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I sindacati ribadiscono la centralità del lavoro per il rilancio della portualità italiana
Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti, necessaria una norma ad hoc per l'uscita anticipata dal ciclo produttivo di tutti i lavoratori delle imprese portuali (16, 17 e 18)
27 marzo 2017
In una nota inviata venerdì al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti hanno evidenziato la centralità del tema del lavoro portuale per il rilancio della portualità italiana. Sottolineando il carente interesse che da troppi anni parlamento e governi hanno rivolto al sistema trasportistico italiano, la rapida trasformazione in atto dei traffici marittimi mondiali e del sistema portuale italiano, con la concentrazione dei traffici nelle mani di un numero sempre più ristretto di operatori e con l'acquisto di terminal da parte delle compagnie dello shipping internazionale e di gruppi finanziari, e l'inasprimento della concorrenza a livello europeo e mediterraneo dal punto di vista delle pressioni sul costo del lavoro e sulla produttività, oltre al fenomeno del gigantismo navale e la sempre più spinta ricerca di innovazione nei processi produttivi, i tre sindacati hanno rilevato che in un contesto «in grado di “condizionare” pesantemente la competitività e la compattezza sociale dei nostri porti» è necessario «valorizzare l'importanza ed il ruolo del lavoro ed individuare, se necessari, aggiustamenti normativi adeguati ed innovativi volti a riaffermare e rilanciare il lavoro portuale nell'ambito di competenza della Autorità di Sistema Portuale».
Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti hanno specificato che la riforma della governance portuale, che ha stabilito l'accorpamento di diverse Autorità Portuali e la loro sostituzione con le nuove Autorità di Sistema Portuale (AdSP), «e i risultati positivi - hanno precisato - che ci attendiamo dalla sua applicabilità dovranno tener conto della conferma dei meccanismi di regolamentazione del mercato delle imprese e del lavoro, a partire dal ruolo insostituibile del contratto collettivo nazionale di lavoro dei lavoratori dei porti, nel perimetro di competenza».
«La nostra azione - hanno spiegato le organizzazioni sindacali - sarà rivolta, quindi, a rafforzare il modello di organizzazione del lavoro riaffermando i ruoli dell'impresa terminalista e del soggetto autorizzato alla fornitura di lavoro temporaneo per le operazioni e servizi portuali nonché delle imprese autorizzate alle operazioni portuali non concessionarie autorizzate con criteri precisi e non sovrapponibili, con un duplice obiettivo: riaffermare e migliorare un modello portuale che contrasti la frammentazione del ciclo operativo, da un lato, e concentrare il ragionamento sulla qualità, la sicurezza e la formazione per ridurre il “gap” di efficienza che si è consolidato nel tempo lungo la filiera logistica dall'altro».
Per Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti, «è pertanto indispensabile introdurre meccanismi che consentano di creare il corretto equilibrio nella composizione degli organici del porto e garantire l'attuale patrimonio di competenze e professionalità presenti nei porti attraverso l'introduzione di una clausola sociale in tutti i casi di cambio concessione e appalto».
«In tal senso - prosegue la nota - riteniamo il lavoro portuale un valore aggiunto insostituibile, un insieme patrimoniale di competenze, abilità e conoscenze che non può essere disperso, pena la de-qualificazione e la perdita di efficienza del porto e della portualità italiana più in generale. Conseguentemente occorre condividere, tra gli attori della portualità e il Ministero, atti amministrativi, economici ed organizzativi volti a sostenere questa impostazione, ivi compresa la prospettiva di accompagnare il ruolo essenziale del lavoro temporaneo portuale con disposizioni che ne sanciscano “l'interesse generale” prendendo spunto dai contenuti del TFUE e, con lo sguardo rivolto alla prospettiva del settore, ricercando la soluzione più opportuna che garantisca un percorso di stabilizzazione del lavoro temporaneo limitando l'utilizzo da parte delle imprese ex art. 17 del lavoro somministrato. Si precisa che dette imprese sono le uniche a poter usufruire di tale fattispecie prevista dall'art.86 comma 5 della legge 276/03 e s.m.i.».
Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti hanno ricordato che «i porti interessati dai traffici di transhipment attanagliati dalla crisi di volumi e stretti nella morsa della concorrenza degli altri scali del Mediterraneo, che scontano l'assenza di politiche finalizzate ad un graduale e multifunzionale riposizionamento strategico nel panorama nazionale ed internazionale, sono stati recentemente interessati da un intervento legislativo pesante che ci aspettiamo risulti decisivo. I criteri e le caratteristiche che hanno richiesto tale intervento legislativo ed economico - hanno osservato i sindacati - sono tali da non trovare alcuna applicabilità né accoglienza nel dibattito sulla riforma portuale, pena l'introduzione di effetti distorsivi sull'intero sistema portuale italiano».
Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti hanno ricordato inoltre che da anni i sindacati rivendicano «un percorso di riconoscimento del lavoro portuale tra le professioni/attività considerate dalla legge “usuranti”. Il riconoscimento di alcune funzioni tipiche del lavoro portuale nell'ambito dell'ultima legge di stabilità per il 2017, sui lavori gravosi - hanno rilevato - autorizza ad aprire un confronto anche su questo delicato tema in un'ottica di prospettiva di ricambio generazionale che trova nei dati ufficiali sulle malattie professionali, i postumi da traumi e infortuni sul lavoro materiale sufficiente a questo scopo».
Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti hanno concluso evidenziando che, «fatti salvi tutti gli approfondimenti del caso e trovate le opportune convergenze e meccanismi di individuazione delle risorse necessarie, assume un particolare interesse per il settore avvalersi di una norma ad hoc per l'uscita anticipata dal ciclo produttivo di tutti i lavoratori delle imprese portuali (16, 17 e 18) e, nel caso dei dipendenti delle AdSP, per inabilità lavorativa o qualora si rendesse necessario l'adeguamento delle piante organiche, anche attraverso l'istituzione di un fondo come disciplinato dalla legge 92/2012».
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