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"La portualità nazionale e ligure", uno studio sulla riorganizzazione del sistema gestionale e organizzativo dei porti italiani
E' stato redatto da Filippo Schiaffino, un manager del settore portuale. "Nella legge 84/94 si parla di privatizzazione ma non è neppure accennato il concetto di logistica". Il documento sarà probabilmente tradotto in proposta di legge
2 marzo 2000
La portualità italiana nell'ultimo ventennio ha scontato ritardi in termini di adeguamenti infrastrutturali e normativi. Queste carenze hanno comportato una diminuzione della capacità di attrarre linee e carichi sulle banchine nazionali. Solo nel 1994 il Parlamento si è pronunciato sull'argomento, varando la legge n. 84 di riforma portuale che è tuttora oggetto di discussione. C'è chi già nei giorni della sua promulgazione giudicò deludenti le soluzioni indicate dalla legge per il rinnovamento dell'attività portuale nazionale e chi ha successivamente ritenuto che i risultati siano stati comunque inferiori alle aspettative ingenerate dal testo legislativo. La normativa è stata invece da alcuni giudicata suscettibile di miglioramenti ma tutto sommato accettabile, e chi viceversa l'ha bocciata senza possibilità d'appello.
Dal 1994 ad oggi i porti italiani hanno recuperato traffici perduti e se ne sono aggiudicati di nuovi. Alcuni attribuiscono questa ripresa all'accresciuta affidabilità ottenuta dagli scali nazionali, anche per merito della 84/94, altri invece ritengono sia stato determinante il notevole sviluppo dei traffici est-ovest che hanno privilegiato il Mediterraneo, di cui l'Italia è tuttora sistema portuale di riferimento.
Tra coloro che ritengono che la legge del '94 abbia disatteso le aspettative degli operatori italiani del trasporto c'è Filippo Schiaffino, presidente del Terminal Frutta Genova e componente del dipartimento Porti e Trasporti di Forza Italia. Secondo Schiaffino infatti «la legge di 'riordino della legislazione in materia portuale' non è riuscita a definire in modo compiuto né i criteri d'ordine generale, né tantomeno i contenuti d'ordine specifico attorno ai quali reimpostare la politica portuale nazionale. Tale legge a distanza di quasi sei anni dalla data di promulgazione, appare sempre più sintesi di letture episodiche e frammentate, estranee a qualsivoglia visione strategica in un'ottica, quindi meramente velleitaria, ristretta e discontinua, protesa a soddisfare singoli bisogni emergenti piuttosto che a perseguire obiettivi di ampio respiro su scala generale».
Se di privatizzazione pur si parla - dice Schiaffino - manca però la spinta portante e innovativa e restano invece elementi disarticolati e tardivi; mancano la "metodologia programmatica", i "presupposti del decentramento" e non è neppure accennato il "concetto di logistica". Il giudizio sui criteri di assegnazione dei finanziamenti pubblici, sulla missione affidata alle Autorità Portuali e sullo schema di organizzazione del lavoro portuale è altrettanto negativo.
Da questi presupposti nasce "La portualità nazionale e ligure", un documento in cui Schiaffino delinea una riorganizzazione del sistema gestionale e organizzativo dei porti italiani e traccia un'ipotesi che sarà probabilmente tradotta in proposta di legge.
Il progetto ha «due obiettivi portanti: il primo diretto a ridefinire l'assetto portuale nazionale, il secondo diretto ad individuare il modello sistemico di supporto». Secondo Schiaffino la funzione istituzionale centrale «potrebbe opportunamente confluire in un organismo centrale denominato Comitato Nazionale della Portualità», «presieduto dal ministro dei Trasporti e della Navigazione e composto, fra le altre presenze di carattere istituzionale, da un rappresentante di ogni singola Regione marittima». Il comitato avrebbe, tra l'altro, «la funzione primaria di procedere ad una complessiva revisione della vigente legislazione partendo dalla riclassificazione dei porti nazionali per arrivare, attraverso il contributo determinante delle Regioni marittime non solo alla definizione del Piano nazionale portuale ma anche all'individuazione dei principi e delle regole cui ispirare i processi di decentramento regionale». Al comitato spetterebbe quindi la definizione delle linee di priorità in tema di investimenti, ma anche le seguenti funzioni: «monitorare con le istituite Autorità Portuali i criteri di gestione attualmente invalsi ovvero di verificare se "il processo di privatizzazione delle attività portuali in senso stretto" sia stato o meno perfezionato; definire i criteri, in termini di modalità e limiti temporali, cui uniformare il rilascio delle concessioni ivi inclusi i criteri generali cui ricondurre la determinazione dei canoni concessori; definire l'organizzazione del lavoro portuale anche con riferimento alle fattispecie contrattuali da adottare».
Il piano assegna notevole importanza ai sistemi portuali regionali, con l'istituzione di un ente di sistema denominato Autorità Portuale Regionale di natura pubblico-economica, «istituito con legge regionale e sottoposto alla vigilanza della Regione marittima di appartenenza» e retto da rappresentanze regionali e degli enti locali. Compito dell'authority sarebbe la «creazione di sistemi portuali regionali integrati», in un'ottica che «protenda a non frammentare l'offerta quanto piuttosto a concentrarla su "poli specificatamente dedicati"». «Circa il reperimento delle risorse economico-finanziarie - spiega inoltre Schiaffino - si ipotizza, anche in questo caso, un progressivo decentramento in seno all'Autorità Portuale Regionale dei gettiti fiscali, di ragguardevole entità, prodotti dai diritti doganali, da diritti di altra natura, dalle cosiddette tasse sulle merci di sbarco/imbarco».
Le Autorità Portuali Regionali governerebbero così sui "porti di interesse comunitario" ed i "porti regionali" trasformati in Società per Azioni, «con una ripartizione azionaria che annetta a Regione, Comune e Provincia il ruolo di socio di riferimento». I "porti di interesse comunitario" sarebbero individuati come tali dal Comitato Nazionale della Portualità sulla base di criteri qualitativi e quantitativi, e cioè «la caratterizzazione commerciale in termini di internazionalità dei traffici movimentati ed in termini di volumi annui sviluppati; la caratterizzazione geografica in termini di consolidata posizione strategica sia nei confronti dei citati traffici sia in relazione all'ampiezza del cosiddetto bacino d'utenza; la caratterizzazione nautica, strutturale ed infrastrutturale come parametro di qualità dei servizi offerti, siano essi di natura diversificata o specializzata; la caratterizzazione gestionale ovvero l'attribuzione della gestione delle attività portuali in senso stretto alla responsabilità di soggetti di natura privatistica». Con criteri analoghi verrebbe effettuata la selezione dei "porti d'interesse regionale", mentre come "porti satellitari" verrebbero individuati quegli scali «di medio/piccole dimensioni che si distinguono per attività 'specialistiche' quali l'asservimento a determinati flussi merceologici di traffico, le autonomie funzionali, l'esercizio della grande pesca, l'esercizio della nautica da diporto».
Tra le numerose competenze delle SpA - assimilabili come figura istituzionale agli attuali enti portuali - ci sarebbero «la gestione progettuali, programmatica, esecutiva, economico-finanziaria degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla base di criteri normativi che definiscano inequivocamente i limiti di competenza fra S.p.A. portuale e soggetti terzi concessionari; la redazione del Piano regolatore portuale da sottoporre all'Autorità Portuale Regionale; la redazione del piano economico di supporto con l'indicazione dei criteri di ammortamento; la gestione progettuale, programmatica, esecutiva, economico-finanziaria degli interventi 'di grande strutturazione e/o ristrutturazione' recepiti dal Piano regolatore portuale, approvati dall'Autorità Portuale Regionale e dall'organismo centrale 'Comitato nazionale dei porti'; l'interazione con l'Autorità Portuale Regionale per la gestione dei profili relativi alla formazione ed alla sicurezza (Scuola marittimo portuale); l'istituzione di una Commissione permanente formata da rappresentanti della S.p.A. portuale, delle associazioni di categoria, delle A.S.L., territorialmente competenti, per l'analisi dei profili relativi alla sicurezza del lavoro e per fornire indirizzo ai meccanismi ispettivi di controllo; l'interazione con l'Autorità Portuale Regionale per la gestione del lavoro interinale; l'interazione con l'Autorità Portuale Regionale per l'espletamento delle attività complementari relative ai piani comunicazionali, alle attività di marketing, istituzionale e promozionale, alle attività di partenariato e cooperazione internazionale; l'interazione con l'Autorità Portuale Regionale per la redazione del Piano regionale dei Trasporti».
Dedicando un paragrafo al porto di Genova, punto di confronto nel bene e nel male di ogni fase di trasformazione del sistema portuale nazionale, Schiaffino rileva che la legge 84/94 non ha consentito di portare ordine e razionalità in materia di lavoro portuale e in particolare «'il caso Genova' rappresenta un emblematico riassunto del fallimento normativo atteso che le funzioni attualmente espletate dalla locale Compagnia alterano, in modo inequivoco, il criterio della concorrenza» e che «le ragguardevoli agevolazioni economiche concesse lasciano inalterato il giudizio di dubbia legittimità». Ridottasi, con la regolarizzazione e la programmazione delle linee, la necessità di fare fronte ai "picchi di traffico", secondo Schiaffino «il lavoro portuale, pur nella propria specificità, non presenta caratteristiche talmente dissimili dalle altre fattispecie da dover costringere all'individuazione ed adozione di soluzioni altrettanto dissimili», ma le fluttuazioni del traffico sarebbero «verosimilmente superabili attraverso la flessibilità di impiego delle maestranze che operano nell'ambito di imprese portuali complessivamente intese».
Circa il problema della liberalizzazione - spiega Schiaffino - «la tendenza normativa non dovrà alimentare alcun profilo di 'deregulation', quanto piuttosto puntare sugli elementi della 'specializzazione del lavoro' nell'ambito di un confronto concorrenziale 'a numero chiuso', ossia in una situazione che ammetta, come ovvio, il confronto fra almeno due soggetti 'imprese di servizio' adeguatamente preselezionate», due soggetti però «completamente distinti, privi di correlazioni azionarie incrociate, che consentano l'effettivo dispiegarsi della concorrenza sulla base degli usuali criteri informativi, ossia costi, produttività, qualità del servizio reso». Riferendosi al "lavoro interinale" Schiaffino ipotizza comunque sotto il profilo applicativo «il ricorso ad uno 'strumento neutro' che privilegi unicamente l'equilibrio del mercato; l'identificazione di detto strumento, ovvero 'dell'impresa di fornitura di lavoro temporaneo', può essere quindi effettuata o astraendo dall'esistente offerta - nel caso da condizionare 'istituzionalmente e funzionalmente' attraverso specifico regolamento - oppure attraverso la creazione di un nuovo soggetto da dedicare all'esclusiva fattispecie del fabbisogno portuale. In tale ultimo caso un soggetto governato dall'Autorità Portuale Regionale, dalle S.p.A. di sottosistema e dal 'mondo portuale' nelle proprie diverse caratterizzazioni».
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