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UIR, il Piano Nazionale della Logistica non può essere un elenco lungo di obiettivi, senza gerarchie ed effettiva capacità di esecuzione
«Rischia solo di essere - ha sottolineato Alessandro Ricci - un proclama di buone intenzioni destinato a non lasciare traccia nei comportamenti e nelle aspettative del mercato»
6 aprile 2011
Sottolineando che «un piano per la logistica davvero efficace, deve fare scelte ed indicare priorità», l'Unione Interporti Riuniti (UIR) ha nuovamente espresso una propria valutazione sul Piano Nazionale della Logistica, elaborato dalla Consulta Generale per l'Autotrasporto e la Logistica, che è stata presentata nel position paper che pubblichiamo di seguito.

«Un elenco lungo di obiettivi, senza gerarchie ed effettiva capacità di esecuzione - ha spiegato il presidente dell'Unione Interporti Riuniti, Alessandro Ricci - rischia solo di essere un proclama di buone intenzioni destinato a non lasciare traccia nei comportamenti e nelle aspettative del mercato». Ricci ha evidenziato l'opportunità di definire politiche semplici, ma concrete, che evitino di impantanarsi in questioni burocratiche, legali, fiscali ampliando ancor di più la marginalizzazione dell'Italia nella rete dei collegamenti internazionali.

Per l'UIR basterebbe concentrarsi su poche azioni misurabili in grado di segnare una direzione di marcia chiara per i soggetti che sono sul mercato e di attivare la trasformazione di una condizione di minorità logistica.

In particolare - ad avviso di UIR - sono tre gli assi di intervento su cui centrare l'azione di un piano della logistica: scelte coerenti di politica fiscale per tutti i modi di trasporto; misure decise a sostegno della intermodalità e della co-modalità; semplificazione delle procedure doganali.

L'Unione Interporti Riuniti ha concluso sottolineando che un piano nazionale della logistica non può essere isolato da una politica industriale più generale dalla quale estrapolare indicazioni operative quali effetto dell'andamento del mercato da cui tutto dipende.


NOTE AL DOCUMENTO

PIANO NAZIONALE DELLA LOGISTICA

Il contributo di Unione Interporti Riuniti
Marzo 2011


Negli ultimi tre decenni la logistica è stata l'artefice di una rivoluzione radicale nei modelli di produzione, essendo il tessuto connettivo della globalizzazione.

Senza la rete dei collegamenti marittimi, terrestri ed aerei, che si sono fortemente intensificati, sarebbe stata impossibile la trasformazione profonda dell'organizzazione produttiva su scala mondiale.

La recente crisi economica ha comportato un rallentamento della produzione e una riorganizzazione profonda dei flussi, che progressivamente vedranno, nei prossimi decenni, una maggiore centralità delle economie di più recente industrializzazione. La logistica seguirà, come è inevitabile che sia, le trasformazioni che saranno dettate dalla geografia industriale.

Alla ripresa della produzione e della crescita, la logistica, ancor di più, sarà un fattore determinante per la competitività delle economie internazionali, e l'accesso ai nuovi mercati sarà condizionato dalla qualità e dalla efficienza delle reti di connessione tra i luoghi di produzione ed i luoghi di consumo.

Proprio per queste ragioni, la sfida della logistica rappresenta per l'Italia uno snodo fondamentale per rilanciare competitività ed efficienza del sistema industriale nell'insieme.

Un piano per la logistica, se vuole essere davvero efficace, deve fare scelte ed indicare priorità. Un elenco lungo di obiettivi, senza gerarchie di priorità ed effettiva capacità di esecuzione, rischia solo di essere un proclama di buone intenzioni destinato a non lasciare traccia nei comportamenti e nelle aspettative del mercato.

Solo se ci si concentra su poche azioni misurabili, che individuino una chiara direzione di marcia per i soggetti che sono sul mercato, è possibile dare effettivamente un contributo alla trasformazione di una condizione di minorità logistica che caratterizza il nostro Paese.

Il rischio che abbiamo di fronte, è la possibile marginalizzazione dell'Italia nella rete dei collegamenti internazionali, per effetto, da un lato di una lenta crescita della produzione industriale presente nel nostro Paese e dall'altro di una scarsa competitività delle soluzioni logistiche presenti nel mercato italiano.

Se non si riesce ad operare in questa direzione, il rischio concreto è la perdita di opportunità a vantaggio di altre aree geografiche che possono costituire un'alternativa rispetto al nostro Paese.

D'altra parte, una inversione di rotta ed un miglioramento della qualità logistica può essere invece anche un fattore sul quale puntare per attrarre investimenti industriali nel nostro Paese.

Per molti settori industriali, il costo della logistica è ormai superiore allo stesso costo del lavoro, in rapporto al fatturato complessivo, e quindi, proprio per questa ragione, lo stesso spessore del tessuto industriale di ogni Nazione dipenderà anche dalla competitività dei servizi logistici offerti dal mercato.

Insomma, siamo davvero in mezzo al guado, e la logistica è una cerniera che può ricucire la competitività industriale dell'Italia oppure determinare un allargamento del gap di produttività che oggi ci caratterizza accompagnato, ormai da due decenni a questa parte, da un rallentamento strutturale della crescita del nostro Paese rispetto ai competitor.

Ad avviso di UIR sono tre gli assi di intervento su cui centrare l'azione di un piano della logistica che si proponga di cambiare l'orientamento dominante che negli ultimi decenni ha rallentato la competitività nazionale:

  1. scelte coerenti di politica fiscale per tutti i modi di trasporto;
  1. misure decise a sostegno della intermodalità e della co-modalità;
  1. semplificazione delle procedure doganali.
Vediamo separatamente come possano essere declinati questi tre assi di intervento, che sono inevitabilmente interconnessi, considerato che il punto strategico di debolezza logistica dell'Italia è determinato:

- dal forte squilibrio modale a vantaggio della gomma, frutto della debolezza strutturale delle altre modalità;

- dalle scelte di politica dei trasporti, che hanno sinora privilegiato una logica esclusivamente nazionale, a volte addirittura locale, perdendo di vista lo scacchiere logistico internazionale, ed operando più per preservare l'assetto esistente che non per trasformarlo.


1. Le scelte di politica fiscale nei trasporti

La politica fiscale nei trasporti, così come è accaduto anche in altri settori, è più il frutto di una stratificazione temporale di provvedimenti che si sono succeduti nel tempo, che una scelta consapevole volta a dare segnali al mercato per orientare i comportamenti degli operatori.

A fronte di un peso significativo del carico fiscale per il traffico su gomma determinato dalle imposte indirette sui carburanti, dall'altra parte sono state assunte una serie di decisioni di incentivazione fiscale all'autotrasporto a compensazione parziale proprio del carico di cui sopra sostenuto dalle imprese benedicendo il principio del: con una mano si toglie e con l'altra si compensa.

L'orientamento che fortunatamente si delinea nella normativa europea e che vale per tutti i modi di trasporto è quello in base al quale chi inquina paga, "polluter pays".

Questo principio, ispiratore della Direttiva Eurovignette che dovrà essere recepita anche nell'ordinamento italiano calato nella realtà del sistema logistico, impone una riflessione.

In primo luogo è fondamentale stabilire chi è il gestore della programmazione del movimento delle merci, attività che racchiude in sé la messa a punto di tutta una serie di parametri dai quali deriva la scelta della modalità di trasferimento dei beni. Il vettore, è noto, non ha possibilità di scelta, riceve input relativi al trasferimento della merce quali i vincoli di resa della stessa, quantità per spedizione, ecc. che predefiniscono di fatto la modalità di trasporto. Il vettore stradale non inquina per suo deliberato proposito, ma diviene soggetto da penalizzare in quanto inquinante!!. Il mondo della produzione non può essere considerato spettatore poiché è protagonista assoluto.

È fondamentale che il mondo della produzione e del commercio stemperi il modello attualmente dominante “del franco fabbrica e del franco destino” nella gestione dei flussi di merci. Misure di incentivazione per le imprese che sviluppano l'outsourcing nella gestione della mobilità delle merci costituirebbero un elemento concreto di lotta per allargare il mercato nazionale della logistica, invertendo una tendenza che oggi consegna parte del valore aggiunto nazionale a soggetti internazionali.

Si tratta di un'occasione irripetibile per ripensare alla radice l'approccio fiscale nei trasporti, per analizzare complessivamente l'impatto delle differenti misure fiscali in una logica di insieme, che deve essere finalizzata a favorire i modi di trasporto a minore impatto sull'ambiente. La discussione sul federalismo fiscale offre l'opportunità di mettere mano ad un approccio unitario di politica fiscale per i trasporti stabilendo quali debbano essere le imposte da destinare agli enti territoriali per le azioni di politica dei trasporti che possono essere più efficacemente affidate, in logica di sussidiarietà, alle strutture istituzionali decentrate.

Questa scelta è fondamentale non solo per orientare correttamente i comportamenti della domanda, secondo un principio di tutela del bene collettivo, ma anche per evitare di essere sanzionati, come Paese, se non si riuscirà a rispettare gli standard di riduzione dell'inquinamento che ci siamo impegnati a rispettare, a seguito del Trattato di Kyoto e dei successivi accordi internazionali.

Sono diversi gli strumenti che possono essere attivati per fare in modo che la leva fiscale sia uno strumento effettivo per trasformare il mercato della logistica.

Anche nel settore strategico della distribuzione urbana delle merci, proprio laddove pesa di più la congestione e l'inquinamento, misure di carattere fiscale, come il pagamento di un diritto di accesso per i mezzi inquinanti, possono orientare i comportamenti degli operatori e favorire un uso più razionale delle risorse.

Insomma, dedicare un modulo della necessaria riforma fiscale complessiva al settore dei trasporti, costruendo un approccio di insieme, rappresenta una priorità per il piano della logistica.


2. Misure a sostegno della intermodalità e della co-modalità

È mancata in questi decenni in Italia una politica strutturale per l'intermodalità, se ci eccettua la legge 166, i cui effetti sono però durati solo tre anni (con un effetto di rimbalzo negativo quando sono cessati gli effetti della legge), il provvedimento del ferrobonus, ancora in fase di avviamento, ed alcune leggi regionali.

Un piano della logistica deve decidere se puntare davvero sulla intermodalità e sulla co-modalità.
Per farlo servono alcune condizioni, che non si limitano solo alla individuazione delle risorse necessarie, nel medio termine, per favorire uno spostamento delle preferenze degli operatori dalla caratteristica dominante del tutto gomma verso l'integrazione modale. Servono, infatti, altre condizioni di contorno particolarmente rilevanti:

  1. definire una rete nazionale della intermodalità e della co-modalità, integrata con la rete europea, individuando i nodi di interscambio e le piattaforme (terrestri e marittime) strategiche per il disegno e per il funzionamento della rete;
la dispersione dei punti di interscambio, e la mancata gerarchizzazione della rete, complica l'effettiva possibilità di sviluppo della intermodalità, in quanto depotenzia la massa critica necessaria per attrarre soluzioni caratterizzate dalle indispensabili economie di scala che sono funzionali alla competitività della soluzione intermodale; è necessario evitare la proliferazione di insediamenti logistici che, diversamente dagli interporti, siano privi di quelle caratteristiche in grado di orientare il sistema dei trasporti verso l'intermodalità e la comodalità. Si potrebbe allora pensare di aprire un tavolo di confronto tra le istituzioni nazionali, regionali e comunali che si ponga l'obiettivo di definire regole condivise per l'individuazione e il rilascio dei permessi urbanistici per costruire nuovi insediamenti logistici.

  1. Perfezionare la riforma dei porti e realizzare quella degli interporti per consentire di rilanciare il ruolo delle piattaforme principali di interscambio dalle quali dipende l'architettura primaria della intermodalità;
la competitività e la completezza dei servizi presenti nei nodi di interscambio costituisce uno dei fattori strategici per il rilancio della intermodalità nel nostro Paese; manovre ferroviarie, soprattutto nei porti, servizi di handling, disponibilità di aree per lo stoccaggio e per la lavorazione delle merci sono fattori fondamentali per la qualità del ciclo intermodale;

  1. Agevolare il progresso della liberalizzazione del settore ferroviario
L'andamento recessivo del settore ferroviario in Italia è dovuto essenzialmente a due ragioni: da un lato Trenitalia Cargo non ha ancora realizzato una ristrutturazione industriale che renda competitivi i suoi costi di produzione rispetto al mercato, e dall'altro i nuovi entranti si sono concentrati solo sui pochi segmenti competitivi e profittevoli della offerta ferroviaria, realizzando una classica operazione di cherry peacking destinata a comportare una ulteriore riduzione del perimetro dei servizi offerti dall'ex-monopolista. La liberalizzazione del settore ferroviario che dovrebbe comportare un incremento dell'offerta di servizi ferroviari e del relativo livello di qualità, nel nostro Paese si è tradotta in tutt'altro effetto. A questo ha certamente contributo la crisi economica degli anni recenti, anche se in altri Paesi, ed in particolare in Germania, si è assistito ad un fenomeno opposto, con la crescita complessiva del settore. La liberalizzazione del settore ferroviario deve essere indirizzata a migliorare la competitività dell'industria ferroviaria, ad allargare e a qualificare l'offerta dei servizi ferroviari. Il tutto tramite una politica industriale che metta insieme atti normativi, scelte di indirizzo ed interventi di sostegno all'industria ferroviaria.

  1. Prevedere misure di sostegno per favorire la aggregazione imprenditoriale tra realtà interportuali, proprio per incentivare quella agglomerazione di soggetti nella rete portante della logistica nazionale, che può dare un positivo contributo alla evoluzione industriale del settore nel nostro Paese.

3. Semplificazione delle procedure doganali.

Con l'avvio dello sportello unico si è fatto sicuramente un primo passo avanti, ma siamo ancora troppo distanti dalle necessità del settore per combattere ad armi pari con la concorrenza degli altri stati europei.

- Il preclearning (i controlli si fanno dai destinatari o dai mittenti perché le merci devono correre veloci),

- un'armonizzazione delle procedure in tutte le dogane (oggi ogni dogana ha le sue procedure e i suoi vincoli),

- una riduzione drastica delle richieste di garanzie fideiussorie agli operatori e ai gestori di servizi logistici;

sono solo alcune delle misure che l'Unione Interporti Riuniti ritiene opportune per ricondurre il confronto agli stessi livelli per tutti gli attori.

Insomma, le azioni per lo sviluppo della intermodalità devono essere molteplici e si devono inquadrare in una scelta di politica industriale che deve mettere assieme atti normativi, scelte di indirizzo ed interventi di sostegno all'industria ferroviaria per favorirne la competitività.


Conclusioni

Quello che sollecita la UIR è, inoltre, uno stretto coordinamento tra l'attività di programmazione delle infrastrutture connesse alla logistica: porti, aeroporti e interporti e relativi collegamenti stradali e ferroviari, e una forte condivisione della prospettiva strategica che si basi su tempi e costi di realizzazione certi.

Dovendo procedere con ordine e con criterio, la programmazione delle infrastrutture deve tener conto delle "piattaforme logistiche territoriali", declinarsi sui singoli territori pur accogliendo le prospettive comunitarie in tema di trasporti e logistica che impongono una riflessione sugli interventi infrastrutturali da realizzare solo sulla base degli impatti che nel medio e lungo periodo potranno generare sui territori di riferimento.

Procedere in tale direzione richiede un piano d'azione puntuale che, accanto alle grandi opere che per definizione richiedono tempi lunghi e investimenti importanti, scadenzi opere minori in grado di eliminare parte di quei "colli di bottiglia" che tutt'oggi impediscono il massimo dispiegamento delle attuali potenzialità logistiche.
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