Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha sollecitato i porti italiani a fare sistema per far fronte alla concorrenza dei porti nordeuropei e di altri sistemi portuali, in particolare quello spagnolo.
Intervenendo alla sessantesima assemblea generale della Confetra sul tema "Lo sviluppo asiatico e il business logistico", svoltasi oggi nel Centro Congressi di Montecitorio, il premier ha sottolineato la necessità di costituire un sistema portuale dell'Alto Adriatico, formato dai porti di Trieste, Fiume, Venezia e Capodistria, ed un sistema portuale dell'Alto Tirreno, formato da Genova e La Spezia, e di coordinare l'attività degli hub portuali di Taranto, Cagliari e Gioia Tauro.
Per sfruttare le opportunità offerte dalla crescita dei mercati asiatici, che ha nuovamente posto il Mediterraneo al centro dei grandi traffici mondiali ed ha dato una nuova chance all'Italia grazie alla sua migliore posizione geografica - ha detto Prodi - c'è bisogno di sistemi portuali con specifiche specializzazioni ed è necessario interconnetterli e integrali.
Eccessivo - secondo il premier - è il numero degli interporti (55) e delle Autorità Portuali (24). Prodi ha evidenziato la necessità di riformare il sistema portuale promuovendo le liberalizzazioni e l'autonomia delle Autorità Portuali, lavorando sui distretti logistici ed incentivando lo sviluppo degli hub portuali e l'utilizzo delle autostrade del mare.
Nel corso del suo intervento Prodi ha tra l'altro sollecitato Poste e Ferrovie a dare vita ad un nuovo grande operatore nel settore della logistica.
Il presidente della Confetra, Pietro Vavassori, ha ricordato come oggi la fattura logistica italiana sia vicina ai 200 miliardi di euro. Tuttavia - ha precisato - «è ormai chiaro a tutti che quello della logistica è un mercato globale, come quello dei beni di consumo o dei servizi finanziari, mercato che si misura non in decine di miliardi, ma in migliaia di miliardi di euro. Il nostro obiettivo strategico, dunque, non può più essere tanto la terziarizzazione logistica delle imprese italiane, ma la conquista di uno spicchio di mercato nel grande business della logistica mondiale».
Nel 1970 - ha detto Vavassori - il traffico mondiale dei container era di circa 10 milioni di teu, mentre oggi vengono movimentati oltre 400 milioni di teu. «Oggi - ha sottolineato - la metà dei container che girano nel mondo è di provenienza o destinazione cinese. Nel prossimo decennio la Cina si appresta a superare come quantità di ricchezza prodotta tanto l'Europa, quanto gli USA; sorpasso già avvenuto se si sommano i dati della Cina con quelli dell'India. Così come si appresta a diventare il primo partner commerciale di tutti i principali Paesi del mondo. In questo scenario mondiale da capogiro, la Germania, attraverso i porti del Nord, gestisce un traffico di container quattro volte superiore a quello che sarebbe giustificato dal volume delle merci importate o esportate dal Paese: in realtà la Germania svolge un ruolo di piattaforma logistica al servizio di altri Paesi, tra cui sicuramente l'Italia».
«Secondo l'istituto di ricerca Fraunhofer - ha proseguito Vavassori - la logistica costituisce in Germania il terzo datore di lavoro, dopo l'industria dell'auto e quella chimica, con 2,6 milioni di occupati. In Italia sono 500mila gli addetti, dipendenti e autonomi, dell'intero settore trasporto merci e logistica. Non siamo ancora all'anno zero, ma quasi».
Il presidente di Confetra ha rilevato come intorno al business dei container e della catena logistica ed economica legata ai container, la partita in Europa sia «ancora apertissima: non solo i flussi di merce sono sempre meno atlantici e sempre più asiatici attraverso Suez - ha osservato - ma il Northen Range arriverà presto ad una saturazione, perlomeno temporanea; non solo le maggiori potenzialità di crescita sono nell'Europa dell'Est - Sud Est e nel Nord Africa, ma proprio per questo la tendenza al bilanciamento dei traffici e alla riduzione dell
'operation period renderà il transit time degli scali mediterranei ulteriormente vantaggioso rispetto ai porti del Nord».
Vavassori ha elencato le criticità infrastrutturali che l'Italia dovrà risolvere per sfruttare le opportunità offerte dalla crescita dei traffici marittimi con i mercati asiatici. In particolare - ha detto - il problema degli éscavi nei porti «dovrà dunque essere affrontato e risolto, naturalmente nel rispetto delle norme ambientali come avviene in tutto il mondo civile».
Inoltre bisognerà affrontare e risolvere l'inadeguatezza delle aree retroportuali e delle connessioni con le reti viarie e ferroviarie. «Qui il problema - ha precisato - diventa squisitamente politico». Vavassori ha ricordato che in Italia ci sono 150 porti e 24 Autorità Portuali che, con l'ultima legge finanziaria, sono state dotate ciascuna di autonomia finanziaria che di fatto equivale ad una autonomia gestionale. «Ma è pensabile - ha rilevato - che ciascun porto possa decidere liberamente in concorrenza con tutti gli altri porti di investire proprie risorse per fare qualsiasi cosa? Dal traffico turistico al transhipment, dal ro-ro alla piattaforma logistica? Se il male dei porti italiani è l'eccessiva frammentazione delle strutture che non hanno singolarmente la forza di competere con i principali porti stranieri - ha aggiunto - bisogna puntare alla specializzazione e individuare i porti su cui concentrare le risorse e gli investimenti necessari. È fondamentale riorganizzare il sistema portuale nazionale affinché ciascun porto possa avere un ruolo e una funzione ben definiti all'interno di un chiaro disegno strategico che favorisca vocazioni e specializzazioni. Si deve stabilire quali siano per posizione geografica, per strategia di mercato, per connessioni con le reti interportuali e intermodali, i porti capaci di intercettare le nuove quote di traffico mondiale che sorgono a Est, come il sole».