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La Federal Maritime Commission sottolinea il ruolo regolatore delle conference marittime. Una totale deregulation incentiva le fusioni e riduce la concorrenza. Danneggiati anche i porti
La battaglia per la deregulation del mercato - ha detto il presidente della FMC - è stata condotta dagli NVOCC, che sarebbero i primi a soffrirne gli effetti negativi
28 marzo 2001
Intervenendo ieri a Londra alla quarta conferenza annuale "Containerisation International", incentrata sugli effetti della deregulation del mercato del trasporto marittimo containerizzato, il presidente della statunitense Federal Maritime Commission (FMC), Harold J. Creel Jr., ha ricordato che l'Ocean Shipping Reform Act (OSRA) del 1998 ha modificato gli assetti abolendo il controllo delle conference sui contratti di servizio. Si è verificata di conseguenza una proliferazione dei contratti tra singoli caricatori e singoli vettori marittimi. Si è trattato di una nuova regolamentazione del mercato - ha però precisato - e non di una deregulation.
«Credo - ha detto comunque Creel - che ogni tentativo di limitare o eliminare la possibilità per i vettori di agire di concerto debba essere condotto su basi omogenee. Come sapete ci sono almeno venti nazioni industrializzate, tra cui quelle dell'Unione Europea, che offrono qualche forma di immunità antitrust o qualche esenzione rispetto alle normative restrittive riguardanti le conference. In questo contesto sarebbe un suicidio economico per una singola nazione abbandonare un sistema che ha funzionato bene e che tuttora è in vigore altrove. A questo riguardo ricordo come il governo canadese sembra abbia riconosciuto la necessità di mantenere la possibilità per i vettori di svolgere i loro traffici in maniera concertata. E' recente la presentazione del Canada Shipping Act 2001 (inforMARE del 6 marzo, ndr), con il quale verrebbe emendato lo Shipping Conferences Exemption Act per adeguare la normativa alla nuova regolamentazione (non de-regolamentazione) dell'OSRA».
Le conference - ha sottolineato Creel - hanno impedito che le rate di nolo scendessero sotto il livello di remuneratività, in particolare in presenza di un surplus di offerta, e le immunità antitrust hanno permesso di assicurare un'adeguata ed efficiente fornitura di servizi di trasporto marittimo, di cui hanno beneficiato gli esportatori e il commercio statunitense.
Gli accordi tra armatori - ha aggiunto - hanno permesso loro di utilizzare congiuntamente terminal e navi più grandi e più efficienti, pur mantenendo separate le attività commerciali e concorrenziali. Questo ha provocato un miglioramento dell'efficienza operativa che ha condotto ad una riduzione dei costi e ad un miglioramento dei servizi ai clienti.
«Questa cooperazione - ha spiegato Creel - può anche facilitare l'ingresso in nuovi traffici. Senza la possibilità di stringere questi accordi, i vettori probabilmente sarebbero indotti a prendere in considerazione le fusioni, con una conseguente riduzione del loro numero e con l'eventualità che il commercio estero degli Stati Uniti venga controllato da un piccolo oligopolio di potenti linee di navigazione. Inoltre l'immunità antitrust nei commerci statunitensi non è senza restrizioni o tanto meno assoluta. Ci sono sufficienti verifiche e controlli per assicurare che queste alleanze non inducano comportamenti anticoncorrenziali».
Riguardo alla domanda centrale del convegno, ossia se i caricatori e i vettori sarebbero i maggiori beneficiari di un mercato totalmente deregolamentato, Creel ha detto che la risposta è «dipende». Il presidente della Federal Maritime Commission ha detto che questo tipo di mercato potrebbe danneggiare i caricatori medio-piccoli, «che sono la spina dorsale della nostra economia». «Secondo una recente statistica stilata dal dipartimento statunitense del Commercio - ha spiegato - nel 1998 il 97% di tutte le imprese esportatrici USA era di taglia medio-piccola, e l'88% era costituito da piccole società. Queste piccole e medie imprese sono responsabili di poco meno del 30% di tutte le esportazioni statunitensi. E' estremamente importante che gli interessi di questi caricatori sia tenuto presente in ogni discussione sulla deregolamentazione, perché sono coloro che risentono degli effetti di ogni diminuzione dei servizi o degli aumenti dei prezzi».
Effetti negativi di una totale deregulation potrebbero riguardare anche i vessel sharing agreements (VSA). Creel ha ricordato che questo tipo di accordi sono aumentati dagli 87 del 1997 ai 148 del 2000 e che una completa deregulation potrebbe colpirli duramente, ponendoli nel mirino del dipartimento di Giustizia statunitense. Ne ricaverebbe una spinta anche la tendenza alle fusioni, con il risultato di ridurre i soggetti che competono nel mercato. «In definitiva - ha detto - nell'arena del trasporto internazionale prevarrebbero molto probabilmente quelli con le tasche più fonde e con i maggiori appoggi governativi. Ma, cosa che mi preoccupa ancor di più, le fusioni provocherebbero un'ancor maggiore dipendenza dai vettori controllati dagli Stati» Tra questi ultimi Creel ha citato le cinesi COSCO, Sinotrans e China Shipping Container Lines.
L'unico modo in cui i caricatori potrebbero trarre beneficio da una totale deregulation - ha affermato - consisterebbe nel costringere i vettori a ripartire i profitti con questa categoria di operatori. Cosa tutt'altro che scontata.
«Una categoria di caricatori che potrebbe essere particolarmente danneggiata da una totale deregulation - ha detto Creel - sarebbe quella dei non vessel operating common carrier (NVOCC). Questo è in qualche modo ironico, perché gli NVOCC hanno condotto una battaglia nell'ultimo Congresso per abolire l'immunità antitrust relativa agli accordi tra i vettori oceanici. Se le rate di nolo scenderanno, gli operatori NVOCC dovranno far fronte alla dura concorrenza tra le stesse linee marittime. I vettori probabilmente competeranno anche nelle attività di consolidamento e di logistica, proprie dei NVOCC, alla ricerca di nuove aree di profitto. Quando la capacità giungerà a saturazione, gli NVOCC potranno trovare estrema difficoltà nell'acquisire spazi a prezzi vantaggiosi, da poter proficuamente rivendere ai loro clienti».
Anche i porti - secondo il presidente della FMC - subirebbero gli effetti negativi di una totale deregulation. «Com'è noto - ha detto - c'è una crescente tendenza da parte dei vettori oceanici a dotarsi di navi sempre più grandi. Utilizzano normalmente unità da 5.000 teu, e sono in corso ordinativi per navi fino a 10.000 teu. Questo trend, combinato con un maggiore consolidamento derivante dalla deregulation, farà sì che pochissimi porti possano essere serviti da scali diretti. I vettori superstiti si concentreranno su un ridotto numero di porti "centri di imbarco", forse uno o due su ciascuna costa degli Stati Uniti. Ciò comporterà un significativo, deleterio, impatto sulle economie di quei porti che saranno stati tagliati fuori e sulle attività che vi convergono».
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