Un bilancio in chiaroscuro quello di oltre un anno trascorso dall'introduzione del decreto legislativo 344 del 12 dicembre 2003 ("Riforma dell'imposizione sul reddito delle società, a norma dell'articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80") che, all'articolo 162, introduce il concetto di "stabile organizzazione". Secondo Giovanni Novi, presidente dell'Autorità Portuale di Genova, Antonio Viola, direttore regionale dell'Agenzia delle Entrate della Liguria, e Giovanni Puoti, ordinario di Diritto tributario internazionale alle Università La Sapienza e LUISS - Guido Carli, il decreto consente al settore marittimo italiano di attrarre armatori stranieri, attivando nuove opportunità di business in Italia, e si affianca alle opportunità offerte dal regime imposizione fiscale della cosiddetta "tonnage tax" in via di approvazione. Secondo Filippo Galli, presidente dell'Associazione Agenti Raccomandatari Mediatori Marittimi, Agenti Aerei - Genova (Assagenti) - che pur ha definito la sua disamina non pessimista - la norma giunge con trent'anni di ritardo.
Nel corso del convegno "Sedi secondarie e stabili organizzazioni di imprese armatoriali estere in Italia: problemi e opportunità", organizzato da Liguria International e svoltosi questo pomeriggio a Palazzo San Giorgio a Genova, Novi, Viole e Puoti e il presidente di Liguria International, Vittorio Doria Lamba, hanno sottolineato come il decreto consenta agli armatori esteri di far gestire le proprie flotte in Italia senza incorrere in una doppia imposizione fiscale: quella del loro Paese e quella italiana. La nuova normativa - ha però rilevato Novi - «sinora non ha avuto il successo sperato» e ciò - secondo il presidente dell'ente portuale genovese - per due ragioni: «non abbiamo fatto abbastanza pubblicità a livello internazionale» - ha spiegato - e «c'è stata l'inerzia dei nostri agenti marittimi». In Germania, in Austria e a Montecarlo - ha ricordato Novi - le attività di gestione delle flotte hanno trovato terreno fertile, ma anche l'Italia avrebbe buone prospettive: «Germania, Austria e Montecarlo - ha osservato - hanno costi più elevati dei nostri. Sta a noi sviluppare queste attività».
Sergio Maria Carbone, ordinario di Diritto internale all'Università di Genova, ha detto che «la legge rimuove equivoci e ambiguità», ma ha anche sottolineato l'importanza dell'aspetto fiscale, determinante affinché l'Italia diventi appetibile per le flotte estere.
Il presidente di Assagenti ha riconosciuto le ragioni che hanno condotto a metà degli anni '70 a voltare pagina, impedendo ad attività armatoriali estere di operare in Italia perseguendo attività di vero e proprio «mimetismo armatoriale». Le attività di ship management possono trovare nuovo impulso con l'introduzione del decreto legislativo di fine 2003, ma - ha aggiunto Gallo - c'è da chiedersi se «è ancora economicamente remunerativo svolgere questa attività nel nostro Paese». Le attività di ship management - ha spiegato - sono
labour intensive e pertanto - ha concordato - «la primaria discriminante è l'imposizione fiscale»
B.B.