L'attacco aereo al cuore degli Stati Uniti dello scorso 11 settembre ha avuto un pesante impatto sull'economia americana e mondiale, forse destinato ad accentuarsi con l'avvio della guerra al terrorismo, condotta sotto la denominazione "giustizia infinita", che è stata ufficialmente dichiarata da Washington ed è sostenuta dalla maggioranza delle nazioni mondiali, solidali con l'iniziativa americana.
Se il blocco occidentale ha concordemente manifestato la volontà di estirpare la piaga del terrorismo al fianco degli USA, altrettanto non è avvenuto in altre nazioni che avversano l'azione del governo Bush. E' tuttora incerta la posizione che assumeranno alcuni paesi quando saranno colpite le prime basi terroristiche. L'Iraq e l'Afghanistan, che sinora ospita Osama Bin Laden, il sospettato numero uno per gli attacchi aerei agli USA, sono fermi oppositori della politica americana. Meno definita è la posizione degli Emirati Arabi Uniti, una delle tre nazioni che hanno riconosciuto il regime dei talebani in Afghanitan, ma anche del Pakistan, dello Yemen, della Siria e della Libia, che hanno condannato gli atti terroristici ma che rimangono decisamente in dissenso nei confronti degli USA. Tradizionale oppositore tenace di ogni iniziativa americana è inoltre l'Iran, peraltro distante anche dai talebani. Poco chiara risulta pure la posizione della Cina: Pechino ha fermamente dichiarato la sua condanna degli attacchi a New York e Washington e si sta avvicinando sempre più al mondo economico occidentale con il suo prossimo ingresso nella WTO, ma l'occidente la accusa di dare sostegno a gruppi terroristici.
Lo schieramento geografico delle nazioni che non appoggiano l'azione statunitense fa presagire il possibile riacutizzarsi delle tensioni sia in Medio Oriente che nell'Asia meridionale. La situazione in queste regioni è considerata sempre più incerta dalle compagnie di assicurazione, che hanno rialzato i premi per il rischio di guerra sia per l'intero Medio Oriente che per il subcontinente indiano. Tale misura comprende anche il Mar Rosso, e quindi il traffico che transita attraverso il canale di Suez, vero fulcro dei traffici est-ovest. L'inevitabile rialzo del costo del trasporto lungo queste rotte, determinato dall'aumento delle spese, peserà ulteriormente sui vettori oceanici, già alle prese con un eccesso di offerta che di giorno in giorno si fa più accentuato. Non si parla di un blocco del traffico nel canale di Suez - un'ipotesi che atterrisce i già preoccupati operatori impegnati nei traffici Asia-Europa - ma il possibile calo dei transiti è una minaccia incombente sulle economie marittime che si alimentano dei traffici che attraversano il canale.
Bruno Bellio
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