Oggi a Roma l'Associazione Porti Italiani (Assoporti) ha presentato un rapporto sui porti nazionali redatto da Sergio Bologna e Zeno D'Agostino che sottolinea come gli scali non siano in crisi, ma non costituiscano ancora la piattaforma logistica del Mediterraneo.
Il rapporto, commissionato dall'associazione, evidenzia la battuta d'arresto che caratterizza la portualità italiana. Il documento sostiene che questa non è dovuta esclusivamente all'esistente gap infrastrutturale, che solo ora con l'ultima legge finanziaria si inizia di nuovo ad affrontare, e che non appare generalizzata. Questa battuta d'arresto è vista anche come conseguenza di altri due fattori: la mancata crescita economica del Paese e il ruolo, sinora solo virtuale, di piattaforma logistica.
Al contrario della Germania, i cui porti, ben collegati con le infrastrutture di rete, svolgono la funzione di piattaforma logistica per il mercato esteso di Baltico e Russia, l'Italia ha i traffici ripartiti su più scali marittimi che soffrono di connessioni non adeguate con gli hinterland serviti, porti di transhipment lontani oltre mille chilometri dalle principali aree di produzione del Paese, ancora concentrate nell'area padana.
Di contro - rileva il rapporto - alcuni indicatori attestano della vitalità e potenzialità dei maggiori scali del Paese: il numero delle linee regolari marittime è aumentato, anche quelle di collegamento diretto con la Cina e i mercati dell'Estremo Oriente, i traffici ro-ro e le crociere hanno segnato percentuali di crescita, così come alcuni traffici convenzionali specializzati.
Secondo il rapporto, «un quadro uniformemente negativo della portualità italiana negli anni 2003-2006 è quindi deformante». Le carenze sono specifiche e vanno esaminate con attenzione caso per caso pur in ottica di sistema.
Le caratteristiche del Paese - osserva il documento - rendono comunque necessaria una riflessione: l'unico modello di sviluppo portuale compatibile con l'economia italiana è un modello pluralistico, nel quale trovino spazio porti con differenti vocazioni, ma anche porti polifunzionali.
Dal documento emerge quindi una struttura a macchia di leopardo della portualità italiana, nella quale esistono, è vero, punti di criticità - che più di altri hanno pagato il gap infrastrutturale nonché la mancata crescita dell'economia nazionale negli anni più recenti - ma evidenzia anche segnali positivi. «Questi segnali - ha detto il presidente di Assoporti, Francesco Nerli - non consentono ancora all'Italia di candidarsi per svolgere il ruolo di piattaforma logistica del Mediterraneo al quale legittimamente possiamo aspirare». «Solo comprendendo che per il suo sviluppo l'Italia deve puntare su un modello portuale pluralistico - ha aggiunto - potranno essere colte le occasioni anche nuove che il mercato internazionale schiude all'Italia».
Particolare attenzione è dedicata alle opportunità generabili dall'autonomia finanziaria delle Autorità Portuali per far fronte alle necessità di investimenti infrastrutturali nei porti e dalle reali chance di dare vita a forme di project financing, di cui il rapporto indica alcuni aspetti; neanche può essere trascurata la ricerca di una maggiore integrazione e di una coesione tra i soggetti della "comunità portuale".
Il rapporto si occupa anche del mercato logistico e rileva l'andamento in l'Italia degli investimenti in immobili logistici. Sino ad oggi sono cresciute le concentrazioni logistiche nelle aree del nord prospicienti i grandi centri di produzione e consumo, accentuando squilibri territoriali esistenti. La prospettiva per i prossimi anni sarà quella di favorire uno sviluppo logistico dei territori accanto a Roma e nel Mezzogiorno. In questa ottica, e proprio per le peculiarità geografiche dell'Italia, la formula dei distripark (centri di movimentazione e lavorazione delle merci in aree limitrofe ai porti), rivelatasi di successo in altri paesi europei, in Italia pare segnare il passo. Emerge l'indicazione per i porti di "mettersi in rete" con le infrastrutture logistiche interne.
Inoltre il rapporto indica, tra i fattori chiave di sviluppo per la portualità, l'efficienza del servizio ferroviario. Già oggi il trasporto ferroviario in Italia da e per i porti supera in alcuni scali le percentuali di trasporto ferroviario da e per il porto di Rotterdam. Tuttavia gli interrogativi si appuntano sulla capacità della rete italiana attuale a far fronte a crescite consistenti nei volumi di traffico. Sono necessarie inoltre risposte per quanto attiene l'ultimo miglio e il modello di esercizio del servizio ferroviario.
Proprio nell'ottica di un deciso rilancio della portualità nazionale, Nerli ha sottolineato come, fra i primi passi necessari per compiere un salto di qualità indispensabile, figuri l'immediata istituzione di un tavolo di confronto porti-ferrovie-governo, anche alla luce della precisa richiesta dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, di rivedere le concessioni, verificare le modalità con le quali sono state assegnate a operatori stranieri, e quindi realizzare le condizioni per un ruolo di terminalista delle stesse FS .
Nel documento è contenuta anche la previsione di uno spostamento del focus logistico del Paese verso regioni dell'Adriatico e del Mezzogiorno, rispetto ad una situazione in cui la rete logistica del Paese continua ad essere concentrata sul sistema produttivo e di consumo lombardo-veneto.
Nel corso dell'incontro il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, ha detto che «il progetto Assoporti per la portualità, entrerà nel piano della mobilità di cui è ormai pronta la bozza sulle linee guida». Inoltre il ministro ha rilevato come le rivendicazioni delle ferrovie tese a diventare un operatore logistico e non solo un trasportatore, occupando «le aree pregiate della logistica» (ivi compresi i terminal portuali), abbiano importanti motivazioni economiche per il Sistema Paese.
Alla gestione di aree portuali si è candidato anche il mondo dell'autotrasporto, per voce del responsabile della Cna-Fita, Maurizio Longo.