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SEA Europe, delusa dalle misure assunte dall'IMO per la riduzione delle emissioni del trasporto marittimo, invita l'UE ad agire con determinazione
Tytgat: ciò richiede obiettivi ambiziosi, strumenti appropriati per lo shipping nonché aiuti agli investimenti per il rinnovo e ammodernamento della flotta
24 giugno 2021
La mancanza di «ambizione e chiarezza» è il principale addebito mosso da SEA Europe, l'associazione che rappresenta l'industria navalmeccanica europea, al pacchetto di misure per migliorare l'efficienza energetica della flotta marittima commerciale mondiale che è stato adottato nei giorni scorsi dal MEPC, il comitato per la protezione dell'ambiente marino dell'International Maritime Organization (IMO), con lo scopo di incrementare a partire dal 2023 la riduzione delle emissioni di gas serra da parte delle navi ( del 18 giugno 2021). Le misure sono state introdotte con emendamenti alla convenzione MARPOL e includono requisiti obbligatori sia relativamente agli standard tecnici delle navi che all'operatività delle navi.
Secondo SEA Europe, tuttavia, in tale pacchetto di misure «sono ancora assenti o sono incomplete essenziali linee guida e rimane un'incertezza dal punto di vista normativo che ostacolerà lo sviluppo tecnologico». In particolare, per l'associazione, «l'indice di efficienza energetica (EEXI) proposto per le navi esistenti non è sufficientemente vincolante per far sì che venga appieno utilizzato il potenziale di risparmio energetico delle tecnologie innovative e dei combustibili alternativi disponibili. Inoltre - ha rilevato SEA Europe - il livello di ambizione richiesto dal nuovo Carbon Intensity Indicator (CII) non solo è basso, ma quasi sminuente. Le riduzioni dell'11% del CII stabilite per il periodo dal 2019 al 2026 - ha spiegato l'associazione - sono basate sul presupposto che il trasporto marittimo internazionale abbia ottemperato alla maggior parte dei propri obblighi a breve termine già nel decennio 2008-2018. Tuttavia questo assunto soffre di un incoerente uso delle definizioni delle attività di trasporto».
Inoltre, ha osservato SEA Europe riferendosi al riesame dell'efficacia dei requisiti degli indici EEXI e CCI stabilito da attuarsi entro il primo gennaio 2026, «la revisione concordata per il 2026 potrebbe non dare esito al necessario rafforzamento dato che i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e gli Stati meno sviluppati hanno mantenuto riserve circa la necessità di evitare “un impatto negativo sproporzionato sugli Stati”. Pertanto - ha rilevato l'associazione - è lecito aspettarsi nel corso delle future deliberazioni dell'IMO più esenzioni dalle norme che una loro applicazione più rigorosa. Ciò - ha sottolineato SEA Europe - indebolirà ulteriormente il potenziale globale di riduzione dei gas ad effetto serra delle misure, dato che è ben noto che una percentuale significativa della flotta mercantile mondiale batte bandiera di Stati che richiederanno un'esenzione».
«La salvaguardia del clima - ha affermato Christophe Tytgat, segretario generale di SEA Europe e della CESA (Committee of E.U. Shipbuilding Associations) - richiede certezza giuridica piuttosto che romanzi. Non è possibile che nel 2026, se una revisione rivelerà che l'ambizione del 76esimo meeting del MEPC non era sufficiente per risolvere la crisi climatica, si possa tornare indietro nel tempo».
Se le principali associazioni armatoriali mondiali hanno da tempo evidenziato la necessità che le misure in materia di mitigazione dell'impatto ambientale dello shipping siano adottate e implementate a livello globale, ovvero in sede IMO, assolutamente evitando che tali misure siano quindi assunte a livello regionale, antitetico è il parere di SEA Europe. L'associazione delle aziende navalmeccaniche europee ritiene infatti che, «dato che l'IMO è divisa e paralizzata, sia necessario un impulso da parte europea». «Tuttavia - ha precisato SEA Europe - non è sufficiente incrementare le percentuali di riduzione o spostare le scadenze. L'UE - ha chiarito SEA Europe evidenziando così la propria divergenza rispetto all'auspicio espresso dagli armatori - dovrebbe anche porsi all'avanguardia nella definizione di strumenti adeguati per l'industria marittima». A tal fine l'associazione navalmeccanica ha esortato la Commissione Europea «a sostenere la neutralità tecnologica e un approccio basato sugli obiettivi, anche per le tecnologie a duplice uso, al fine di evitare una riduzione delle tecnologie (innovative) pulite e al fine di promuovere un rapido sviluppo di combustibili alternativi per il trasporto marittimo». «L'UE - ha esplicitato Tytgat - deve agire ora, dimostrando che la salvaguardia del clima può essere combinata con successo con il successo del mercato della tecnologia ambientale: ciò richiede obiettivi ambiziosi, strumenti appropriati per lo shipping nonché aiuti agli investimenti per un rinnovo e ammodernamento della flotta aperto a tutte le opzioni tecnologiche e a tutti i combustibili alternativi».
La posizione di SEA Europe non è nuova, essendo stato semplicemente ampliato al tema della riduzione delle emissioni dello shipping quello della salvaguardia degli interessi delle aziende e delle nazioni navalmeccaniche europee che costituisce la propria missione fondante. Alla luce di ciò non è affatto sorprendente il mancato parere dell'ECSA, l'associazione degli armatori europei, sulle decisioni adottate dall'IMO per la diminuzione delle emissioni del trasporto marittimo. Il proprio dovere di proteggere gli interessi degli armatori europei, che stanno con un piede di qua e uno di là nel senso che operano in ambito internazionale ma una quota consistente di questi è attiva principalmente in ambito europeo, ha evidentemente indotto il direttivo dell'ECSA a scegliere il silenzio.
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