari ad almeno la metà di quelle
operanti in porto, l'autorità portuale provveda ad istituire,
secondo disciplina da dettarsi con apposito regolamento (attualmente
in fase di avanzata elaborazione), un'agenzia abilitata in via
esclusiva a fornire mere prestazioni di mano d'opera alle imprese
che ne facciano richiesta.
- Il terzo comma prevede infine che gli appalti di servizi compresi
quelli ad elevato contenuto di mano d'opera forniti dalle ex compagnie
portuali trasformatesi in imprese esulino dalla disciplina generale
relativa al divieto di intermediazione di mano d'opera (legge
1369 del 1960) e quindi anche dalla specifica disciplina derogatoria
di cui ai precedenti due commi.
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5. |
Per fornire una corretta valutazione della riforma portuale, quale
venuta consolidandosi attraverso le tappe successive alle quali
si è fatto cenno, occorre inquadrare questo specifico segmento
in un disegno complessivo di più ampia portata.
Da tempo
infatti il Governo italiano ha incominciato a favorire forme di
liberalizzazione sia dei servizi di trasporto che di gestione
delle infrastrutture ispirate ai principi di diritto comunitario
e segnatamente della libertà di accesso al mercato secondo
criteri di non discriminazione e di parità di trattamento.
Particolarmente negli ultimi mesi sta maturando una linea unica
di collegamento comune all'intero comparto dei trasporti, che
sostanzia una vera e propria politica generale dei trasporti caratterizzata:
(a) dal diritto di accesso ai terminali ed infrastrutture da parte
dei soggetti abilitati all'esercizio di una determinata attività
e (b) dal diritto di accesso al mercato dei trasporti ad opera
dei medesimi soggetti.
Tale politica, coerente con gli artt. 52 e 59 del Trattato
nonché con l'art. 90, ha incominciato a svilupparsi proprio
nel settore portuale e si è realizzata prendendo atto della
necessità di mantenete distinti i due mercati che vengono
in rilievo: da un lato quello relativo alla gestione delle infrastrutture
, dall'altro quello concernente la prestazione dei servizi di
trasporto, di modo che la prima attività abbia luogo in
un contesto essenzialmente ispirato a finalità pubblicistiche,
mentre la seconda si collochi nella dinamica delle attività
privatistiche in senso stretto (seppure in molti casi rivolte
a soddisfare interessi economici generali).
Più precisamente, con riguardo all'attività di gestione
della rete, non pare dubbio oggi che lo Stato debba garantire
i terminali e le infrastrutture a disposizione di quanti intendano
svolgere l'attività di trasporto; terminali e infrastrutture
che dovranno così essere disponibili a tutti gli operatori
abilitati senza alcuna discriminazione in conformità al
disposto dell'art. 59 del Trattato.
Il che non significa peraltro che, seppure caratterizzata da finalità
di segno pubblicistico, la gestione delle reti debba essere necessariamente
operata dallo Stato. Non vi è dubbio che in molti casi
ciò potrà accadere (si pensi, ad esempio, alla gestione
degli "slots" che attualmente è operata direttamente
dal Ministero dei Trasporti).
Tuttavia in altri casi tale gestione
è più proficuamente posta in essere dal privato,
che da un lato, sia pronto ad effettuare gli investimenti del
caso e, dall'altro, sia titolare del "know how" sufficiente
a garantire la professionalità e le migliori performances.
E così, tanto con riguardo alla gestione della rete
ferroviaria, quanto con riguardo alla gestione dei terminals portuali,
l'operatività degli stessi dovrà essere rimessa
a soggetti esperti del settore chiamati a rendere disponibili
a chiunque le infrastrutture contro riscossione di un corrispettivo
che consenta loro economicità ed equilibrio di gestione.
Il che non significa che talune infrastrutture non possano essere
assentite in concessione a soggetti che le utilizzino "per
conto proprio" e cioè ad imprese di trasporto che
siano contemporaneamente terminaliste: ciò che sicuramente
si rende evidente nel caso dei trasporti marittimi (si pensi alle
grandi compagnie di trasporto, alla ricerca di ampie aree di stoccaggio
adiacenti ai porti). La contemporanea presenza dell'impresa
su sue mercati sarà tuttavia possibile ove contemporaneamente
sussista un gestore pubblico (o nell'interesse pubblico) che consenta
a parità di condizioni (operative e normative) l'accesso
al mercato del trasporto alle imprese operanti solo su tale mercato.
Si pensi ancora al settore portuale: non vi è dubbio che
è consentito dal diritto comunitario affidare in concessione
esclusiva per l'esercizio di attività per conto proprio
un determinato terminale. Ma in tale caso occorrerà che
nello stesso porto sia presente un terminale gestito per conto
del pubblico che consenta a parità di condizioni operative
e giuridiche (e a tariffe comparabili) l'interconnessione con
l'entroterra e l'accesso alla rete ferroviaria e marittima. Sarebbe
invece contrario agli scopi del Trattato che il terminale (chiamiamolo)
"privato" sia perfettamente interconnesso e collegato
con la rete ferroviaria o stradale a monte, mentre quello pubblico
sia privo dei collegamenti necessari, risolvendosi tale fattispecie
in una violazione dell'art. 90 del Trattato (oltreché dell'art.
86).
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6. |
Delicatissima sarà quindi la scelta del contraente terminalista/gestore
per conto terzi. Dopo una prima fase in cui il mantenimento di
una forma di monopolio si è rivelata necessaria, occorre
oggi affrontare il tema in termini sostanzialmente diversi; il
che impone di:
- garantire l'accesso al mercato dei servizi portuali ed infrastrutturali
a tutti gli interessati che presentano le caratteristiche di legge
e,
- scegliere tra loro, ove sia necessario, quello in concreto
più idoneo alla realizzazione del pubblico interesse avendo
riguardo alla disponibilità agli investimenti e ad obiettivi
di qualità.
Anzitutto, a regime, tale impresa dovrà in linea di principio
essere operante solo nel mercato delle prestazioni di servizi
di gestione delle infrastrutture e non anche nella gestione dei
servizi di trasporto (salvo il caso della separazione contabile
nel caso delle Ferrovie: sono note a questo riguardo le vicende
che hanno condotto all'adozione della direttiva n. 440).
In secondo luogo, su tale impresa grava l'obbligo di contrarre.
Essendo essa titolare di diritti esclusivi (seppure giustificati
ex art. 90 del Trattato) e quindi monopolista a tutti gli effetti,
dovrà operare a favore di tutti i vettori marittimi e terrestri
a condizione di parità e di non discriminazione.
Per quanto attiene alla formazione delle tariffe esse dovranno
essere previamente stabilite dall'Autorità di Regolazione
dei Trasporti e pubblicizzate nelle forme idonee.
In terzo luogo, la scelta del contraente va posta in essere anche
avendo riguardo a considerazioni di ordine sociale sulle quali
si ritornerà in prosieguo. Un ruolo importante a tale fine
è quello della disponibilità del candidato/contraente
a favorire forme di sviluppo socio-economico dell'area considerata,
rilevando tale finalità anche ai sensi del diritto comunitario.
Infatti la tutela dell'occupazione, dell'ambiente e della sicurezza
oltre che lo sviluppo socio-economico delle aree comunitarie depresse
non può non costituire una specifica finalità che
interagisce con i principi in materia economica del Trattato.
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7. |
Le considerazioni che precedono possono ovviamente riferirsi anche
alla gestione dei porti. Probabilmente la legge 84 ha anticipato
con gli artt. 16 e 18 molte delle scelte oggi in esame per cui
si tratta, semmai, di precisarne i contenuti in modo tale che
la disciplina giuridica dei porti sia totalmente coerente con
le linee strategiche indicate. Tale precisazione potrà
essere operata proficuamente anche attraverso un ricorso oculato
alla normazione secondaria di cui agli artt. 16, 17 e 18.
La legge 84, come è noto, ha compiuto la scelta della privatizzazione
prevedendo l'assegnazione dei terminals ad imprese specificamente
operanti nel relativo mercato. Sicché i dubbi che da alcuni
sono stati prospettati con riguardo ad una presunta natura anticompetitiva
della legge 84, sotto tale profilo non possono che considerarsi
fugati una volta che la scelta del contraente abbia avuto luogo
in virtù di canoni di trasparenza e con una procedura assimilabile
a quella prevista nel caso dei pubblici appalti (seppure, nel
caso in parola, tale disciplina non sia come tale applicabile).
In breve la violazione della normativa comunitaria della concorrenza
potrà configurarsi solo (a) se non ci sia nel porto un
terminal al quale è garantito l'accesso ad opera di tutti
gli interessati in condizioni di parità o (b) se la scelta
del contraente abbia avuto luogo in condizioni di non trasparenza.
Alla luce di analoghe considerazioni va correttamente affrontato
anche il tema della fornitura di mano d'opera occasionale e degli
appalti di servizi in ambito portuale, che - come noto - ha di
recente formato oggetto di una nuova procedura d'infrazione avviata
in sede comunitaria. E' mia ferma convinzione che i due diversi
profili in cui si articola la contestazione della Commissione
U.E. vadano tenuti ben distinti fra loro.
Per quanto attiene al settore dei servizi, la formulazione dell'art.
17, comma 3°, legge 84/94 (quale scaturita da un emendamento
introdotto in sede parlamentare, modificativo del testo proposto
dal Governo, previa intesa con tutte le parti sociali interessate)
può prestarsi, al di là delle intenzioni dei proponenti,
ad equivoci interpretativi ed applicativi, nel senso che la norma
potrebbe essere letta come attributiva alle sole imprese derivanti
dalla trasformazione delle ex compagnie portuali di un monopolio
legale nel mercato dei servizi.
Sebbene questa non sia, ad avviso del Governo, l'interpretazione
corretta della norma, né dal punto di vista letterale,
né da quello logico-sistematico (una nota in tal senso
è stata inviata, fin dal gennaio scorso, dal Ministro dei
Trasporti al Commissario europeo Mr. Kinnock ed al Presidente
dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
Prof. Amato) nondimeno pare opportuno eliminare l'equivoco
generato dall'art. 17, 3° comma abrogando la norma in questione.
In tal modo, se da un lato si otterrà il risultato di
sgombrare ogni illazione in marito all'introduzione di un presunto
regime monopolistico nel mercato dei servizi portuali, dall'altro
si eviterà anche ogni applicazione distorcente dell'istituto
dell'appalto di servizi "ad elevato contenuto di mano d'opera",
precludendosi in particolare lo scambio diretto (ed incontrollato)
di mano d'opera fra le imprese terminaliste.
Sarà quindi esclusivamente il Consorzio di cui al primo
comma dell'art. 17, ovvero l'Agenzia di cui al secondo comma,
il soggetto che garantirà, in forma unitaria e centralizzata,
l'accesso al mercato della mano d'opera temporanea su base non
discriminatoria. Ed a tal fine sarà decisivo il ruolo di
controllo del rispetto della normativa comunitaria sulla concorrenza
affidato dalla legge al Presidente dell'Autorità portuale.
Quanto infine alla presunta "posizione dominante" che,
secondo le contestazioni da ultimo mosse dalla Commissione Europea,
verrebbe conservata in capo alle ex compagnie dalla disciplina
del primo (e secondo) comma dell'art. 17, si osserva che il
sistema della fornitura di mano d'opera temporanea, sia in forma
consortile che attraverso l'istituenda agenzia, è destinato
a funzionare sotto il costante controllo pubblico dell'Autorità
portuale (o, in mancanza, dell'Autorità marittima), cui
compete in particolare di vigilare a che non vengano adottati
in concreto comportamenti discriminatori, suscettibili di integrare
gli estremi dell'abuso sanzionabile ex art. 86 del Trattato.
In conclusione, una volta abrogato o modificato l'art. 17, 3°
comma, che ha dato luogo agli equivoci ricordati, non dovrebbe
più esservi alcuna ragione di contrasto tra gli artt. 85,
86 e 90 del Trattato e la normativa interna: in tal senso il Governo
sta elaborando le proprie controdeduzioni difensive, che si auspica
possano trovare positiva accoglienza in sede comunitaria.
Tra l'altro, proprio in materia di lavoro portuale, la Commissione
ha aperto due procedure (ora riunite) relative all'asserito contrasto
con la normativa comunitaria delle misure concesse dal Governo
a favore delle compagnie ed atte a favorire la loro trasformazione
in imprese.
Si tratta di procedure da tempo in atto, rispetto
alle quali il Governo ha da ultimo fornito alla Commissione una
serie di dati contabili relativi alle modalità di utilizzazione
da parte delle compagnie delle somme ricevute ed ha ribadito la
legittimità dei contributi erogati.
Da un lato, le compagnie operavano in regime
di monopolio legale sotto il diretto controllo dello Stato sull'attività
svolta (tariffe, assunzioni, ecc.), al punto che si potrebbe addirittura
dubitare della natura di imprese delle compagnie ex art. 85 del
Trattato fino alla loro trasformazione in forza della legge 84/94:
si trattata di organizzazioni di collocamento della manodopera
assimilabili ai pubblici uffici di avviamento al lavoro; tutt'al
più anche a considerarle imprese, si trattava di imprese
sottratte per legge alla concorrenza, per cui gli eventuali aiuti
non avevano un effetto distorsivo.
Dall'altro lato, anche ove le misure erogate
dovessero essere considerate come aiuti, si tratterebbe pur sempre
di aiuti a carattere sociale finalizzati alla trasformazione delle
compagnie in imprese (si pensi che in dieci anni le compagnie
hanno ridotto dei due terzi la loro forza lavoro). Nel senso di
ammettere la legittimità degli aiuti sociali a favore delle
compagnie si è da ultimo espresso il Governo tedesco.
Se è così, l'auspicio del Governo italiano è
di poter rapidamente chiudere una volta per tutte il contenzioso
pendente con la Commissione relativo sia all'introduzione di una
concorrenza effettiva nel settore del lavoro portuale, sia al
necessario accompagnamento finanziario delle compagnie verso il
mercato.
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8. |
L'ultima parte di questa relazione si riferisce ad una riflessione
di ordine strategico - e di grande respiro sociale - che il Ministro
dei Trasporti e della Navigazione ha avviato nei giorni scorsi
con le parti sociali. Da tale riflessione emerge la necessità
di nuove regole mutuate o desunte dai principi generali del diritto
comunitario che recuperino i valori sociali all'interno della
disciplina dei fatti dell'economia rendendoli a tutti gli effetti
una vera e propria variabile della stessa attività economica.
E ciò particolarmente nel casso di attività a forte
rilevanza pubblicistica che, ciò nondimeno, devono essere
liberalizzate.
Si ritiene infatti che la trasformazione dal monopolio
al mercato debba essere assistita da alcune misure di accompagnamento
previste dalla legislazione dello Stato membro interessato, previa
comunicazione alle istituzioni della Comunità. Tali misure
di accompagnamento non debbono essere tanto rivolte a consolidare
la posizione dell'impresa privatizzanda (conferendo ad essa -
ad esempio - diritti esclusivi), ma devono sostanziarsi in interventi
di ordine sociale rivolti a favorire gli esodi del personale,
a privilegiare l'occupazione e tutelare l'ambiente, e così
a premiare quelle imprese che accolgono tali valori nella concreta
operatività.
D'altra parte le stesse disposizioni comunitarie tradizionalmente
invocate dagli organi comunitari (gli artt. 85, 86 e 90) sono
significativamente influenzate per la contemporanea operatività
di vari principi di diritto comunitario: che non potranno non
essere tenuti in considerazione sia in via interpretativa sia,
eventualmente, in via integrativa della disciplina applicabile.
Gli interventi sociali di cui si accenna sono di due tipi. Anzitutto
si tratta di misure contingenti rivolte la privatizzazione delle
imprese che dovranno operare in regime di concorrenza.
Pensare di liberalizzare, ad esempio, il settore della mano d'opera
portuale senza predisporre misure per favorire gli esodi e per
consentire alle compagnie portuali di divenire a tutti gli effetti
imprese in senso tecnico, significherebbe accogliere una visione
del diritto comunitario di tipo tecnocratico.
In secondo luogo, anche a prescindere da quanto sopra, si ribadisce
che il processo di accompagnamento della tutela della concorrenza
con misure rivolte alla protezione dei valori sociali enunciati
dalla nostra Costituzione e recepiti dallo stesso diritto comunitario,
sia non solo consentito, ma doveroso.
Come si osservava, si tratterà di adottare misure nazionali
rivolte a favorire imprese che più si impegnano per l'occupazione,
la tutela dell'ambiente e la promozione della sicurezza, così
che queste imprese, e non invece quelle non disponibili a compiere
investimenti nelle direzioni indicare, vengano premiate dal mercato.
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9. |
Un cenno da ultimo al regime di cabotaggio.
Anzitutto un tale regime merita di essere precisato, ancora una
volta, alla luce dei principi del diritto comunitario. Non
può escludersi, infatti, che il regolamento in vigore sia
in contrasto con il principio fondamentale di non discriminazione
allorché esclude dal suo ambito di applicazione solo alcuni
paesi membri (segnatamente prevedendo che, per quanto riguarda
la Grecia, essa opera solo a decorrere dal 2004) così provocando,
fra l'altro, una sensibile alterazione della concorrenza.
Il Governo si propone di appoggiare le iniziative rivolte ad un
superamento di tale assetto.
In secondo luogo, è assai complesso il tema del riassetto
della flotta pubblica proprio, particolarmente, per quanto riguarda
il tema del cabotaggio.
Al riguardo, in linea di principio, sembra che le linee di collegamento
con le isole siano più propriamente da equiparare sotto
il profilo economico-giuridico, alle reti ed infrastrutture piuttosto
che all'attività di trasporto in senso stretto. Il relativo
regime, quindi, dovrà essere assimilato a quello in vigore
per quanto riguarda la gestione delle medesime reti ed infrastrutture
in una chiave pubblicistica a prescindere dalla natura (pubblica
o privata) del soggetto (o dei soggetti) che vi saranno coinvolti.
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10. |
In conclusione, questo Convegno costituisce l'occasione per sperimentare
un nuovo rapporto tra il sistema Italia e la Comunità Europea
nel settore del trasporto.
La Comunità, in breve, intesa non già come freno
o vincolo allo sviluppo ma come importante opportunità
di modernizzazione del sistema. Ciò che consentirà
al nostro Paese di rafforzare la propria posizione nel contesto
internazionale e di essere competitivo.
Condizione perché ciò avvenga è che vi sia
massima disponibilità ed ascolto da parte di tutti i soggetti
interessati nonché coraggio nel compimento delle scelte
che, ad ogni livello, si è tenuti a perseguire.
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