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Pasqualino Monti chiama i porti italiani ad un'unione di intenti
Serve - sottolinea - un piano industriale della portualità italiana, con progetti, investimenti e fonti di finanziamento. Costa (AP Venezia) difende il progetto del terminal d'altura dall'assalto genovese
16 novembre 2012
Pasqualino Monti, vice presidente vicario dell'Associazione dei Porti Italiani (Assoporti) e presidente dell'Autorità Portuale di Civitavecchia, ha chiamato i porti nazionali ad un'unione di intenti volta a rilanciare il sistema Italia con proposte concrete. Si tratta di un vero e proprio appello all'unità del cluster portuale italiano, rivolto proponendo a tutti i presidenti dei porti un cambio di marcia che ponga l'associazione nella posizione di poter presentare al governo una proposta globale, condivisa, di rilancio del settore.
«Non è - ha spiegato Monti - un futuro per i porti quello che chiediamo. È un futuro per il Paese, che senza porti efficienti e in grado di programmare uno sviluppo coerente con l'economia e il mercato, si autocondanna a allargare il gap logistico e competitivo che già lo penalizza nei confronti dei concorrenti europei e mediterranei».
«In questa ottica - ha rilevato - oggi più che mai Assoporti è chiamata a uno sforzo di coesione senza precedenti, presentando proposte concrete: serve un piano industriale della portualità italiana, con progetti, investimenti e fonti di finanziamento per ciascuna opera di ciascun porto e per le infrastrutture di collegamento a terra. Solo così si rimette in moto il Sistema Italia. Divisioni e dissapori vanno accantonati».
«Con un paese che rischia ogni giorno di più anche per carenze infrastrutturali di essere tagliato fuori dalle rotte del grande trade internazionale - ha proseguito Monti - dobbiamo diventare noi, presidenti dei porti, la chiave per superare contrapposizioni, campanilismi e tracciare consegnandola allo Stato, di cui siamo emanazione diretta sulla linea del fronte della globalizzazione, un documento che definisca le priorità portuali e logistiche del sistema Italia. Un rapporto serio e strutturato che opera per opera analizzi, individui e verifichi la bancabilità, l'affidabilità, le ipotesi di collaborazione fra pubblico e privati e, in conclusione, la possibilità di arrivare al traguardo dell'entrata in servizio e della redditività, che in un periodo di crisi come quello attuale rappresentano anche la chiave di volta della buona amministrazione»-
«La cosa peggiore che possiamo fare in questo momento - ha concluso Monti - è dividerci mentre proprio i porti sono in condizione oggi, per il contributo che comunque continuano a fornire all'economia nazionale e al gettito dello Stato, di diventare la punta di diamante in una nuova stagione di gestione della cosa pubblica».
L'intervento e l'esortazione di Monti, anche se evidentemente rivolta all'intera portualità italiana in un momento cruciale per il futuro della competitività degli scali marittimi e dell'intera economia nazionale, sembra indirizzata anche a smorzare i toni della più recente diatriba che ha riacceso l'antagonismo tra i porti di Genova e Venezia e che è stata innescata dall'approvazione di mercoledì da parte della Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati di un emendamento alla Legge di Stabilità 2013 che, per consentire il finanziamento delle attività finalizzate alla realizzazione di una piattaforma d'altura avanti al porto di Venezia, autorizza il trasferimento all'Autorità Portuale di Venezia di cinque milioni di euro per il 2013 e di 95 milioni di euro per il 2014.
Da una parte il presidente dell'Autorità Portuale di Genova, Luigi Merlo, ha annunciato il proposito di dimettersi dalla carica di presidente di Assoporti nel caso in cui il Senato non cancelli il via libera della Camera al progetto veneziano. Dall'altra le istituzioni e il mondo economico della città lagunare si sono schierate compatte a difesa del loro porto e del progetto per realizzare il nuovo terminal offshore.
Il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, ha respinto come «inutili e dannose» le polemiche a proposito della portualità veneziana e - ha sottolineato - «delle inevitabili decisioni che devono essere assunte in Senato. Ricordo a tutti, compresi i fautori di un blitz che servirebbe solo a far confusione tra i porti di Genova e di Venezia - ha aggiunto - che quanto deve arrivare per il finanziamento dell'offshore veneziano non è, e non deve essere, frutto di alcuno sconcerto».
Replicando alla dura contestazione di Merlo, che ha sottolineato come si intenda dare il via libera al finanziamento di 100 milioni di euro per Venezia quando le intere risorse che lo Stato ha a disposizione per tutti i porti italiani sono pressapoco di soli 70 milioni di euro, Zaia si è detto consapevole «che attorno al porto di Genova e i suoi interessi, sia pure legittimi, si stanno preparando gli inevitabili ascari a sostegno. Diciamo semplicemente a loro e ad altre eventuali truppe cammellate - ha ribattuto - che questa è una battaglia che Genova non deve nemmeno immaginare di poter fare, che si tratta di fondi pensati per il porto di Venezia e sono certo che qualunque parlamentare, di qualunque estrazione o provenienza, non potrà che sostenerne la legittima e dovuta erogazione a favore di Venezia. Mi auguro - ha concluso il presidente del Veneto - che anche i genovesi non vogliano abbracciare l'ipotesi dello sfasciamo distributivo. Verrà il giorno in cui sosterremo altre cause, purché legittime: in questo caso la legittimità è esclusivamente veneziana».
Il presidente dell'Autorità Portuale di Venezia, Paolo Costa, ha accolto le parole di Luigi Merlo con sbigottimento e ha deciso di inviargli una lettera in cui ha scritto: «sono esterrefatto delle tue dichiarazioni che, purtroppo, scontano una totale ignoranza dei fatti». «I 100 milioni della mitigazione MoSE per il porto d'altura di Venezia - ha spiegato Costa nella missiva - non c'entrano nulla con i fondi per i porti. Se nel 2016, quando il MoSE si alzerà per salvare Venezia, non sarà operativa la prevista “struttura permanente di accesso” - ha sottolineato - il porto di Venezia dovrà chiudere. A questo fine si sarebbe dovuto adeguare la conca di navigazione prevista a Malamocco. Ma è evidente che la dimensione crescente delle navi non può essere rincorsa con continui ampliamenti della conca, né con ulteriori escavi intralagunari incompatibili con il suo equilibrio morfologico».
«Il terminal d'altura - ha spiegato ancora Costa a Merlo - è l'alternativa, meno costosa per lo Stato, che ci siamo impegnati a realizzare con finanze di progetto a partire da questo “segno” richiesto da investitori che devono decidere di impegnare su Venezia cifre dell'ordine di miliardi. È vero - ha concluso - che ho cercato di trasformare una debolezza (il rischio di chiusura) in un asset (uno scalo con fondali da 20 metri e oltre), ma questo, se può preoccupare il presidente dell'Autorità Portuale di Genova, deve rendere felice il presidente di Assoporti».
Motivando con più dovizia di particolari alla stampa i motivi che hanno indotto l'Autorità Portuale di Venezia a definire il progetto del terminal d'altura, Costa ha ribadito che, in mancanza di altri interventi, quando a partire dal 2016 le bocche di porto di Venezia verranno chiuse dal MoSE per difendere Venezia e la sua laguna dall'acqua alta il porto si troverebbe costretto a sospendere le sue attività, come sarebbe accaduto ad esempio la settimana scorsa se il sistema MoSE fosse stato già attivo, rendendo il porto di Venezia ripetutamente inagibile per giorni. «È per questo - ha ricordato Costa - che nel 2003 nell'approvare i progetto definitivo del MoSE si è data una prescrizione vincolante di realizzare “una struttura permanente di accesso al porto” che separando salvaguardia e portualità non facesse pagare al porto costi evitabili. La soluzione era stata trovata in un adeguamento delle dimensioni della conca di navigazione alla bocca di Malamocco. In quell'anno la più grande portacontainer che girava i mari portava circa 8.000 teu. Nel 2008, dovendo porre mano alla conca, si prendeva atto che la stesso adeguamento sarebbe costato almeno 700 milioni di euro peraltro con il solo risultato di consentire di raggiungere il solo Porto di San Leonardo, molto a sud dell'ubicazione dell'attuale porto commerciale, con un fondale massimo di 14 metri. L'impegno a questo adeguamento veniva assunto in un accordo di programma autorizzato dal ministero Infrastrutture e Trasporti, tra Magistrato alle acque di Venezia e Autorità Portuale firmato il 16 settembre 2009. Nel 2009 la più grande portacontainer che girava i mari portava circa 14.000 teu. È evidente - ha rilevato Costa - che la dimensione crescente delle navi non può essere rincorsa con continui ampliamenti della conca, né con ulteriori escavi intralagunari incompatibili con l'equilibrio morfologico. Ulteriori valutazioni circa l'evitabile sbilancio costi/benefici dell'intervento di adeguamento della conca, anche alla luce del progredire del gigantismo navale - ha ricordato ancora Costa ripercorrendo le tappe che hanno indotto l'ente a giungere al progetto dell'approdo d'altura - faceva accettare all'Autorità Portuale una diversa soluzione costituita dall'affiancamento di un terminale container d'altura al terminale petrolifero d'altura previsto dalla legge 798/84 sulla salvaguardia di Venezia e della sua laguna e il cui procedimento giaceva presso il ministero dell'Ambiente. L'Autorità portuale di Venezia sottoscriveva un secondo accordo di programma con il Magistrato alle Acque di Venezia, sempre autorizzato dal ministero Infrastrutture e Trasporti, e firmato il 4 agosto 2010, con il quale subordinava la rinuncia all'adeguamento della conca alla realizzazione del predetto terminal. Il ministero Infrastrutture, tramite il Magistrato alle acque di Venezia si impegnava ad approvare il progetto definitivo del terminal d'altura entro il 30 giugno 2012. Dei suddetti accordi di programma e della necessità di procedere alla realizzazione del terminal d'altura prendeva atto il CIPE con sua deliberazione del 5 maggio 2011 invitando il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a riferire in una seduta successiva sull'avanzamento dei lavori. In data 16 giugno 2011 il governo italiano e la Regione del Veneto siglavano l'atto aggiuntivo all'intesa generale quadro Stato-Regione per l'integrazione dell'ottavo programma delle infrastrutture strategiche - legge 443/2001, (Legge Obiettivo) - prevedendo tra le opere strategiche anche il terminale portuale d'altura. Il progetto preliminare del terminal portuale d'altura comprensivo del molo container è stato redatto dal Magistrato delle Acque di Venezia ed approvato dal Comitato tecnico di Magistratura che sostituisce, nel caso veneziano, il Comitato Superiore dei Lavori Pubblici. Il 3 maggio 2012 - nell'anno in cui le più grandi portacontainer si attestano a circa 15.000 teu - il Magistrato alle Acque di Venezia trasmetteva al ministero dell'Ambiente lo Studio di Impatto ambientale per una valutazione che oggi ha già superato la fase delle osservazioni».
Costa ha ricordato inoltre che «l'Autorità Portuale si è in questi mesi adoperata per perseguire la realizzazione dell'intero progetto, sia quello sotto la responsabilità dello Stato (Magistrato alle Acque di Venezia) sia quello sotto la responsabilità dell'Autorità Portuale da realizzarsi in partenariato pubblico-privato. L'ipotesi - ha aggiunto - è sostenuta e incoraggiata dall'Unione Europea che ha cofinanziato al 50% - 770.000 euro - la predisposizione della gara internazionale per la realizzazione e gestione del terminal. Il contributo dello Stato, previsto in Legge di Stabilità - ha precisato - ha lo scopo di corrispondere all'obbligazione assunta con gli accordi di programma sopra richiamati e dare il segnale necessario agli investitori internazionali che, augurabilmente, dovranno contribuire con cifre non inferiori ai due miliardi di euro al completamento del progetto entro il 2018. In quell'anno infatti - ha concluso Costa - gireranno per il mondo portacontainer anche da 20/22.000 teu».
Da parte sua il presidente di Confindustria Veneto, Andrea Tomat, ha rimarcato che «lo sviluppo del Nordest è condizionato dal suo sistema infrastrutturale e i due corridoi verso nord passano necessariamente dal porto di Venezia. È per questo - ha proseguito - che Venezia e il Veneto hanno bisogno del porto d'altura per continuare a crescere e ad essere di stimolo per l'economia nazionale e hanno diritto ad essere sostenuti dal governo come d'altronde è capitato ad altri scali in Italia per progetti forse meno strategici per l'economia nazionale. Il Senato - ha concordato Tomat - deve confermare lo stanziamento di fondi - per altro già destinati al Veneto (al MoSE) - consentendo di raggiungere contemporaneamente due obiettivi: la salvaguardia di Venezia e lo sviluppo sostenibile dell'economia».
«Il Veneto e il Nord Est - ha rilevato ancora il presidente di Confindustria Veneto - sono già inseriti nella nuova programmazione europea e il progetto del terminal d'altura è uno degli asset fondamentali per lo sviluppo di un'area logistica ritenuta strategica dall'Europa stessa, che guarda alle sue relazioni con le grandi aree di sviluppo, del lontano Medio Oriente, della Russia e dei Balcani. Politiche coraggiose e lungimiranti che prevedano progetti come quello dell'offshore - unitamente all'apporto di capitali privati e all'utilizzo dei nuovi project bond europei - sono destinati a dotare la Regione di una piattaforma logistica, che oltre a servire da moltiplicatore dei servizi al manifatturiero e all'industria consolidi la centralità dell'area, negli scambi fra il Mediterraneo, l'Europa del Nord e l'Oriente. Il Veneto ed il Nord Est - ha concluso Tomat con piglio battagliero - non rinunceranno a battersi fino in fondo e con tutti i mezzi per confermare questo obiettivo!»
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