Per consentire la transizione verde dell'industria del trasporto
marittimo è necessario rafforzare le competenze e la
dotazione economica dell'International Maritime Organization (IMO),
l'agenzia delle Nazioni Unite responsabile della definizione delle
misure necessarie per migliorare la sicurezza del trasporto
marittimo internazionale e per mitigare l'inquinamento causato dalle
navi. Lo hanno rilevato i ricercatori dell'Università danese
di Copenaghen e di quella svedese di Lund sulla scorta di un loro
studio che evidenzia come l'IMO sia un'organizzazione priva della
spinta necessaria e come ciò la renda un organismo
internazionale di regolamentazione privo della capacità di
essere lungimirante e incapace di gestire le nuove tipologie di
combustibili navali ed altre tecnologie, come le batterie e le
tecniche di propulsione assistita dal vento. Secondo i ricercatori,
ciò significa che «l'IMO sta attivamente contribuendo a
far sì che l'industria dello shipping sia lontana dal
raggiungere i suoi obiettivi climatici».
In vista della cruciale ottantesima sessione del Marine
Environment Protection Committee (MEPC) dell'IMO, in programma dal 3
al 7 luglio prossimi a Londra, nel corso della quale dovrebbe essere
concordato un aggiornamento della strategia dell'IMO per la
riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra prodotte dalle
navi, definendo nel contempo una gamma di misure tecniche ed
economiche idonee ad indirizzare il trasporto marittimo sulla strada
della diminuzione delle emissioni, il professor Teis Hansen del
Department of Food and Resource Economics dell'Università di
Copenaghen, ha osservato che «obiettivi climatici più
ambiziosi vanno bene. Ma -ha precisato - il problema è che
l'IMO non ha nemmeno gli strumenti politici necessari per
raggiungere i suoi obiettivi fissati in precedenza. Pertanto,
dobbiamo capire perché l'IMO ha così poco successo in
questo campo. Perché se non accede nulla, questa enorme
industria rappresenterà una quota sempre maggiore delle
emissioni globali di CO2».
Per capirlo Hansen e la ricercatrice Hanna Bach dell'Università
di Lund hanno realizzato lo studio esaminando il modo in cui sono
state sviluppate le norme presso l'IMO e intervistando i dipendenti
dell'agenzia dell'Onu e i rappresentanti di diverse parti
interessate. «La nostra ricerca - ha spiegato Bach - dimostra
che nel corso della storia dell'IMO l'attenzione si è
concentrata solo su tecnologie preesistenti. In altre parole, si
regolamentano semplicemente i carburanti già utilizzati
dall'industria. In questo modo, si regola retroattivamente. Allo
stesso tempo, l'IMO non ha una regolamentazione che promuova
direttamente l'uso di combustibili più sostenibili, che è
ciò di cui abbiamo bisogno».
Oltretutto, secondo i ricercatori, l'obiettivo dell'IMO di
ridurre l'inquinamento atmosferico causato dalle navi, che consiste
principalmente di emissioni di zolfo e ossidi di azoto, ha spinto lo
sviluppo nella direzione sbagliata: «sinora - ha specificato
Hansen - l'IMO si è incentrata sull'inquinamento atmosferico
invece che sui gas serra. Ciò ha creato un quadro giuridico
squilibrato, che in pratica ha significato legare l'industria ai
combustibili fossili». Hansen, come altri ricercatori e
diverse organizzazioni ambientaliste, ha posto l'attenzione sul
ricorso al gas naturale liquefatto quale fuel navale, ricorso che ha
risvolti positivi ma presenta anche un'altra faccia della medaglia:
«con l'attuale regolamento - ha affermato Teis Hansen - l'IMO
promuove il gas naturale liquefatto come combustibile marino perché
può ridurre le emissioni di zolfo e di azoto. Tuttavia, l'uso
del GNL ha contribuito ad un aumento del 150% delle emissioni di
metano, una cifra che aumenterà perché viene ordinato
un numero sempre crescente di navi con propulsione alimentata a gas
naturale liquefatto. In tal modo - ha sottolineato - l'IMO sta
lavorando contro il proprio obiettivo politico di ridurre le
emissioni di gas serra».
I ricercatori delle università danese e svedese hanno
anche posto l'accento sulle poche risorse messe a disposizione
dell'International Maritime Organization osservando che attualmente
solo circa 300 persone sono impiegate presso la sede londinese
dell'organizzazione e che ciò corrisponde a circa il 5% dei
dipendenti di un comune danese di medie dimensioni. «Il
segretariato - ha denunciato Hanna Bach - ha bisogno di più
risorse, sia per quanto riguarda una forza lavoro più
consistente sia per amministrare altri tipi di strumenti politici
rispetto a quelli di cui dispone oggi. Ciò potrebbe includere
una tassa globale sul carbonio, un fondo globale per sostenere la
transizione ai combustibili verdi e altri tipi di sostegno
finanziario per promuovere l'uso delle tecnologie verdi».
Oltre ad una carenza di organico, ad avviso dei ricercatori,
l'IMO soffrirebbe anche della mancanza di personale con la giusta
esperienza: «abbiamo intervistato un funzionario dell'IMO che
- ha reso noto Teis Hansen - ha affermato: “non abbiamo la
capacità di seguire tutte le diverse tecnologie e non abbiamo
la capacità di prendere buone decisioni finanziarie in
termini di cosa sostenere e cosa non supportare”. Ciò -
ha rilevato Hansen - è incredibile».
Ci sarebbero, per i ricercatori, anche altri motivi per cui - a
loro dire - l'IMO sarebbe «così riluttante ad
orientarsi verso una strada più “verde”» e
li hanno sintetizzati in due articoli pubblicati sulle riviste
“Environmental Innovation” e “Societal Transitions
and Marine Policy” che evidenziano come l'IMO soffra di una
mancanza di consenso politico tra i 175 Stati membri che aderiscono
all'organizzazione nonché di un mandato poco chiaro. «Ci
sono Stati membri - ha rilevato Hanna Bach - che chiedono se
l'attuazione di strumenti come una tassa globale sul carbonio
rientri effettivamente nel mandato dell'IMO o se sia in conflitto
con la legislazione nazionale. Ad ogni buon conto, il segretariato
dell'IMO non è stato in grado di fornire una risposta chiara
su questo. Pertanto ciò è costantemente oggetto di
dibattito, il che richiede molto tempo e blocca i negoziati quando
si tratta di implementare nuovi strumenti politici». «La
storia - ha aggiunto Teis Hansen - dimostra che non possiamo
semplicemente fare affidamento sulla stessa IMO per regolamentare
questa questione in un modo che segua la propria strada. Per
assicurarcene, dobbiamo valutare se possiamo rafforzare l'IMO
organizzando l'istituzione in modo migliore».
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