Se diverse autorità antitrust e di regolamentazione mondiali stanno valutando l'operato delle principali compagnie di navigazione containerizzate globali per verificare sia stato conforme alle norme sulla concorrenza nell'arco degli ultimi tre anni caratterizzati dalla diffusione planetaria della pandemia di Covid-19 e dei conseguenti effetti sulla mobilità, l'Australian Competition & Consumer Commission (ACCC) ha analizzato il comportamento nel medesimo periodo dei terminalisti portuali che operano nel segmento dei container, aziende che rappresentano il nodo cruciale che collega la supply chain marittima contianerizzata con le catene terrestri di approvvigionamento dei mercati.
Il rapporto “Container Stevedoring Monitoring Report 2021-22”, diffuso oggi dall'autorità antitrust australiana, evidenzia che il valore del margine operativo del settore delle imprese terminaliste portuali australiane che operano nel segmento dei container è aumentato di 14 punti percentuali dall'inizio della pandemia di coronavirus raggiungendo il livello più elevato da quando, circa dieci anni fa, è terminato il duopolio costituito dall'australiana Patrick Terminals e dall'emiratense DP World che dominavano questo settore. Nel solo anno finanziario 2021-22, conclusosi lo scorso 30 giugno, il margine di profitto operativo dei principali cinque terminal operator australiani che operano in questo segmento è stato del 24% rispetto al 10% nell'anno finanziario 2019-20. L'analisi osserva che tra il 2000 e il 2013 Patrick e DP World nonché il container terminal di Adelaide avevano realizzato complessivamente margini operativi compresi tra il 21% e il 27%, ma - precisa il documento - nei sette anni successivi la concorrenza introdotta dalla Hutchison Ports Australia del gruppo Hutchison Port Holdings e dalla Victorian International Container Terminal del gruppo ICTSI, assieme ad ingenti investimenti infrastrutturali e ad altri sviluppi, aveva determinato una flessione dei loro margini.
Il rapporto rileva che nell'anno 2021-22 sono proseguite le disfunzioni della supply chain che hanno avuto un impatto sui porti australiani in termini di inaffidabilità delle date di arrivo delle navi e di un incremento della dimensione delle navi che hanno scalato i porti nazionali, impatto esacerbato dalla carenza di manodopera in tutta la sypply chain, e specifica che i maggiori costi sostenuti dai proprietari delle merci a causa degli elevati livelli del valore dei noli marittimi e di altri costi per l'utilizzo della supply chain, sono stati trasferiti sui consumatori australiani attraverso la maggiorazione dei prezzi dei beni importati, cosa che ha causato il recente aumento dell'inflazione in Australia.
A tal proposito l'analisi evidenzia che alcune compagnie di navigazione hanno imposto extra-costi per la ritardata riconsegna dei container da parte di proprietari del carico che non potevano restituire il contenitore in tempo a causa di ritardi a cui hanno contribuito le stesse compagnie di navigazione. Costi aggiuntivi che sono stati posti sotto esame in diverse nazioni, tra cui gli USA, e rispetto a quali, così come ad altre spese che possono essere loro irragionevolmente addebitate, i proprietari australiani delle merci secondo l'ACCC non sono adeguatamente protetti.
«Diversi anni fa - ha commentato Anna Brakey, commissario dell'ACCC - gli importatori e gli esportatori hanno beneficiato di un'iniezione di nuova concorrenza nei nostri porti, ma siamo preoccupati per il fatto che negli ultimi anni questi benefici sono stati erosi a scapito di importatori ed esportatori e, in ultima analisi, dei consumatori australiani».
L'antitrust australiana ha precisato di non aver ancora formulato un'ipotesi conclusiva su quali sono stati i principali responsabili dei recenti aumenti degli utili operativi dei terminalisti portuali, anche perché la rilevante limitazione di capacità di trasporto marittimo containerizzato che ha caratterizzato il periodo della pandemia ha reso più difficile per gli importatori e gli esportatori avvalersi di un servizio marittimo piuttosto che di un altro, e quindi di un terminal operator diverso, il che potrebbe aver avuto un effetto di indebolimento della concorrenza rispetto alle tariffe praticate dai terminalisti. «Se i maggiori profitti dei terminalisti sono dovuti ai recenti shock alla supply chain del trasporto containerizzato globale - ha osservato Brakey - ci aspetteremmo che nel tempo i profitti diminuiscano man mano che la congestione del trasporto marittimo e dei terminal si riduce. Nei prossimi anni esamineremo con attenzione gli oneri e le performance finanziarie dei terminalisti per vedere se ci sono fattori strutturali o comportamentali che producono profitti più elevati e se ulteriori risposte politiche o regolatorie sono giustificate».