"Perché navi e porti non
bucano i media?" era la questione su cui si è imperniato stamani uno scambio d'idee organizzato dalla rivista "Sailing List" dell'Autorità Portuale di Genova. "Ma perché mai porti e navi dovrebbero
bucare i media?" è la domanda-risposta rilanciata da alcuni partecipanti al dibattito, anche se non formulata in termini così poco cortesi e opportuni visto che attorno al tavolo della Sala dei Protettori di Palazzo San Giorgio sedevano non solo giornalisti, ma anche armatori (il vicepresidente di Confitarma, Alcide Ezio Rosina), presidenti di Autorità Portuali (Giovanni Novi per Genova e Rino Canavese per Savona) e rappresentanti di lavoratori e imprese portuali.
Sul banco degli imputanti ci sono i principali quotidiani nazionali, non le testate delle città portuali o quelle specializzate, che - è stato precisato - giocoforza si occupano maggiormente di shipping.
Cortese nello spiegare le ragioni e le colpe per cui i giornali ad ampia diffusione non dedicato molto spazio al settore marittimo, Giacomo Ferrari del Corriere della Sera ha chiesto perché il settore delle costruzioni, davanti allo shipping nella graduatoria della generazione di prodotto interno lordo, non appare spesso sui giornali.
«Chiediamoci - ha sollecitato Enrico Musso, docente universitario di Economia dei Trasporti - se quello di cui stiamo parlando avviene perché la comunità dello shipping non ha molto da dire che interessi all'opinione pubblica». «Forse - ha osservato - non è tanto in crisi il rapporto tra shipping e informazione, quanto tra shipping e società». Un altro ostacolo - ha suggerito - è che «gli argomenti di cui si parla hanno un contenuto tecnico che non è propriamente quello delle partite di calcio».
Invece - non è una novità - gli operatori dello shipping ritengono che il poco spazio dedicato loro dai giornali più diffusi sia dovuto a deficienze di comunicazione del settore. «Il comparto - ha confermato Rosina - deve recitare dei mea culpa micidiali». C'è necessità - ha detto Canavese - «di far conoscere all'opinione pubblica il valore dei porti», soprattutto - ha aggiunto - «in un momento in cui i grandi gruppi armatoriali stanno decidendo se l'Italia è un posto in cui investire». Da parte sua Novi ha «un'idea ben chiara perché alla stampa non arriva ciò che fa lo shipping»: un motivo - ha spiegato - è la carenza di imprese del settore nei listini borsistici, da cui deriva uno scarso interesse diretto nelle imprese da parte del pubblico, l'altro «è la riservatezza enorme che c'è nel settore».
Non è una novità neppure che i giornalisti si interroghino sulla provenienza delle risorse che consentono loro di scrivere sui giornali: chi ritiene che i giornali siano fatti con gli introiti della pubblicità e delle vendite in edicola, chi con l'intervento diretto di Dio, chi crede negli editori indipendenti, chi non crede negli editori indipendenti, chi vorrebbe gli editori indipendenti, chi ritiene giustificabile avere un occhio di riguardo per chi paga e chi no. Come se una domanda non formulata aleggiasse nella Sala dei Protettori: l'industria dello shipping è disposta a pagare per accrescere la sua visibilità sui media?
Non è una sorpresa, infine, che anche il settore marittimo, come altri comparti dell'economia, voglia uno spazio sui media a larga diffusione e, auspicabilmente, su quelli televisivi, mezzo di catarsi delle ambizioni moderne. I media più "popolari" sono ritenuti da alcuni rappresentanti dello shipping un'opportunità per rivitalizzare il settore, senza tener conto che nel fare la respirazione bocca a bocca ad un individuo sano sovente si rischia di soffocarlo.
Bruno Bellio