- Intervenendo oggi alla conferenza e fiera internazionale “CMA Shipping 2012” a Stamford, nel Connecticut, organizzata dalla Connecticut Maritime Association (CMA), il presidente dell'International Chamber of Shipping (ICS), Spyros M Polemis, ha sottolineato che le misure per il contenimento dell'impatto ambientale delle attività economiche devono essere rapportate alla realtà dell'economia.
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- In particolare, riferendosi al settore dello shipping, Polemis ha evidenziato che «è sempre importante sottolineare che siamo un'industria globale che richiede regole globali. Se le economie più importanti come gli Stati Uniti adottano norme che sono diverse da quelle concordate dai governi presso l'International Maritime Organization - ha spiegato - abbiamo il caos. Ed è anche peggio se i singoli Stati degli Stati Uniti decidono di adottare proprie regole in contrasto con le disposizioni federali: corriamo realmente il rischio di raddoppiare il caos».
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- Polemis ha citato ad esempio la questione dell'acqua di zavorra, «rispetto alla quale - ha spiegato - alcuni singoli Stati parlano di standard di trattamento 100 volte più rigorosi di quanto è stato concordato in sede IMO e per i quali le attrezzature necessarie semplicemente non esistono».
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- «Inoltre - ha aggiunto - c'è la California, con le proprie norme unilaterali sull'inquinamento atmosferico, che sono tuttora oggetto di rilievi dal punto di vista legale da parte dell'industria, anche se dopo l'entrata in vigore delle disposizioni Marpol dell'IMO sulle emissioni di zolfo delle navi - ha detto Polemis - si spera diminuisca la tentazione per i singoli Stati di sviluppare proprie norme ambientali». «Tuttavia - ha sottolineato - come osservazione generale devo dire che siamo stati delusi dall'apparente riluttanza dell'attuale amministrazione americana a difendere norme federali rispetto ad infrazioni commesse da Stati USA».
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- «Purtroppo, con l'acqua di zavorra - ha precisato il presidente dell'ICS - il problema che abbiamo con alcuni Stati degli USA che scelgono di percorrere una propria strada è stato aggravato dal fallimento dell'entrata in vigore della convenzione Ballast Water Management dell'IMO, anche se si prevede che ciò avverrà nei prossimi anni. Inoltre, purtroppo, in una recente riunione dell'IMO, sotto la pressione degli Stati Uniti, o più precisamente dell'Environmental Protection Agency, sono state proposte alcune modifiche rilevanti ad alcune importanti linee guida in materia di campionamento delle acque di zavorra che verranno utilizzate dagli ispettori dello Stato di approdo e che, se adottate dall'IMO, potrebbero potenzialmente essere molto dannose per gli armatori».
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- «Alla fine della riunione dell'IMO - ha ricordato Polemis - l'ICS ha presentato una energica dichiarazione circa la direzione che è stata presa e circa il fatto che le linee guida proposte dovranno pertanto essere riesaminate. Tuttavia ciò significa che ora che queste linee guida sugli esami a campione non saranno approvate almeno fino al 2013, cosa che a sua volta dovrebbe ritardare ulteriormente le ulteriori ratifiche necessarie per porre in vigore la Ballast Water Management Convention dell'IMO. Questo - ha rilevato - crea altri problemi agli armatori a causa delle date fissate entro le quali le navi esistenti devono installare le nuove apparecchiature di trattamento, molto costose, richieste dalla convenzione».
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- «Menziono questo particolare problema - ha spiegato Polemis - al fine di evidenziare il pericolo di una normativa basata su aspirazioni. Per ragioni note, incluso il danno economico per l'economia americana determinato dal problema delle cozze zebrate, c'è stata un'enorme pressione politica sull'IMO affinché nel 2044 fosse adottata la convenzione. Ma le attrezzature necessarie per conformarsi ai nuovi requisiti, e le complesse linee guida tecniche necessarie per garantire la corretta applicazione, non sono state successivamente sviluppate: ciò spiega perché solo ora i governi sono prossimi alla condizione di poter ratificare. Questo - ha sottolineato - è davvero un caso di aspirazioni ambientali che sono incompatibili con alcune delle realtà tecniche, per non parlare di quelle economiche».
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- Riferendosi poi alle misure per il contenimento delle emissioni di CO2, Polemis ha ricordato che lo scorso luglio l'IMO ha raggiunto «un accordo pionieristico sulle misure tecniche ed operative per ridurre le emissioni di CO2 del trasporto marittimo, che ha il pieno sostegno dell'industria internazionale. La riduzione delle emissioni attraverso la riduzione dei consumi ed una maggiore efficienza - ha osservato - è di nuovo una questione di illuminato interesse personale: è un dato di fatto ed è pienamente compatibile con le cattive condizioni del mercato che stiamo vivendo in questo momento. Ma quando si arriva al dibattito sulle cosiddette Market Based Measures - ha evidenziato - per noi è importante essere più guardinghi e cauti».
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- «Le società armatoriali - ha spiegato - sono giustamente scettiche circa l'introduzione di misure basate sul mercato. Il costo elevato del carburante, che sembra destinato a crescere ancora, significa che gli armatori hanno già tutto l'interesse a ridurre ancora di più le loro emissioni. Recentemente le associazioni della Round Table (l'organizzazione a cui fanno capo le principali associazioni armatoriali mondiali, ndr) hanno chiarito che ora non è certo il momento di imporre costi aggiuntivi sullo shipping che sembrano offrire pochi benefici dal punto di vista ambientale, anche quelli relativi al riscaldamento globale. Tuttavia è importante capire che ora, al di fuori degli Stati Uniti - ha sottolineato Polemis - molti governi vedono le misure basate sul mercato sia come un fine in sé ed un modo per raccogliere fondi dallo shipping sia come mezzo per fornire risorse economiche a progetti relativi al cambiamento climatico nelle nazioni in via di sviluppo, come parte di trattative per un nuovo accordo globale che sostituisca il protocollo di Kyoto, o semplicemente come un mezzo per raccogliere soldi che vadano direttamente nelle casse del governo».
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- «Molti governi europei - ha accusato il presidente dell'ICS - sono molto aperti a questo riguardo ed hanno suggerito che fino a 40 miliardi di dollari all'anno potrebbe essere raccolti dallo shipping. Ciò - ha denunciato - è ingiusto. L'ICS ha messo in chiaro che l'industria non dovrebbe essere considerata come una vacca da mungere e che l'esborso di pagamenti di tale portata potrebbe essere visto giustamente dalle nazioni in via di sviluppo come una tassa sul commercio e come una sorta di protezionismo verde».
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