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Bruno Musso, il Bruco e i mulini a vento
Fuoco di fila di perplessità e critiche al sistema del “Bruco”
12 aprile 2010
Bruno Musso è il Cid Campeador che battaglia per la vittoria oppure è Don Chisciotte della Mancia pronto a sbudellare l'aria per il trionfo della Verità? Sul poema del Cantare del Cid e sull'immortale hidalgo narrato da Miguel de Cervantes fonda le sue basi la letteratura spagnola. Bruno Musso, presidente del Gruppo Grendi, ha l'ambizione di portare la portualità genovese e italiana verso vette altrettanto elevate, verso l'innovazione e la leadership continentale.
Con gli eroi degli scrittori spagnoli Musso ha in comune una risolutezza che suscita rispetto. Anche i saccenti che parlano con velata ironia del suo progetto per il porto di Genova non possono fare a meno di ammirare l'energia e la fermezza della sua idea. Assoluta è la sua disponibilità a mettersi in gioco in prima persona, legando indissolubilmente il proprio nome al progetto del cosiddetto “Bruco”. Incondizionata è la sua disposizione a discuterne anche con gli scettici, come ha fatto oggi a Palazzo Tursi, sede del Comune di Genova, in occasione del convegno “Una soluzione logistica per il Nord Italia: il Bruco” che ha preso spunto dal volume “Il Bruco, Bi-level Rail Underpass for Container Operations” redatto dallo stesso Musso con Riccardo Roscelli.
Il progetto del Bruco prevede di realizzare nell'area portuale di Voltri banchine per 3,2 chilometri lineari collegate attraverso un tunnel dotato di un nastro trasportatore ferroviario continuo ad un'area retroportuale da realizzarsi in provincia di Alessandria. Un piano, predisposto dall'Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l'Innovazione (SiTI), associazione costituita dal Politecnico di Torino e dalla fondazione Compagnia di San Paolo, che prevede l'espansione a mare del terminal di Voltri grazie allo sfruttamento della diga frangiflutti e il progressivo abbandono dell'autotrasporto quale mezzo sinora indispensabile per portare i container fuori dall'area portuale e cittadina genovese. L'obiettivo è di innalzare la capacità di traffico dei container del porto di Genova fino a 10 milioni di teu all'anno.
Un piano che nella sua interezza necessita, secondo i calcoli dei progettisti, un investimento di 3.671 milioni di euro, di cui 29 milioni di euro per l'acquisizione delle aree, 179 milioni di euro per gli oneri progettuali, 2.373 milioni di euro per la costruzione dell'opera e 1.090 milioni di euro per dotarla di attrezzature e impianti necessari alla movimentazione e alla gestione dei carichi.
Anche Musso, come don Chisciotte, è accompagnato in quest'avventura da un compagno di viaggio. In questo caso non è un rozzo contadino. Anzi, come Sancio Panza, è tutt'altro che sprovveduto. La visione di Riccardo Roscelli, presidente del SiTI, collima con quella del presidente del Gruppo Grendi. «Siamo convinti - ha confermato Roscelli - che il progetto sia realizzabile dal punto di vista tecnico e logistico» e che abbia «una valenza nazionale ed europea».
La certezza di Roscelli è sembrata vacillare quando il sindaco Marta Vincenzi, ha esortato Musso a «convincere la platea che la sua visione non è da visionario» (forse anche il primo cittadino è un'appassionata dell'opera di Cervantes).
Musso, ovviamente, non si è tirato indietro. Se in Nord Europa- ha rilevato - hanno tratto vantaggio dal concentrare il traffico dei container su pochi porti principali, in Nord Italia tale flusso è stato irraggiato su otto porti che movimentano circa sette milioni di teu all'anno: «abbiamo distribuito il traffico su tutte le autostrade - ha spiegato - e questo ci ha salvati». Tuttavia gli attuali limiti infrastrutturali pongono un tappo sul potenziale di crescita dei porti italiani: «a Genova, con i nuovi riempimenti in porto - ha precisato - andremo a 2,5-3 milioni di teu, poi sbatteremo contro un muro». Pertanto dal Bruco - Musso ne è certo - «deriva il futuro di Genova quale grande porto internazionale e il futuro del Nord Italia quale motore economico».
Il presidente dell'Autorità Portuale di Genova, Luigi Merlo, non vuole più discuterne. «Questo è l'ultimo convegno sul Bruco a cui partecipo», è sbottato. L'obiettivo dell'ente di Palazzo San Giorgio è di presentare le linee guida del nuovo Piano Regolatore Portuale entro l'inizio del prossimo anno. Quindi Merlo vuole che il Bruco sia tradotto per tempo in un progetto che ne precisi la fattibilità tecnica ed economico-finanziaria e che definisca il programma temporale di realizzazione dell'opera in modo tale da presentarlo al Comitato Portuale che dovrà decidere se inserirlo o meno nella pianificazione dello sviluppo futuro del porto. A dire il vero Merlo sembra essere un po' dell'idea che Musso scambi i mulini a vento per giganti vista l'insistenza con la quale ha esortato a stabilire la praticabilità tecnica del Bruco.
Inoltre il presidente del porto di Genova ha evidenziato come il progetto abbia una portata nazionale e sia tale da «condizionare l'esistenza degli altri porti italiani del Nord Tirreno». «Genova - ha detto - non vuole fare fughe in avanti rispetto al sistema della portualità italiana». Se per un verso questa dichiarazione sembra ricucire lo strappo nella portualità nazionale procurato dalle pessimistiche previsioni di Merlo sul futuro degli hub nostrani di transhipment, dall'altro suona come una bocciatura del Bruco il cui obiettivo è proprio quello di far fare un salto in avanti alla portualità dello Stivale.
Queste, secondo Stefano Delle Piane, membro del comitato di gestione della Compagnia di San Paolo, sono perplessità da superare. «La Compagnia - ha replicato - è la prima a credere al progetto a patto che ci creda Genova». Delle Piane ha citato l'esempio del gruppo Unicredit che ha deciso di investire nella logistica con la costituzione di Unicredit Logistics e che si è impegnato a promuovere il progetto per la nuova piastra logistico-portuale incentrata su Trieste e Monfalcone. «La Compagnia di San Paolo - ha precisato - potrà fare qualcosa del genere».
A Genova - ad eccezione del Gruppo Grendi che in porto opera un terminal a Ponte Libia - sembra che ci siano da rimuovere anche i dubbi e lo scetticismo degli altri terminalisti locali. Pur affermando di non voler entrare nel merito del progetto in quanto a sostenibilità economica, il presidente della sezione Terminalisti di Confindustria Genova, Beppe Costa, ha infatti sottolineato alcune delle difficoltà da affrontare: a Voltri - ha ricordato - «c'è un terminalista che ha una concessione fino al 2053». Inoltre - secondo Costa - il progetto finirebbe per trasferire semplicemente il problema della distribuzione dei container oltre Appennino. Rimarrebbe poi la questione della ripartizione del traffico containerizzato tra gli scali dell'Italia settentrionale: «anche con un raddoppio dei teu - ha osservato - è improbabile pensare che gli altri porti non si muovano».
I pro e i contro del Bruco sono stati analizzati anche da Bruno Binasco, presidente della SIAS - Società Iniziative Autostradali e Servizi (gruppo Gavio), che ha rievocato il tormentato percorso dell'interporto di Rivalta Scrivia (Alessandria), progetto che «nel 1963 - ha ricordato - era stato osteggiato da tutti gli operatori» e che «oggi, grazie alla capacità del gruppo Fagioli, ha raggiunto la saturazione». Ancora arenato nei cassetti del ministero è invece il progetto presentato nel 1989 dallo stesso gruppo Gavio per la realizzazione dell'alta velocità sulla linea Genova-Milano. Sulla scorta di queste esperienze, secondo Binasco, «i tempi minimi di realizzazione del Bruco possono essere di 30 anni». Inoltre - per il presidente della SIAS - la prima alternativa infrastrutturale da realizzare è quella del Terzo Valico ferroviario sulla direttrice Genova-Milano, poi viene il Bruco.
Anche l'amministratore delegato del gruppo terminalistico Contship Italia, Nereo Marcucci, ha colto gli aspetti positivi (pochi) e quelli negativi (molti, a suo avviso) del Bruco. Il progetto e il suo libro - ha spiegato - «parlano un linguaggio che a noi piace, quello dell'innovazione». Tuttavia sono numerose le perplessità: «non capiamo - ha specificato - come possa funzionare un sistema treno-nave senza una staking area». Marcucci ritiene pure che il progetto determinerebbe uno stravolgimento del sistema italiano dei trasporti, con «una riprogettazione delle componenti sia hard che soft del sistema logistico». Dubbi, inoltre, sulle prospettive di utilizzo del Bruco: con un incremento del +5% all'anno - ha spiegato - senza togliere traffico ad altri porti, «i dieci milioni di teu li avremo nel 2050». Discutibile è anche l'accoglimento del progetto da parte delle istituzioni: «la concentrazione dei porti - si è chiesto - è politicamente possibile in Italia?» Una delle decisioni da assumere sarebbe quella di «non far decollare altri porti italiani». Sussisterebbero poi degli evidenti problemi di distribuzione di carichi accentrati sul sistema-Bruco, ma destinati a mercati italiani distanti dall'area alessandrina. Mercucci vede ostacoli anche sul fronte europeo: le linee guida che l'UE presenterà a fine anno - ha concluso - considereranno la differenza tra il costo dell'infrastruttura e il “fee” pagato dal concessionario quale aiuto di Stato.
Esaurito il fuoco di fila di perplessità e di critiche si è concluso il convegno. Solo nei prossimi mesi sapremo se Bruno Musso, come don Chisciotte, rinsavirà ma dovrà sopportare dolore e malinconia oppure, come El Cid, sarà protagonista della “reconquista”della portualità italiana.
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