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PORTI
Spediporto, la gestione dei porti italiani deve rimanere in mani pubbliche
Non ci devono essere preclusioni verso l'ingresso di investitori privati, dice Botta che a proposito (?) cita il modello spagnolo
Genova
6 settembre 2023
La gestione dei porti italiani deve rimanere in mani pubbliche.
Lo ha sottolineato Spediporto, l'associazione delle imprese di
spedizione genovesi, intervenendo sul questione della
privatizzazione dei porti lanciata nei giorni scorsi dal vice
premier Antonio Tajani e presto chiusa, almeno in seno al governo,
dalla premier Giorgia Meloni che lo ha definito un tema non
all'ordine del giorno.
«La portualità - ha affermato il direttore generale
di Spediporto, Giampaolo Botta - è il terminale logistico e
non solo al servizio del comparto produttivo del nostro Paese.
Rappresenta, dunque, un asset strategico su cui, a nostro giudizio,
il pubblico deve mantenere un pieno controllo».
Botta ha precisato che, però, non ci devono essere
preclusioni verso l'ingresso di investitori privati e ha citato,
come già fatto dal vice ministro delle Infrastrutture e dei
Trasporti, Edoardo Rixi, il modello spagnolo incentrato su “Puertos
del Estado”. «Già nei primi anni '90 - ha
rilevato Botta - il mondo economico e politico spagnolo si è
interrogato sul futuro della portualità. Il sistema vede,
oggi, una presenza pubblica su due livelli, locale e centrale, che
ha dato ottimi frutti, grazie anche all'integrazione con gli
investitori privati come testimoniato dalla crescita del porto di
Barcellona».
Secondo il direttore generale di Spediporto, una delle “chiavi”
per leggere questo successo sta nel cosiddetto “obbligo di
servizio”: «ogni soggetto privato che opera - ha
specificato Botta - è tenuto a garantire la qualità
dei servizi offerti, una loro corretta esecuzione. Non si tratta di
una mera valutazione astratta, ma sono le stesse Autorità di
Sistema a vigilare».
Ricordando che Spediporto ha già più volte
sottolineato come, per garantire l'ulteriore sviluppo di un porto
fondamentale per il paese come quello di Genova, siano
indispensabili gli investimenti nelle infrastrutture ma anche un
efficace sistema di servizi alle merci, soprattutto nelle fasi di
controllo e di movimentazione, Botta ha precisato che a tal
proposito il modello di riferimento torna a essere quello catalano,
con Barcellona «che - ha evidenziato - ha aperto un centro
verifiche tra i più efficienti, operativo 24 ore su 24, 7
giorni su 7».
Botta ha tracciato anche un parallelismo tra l'area logistica
operativa sempre del porto di Barcellona, la ZAL, e - riferendosi a
quanto accade in Italia - a quella che ha definito la fin troppo
attesa Zona Logistica Semplificata: «è - ha rilevato -
un modello anche questo e dimostra come, attirando capitali privati
che investono e offrono servizi di qualità, si possa
accrescere il potenziale e la qualità di un bene pubblico».
Il commento di inforMARE
Le parole di Botta hanno richiamato alla memoria di chi scrive
un privato scambio di vedute di qualche anno fa con Giorgio
Bucchioni sull'esito della riforma della legislazione portuale
italiana introdotta a metà del 2016 che il compianto
esponente della portualità spezzina e nazionale concordava
nel ritenere peggiorativa della originale legge sui porti n. 84 del
1994 e portata a termine sull'onda di un «vento riformistico
fine a se stesso».
Un vento riformistico che, gli direi se potessi ancora
confrontarmi con Bucchioni, sembra tornare a tirare e per di più
messo in movimento dalle parole in libertà del vice premier
Tajani. Sarebbe una corrente d'aria benefica se l'intento fosse
quello di rimediare alle storture introdotte nel 2016, a partire dal
rinchiudere in un recinto chiamato “Organismo di partenariato
della risorsa mare” i rappresentanti delle imprese in un
momento in cui il ruolo dei privati, anche in ambito nazionale, era
ritenuto come oggi importante per lo sviluppo della portualità.
Così non sembra, stando a quanto prospettato dal vice
ministro Rixi che, essendo l'unico del governo ad essersi occupato
di portualità, è stato incaricato - così sembra
dall'esterno - di studiare qualcosa in merito. Rixi ha più
volte prefigurato la possibile creazione di un'agenzia per i porti
sul modello della spagnola Puertos del Estado. Agenzia che - sembra
di capire - andrebbe a sostituire la Conferenza nazionale di
coordinamento delle Autorità di Sistema Portuale introdotta
nel 2016 e alla quale è stato assegnato il compito «di
coordinare e armonizzare, a livello nazionale, le scelte strategiche
che attengono i grandi investimenti infrastrutturali, le scelte di
pianificazione urbanistica in ambito portuale, le strategie di
attuazione delle politiche concessorie del demanio marittimo, nonché
le strategie di marketing e promozione sui mercati internazionali
del sistema portuale nazionale, operando, altresì, la
verifica dei piani di sviluppo portuale, attraverso specifiche
relazioni predisposte dalle singole AdSP».
Al di là dei toni elogiativi del modello di governance
dei porti spagnoli spesi alla fine dello scorso anno in Spagna in
occasione della celebrazione del trentesimo anno dalla istituzione
di Puertos del Estado, che è un organismo statale che ha il
compito di coordinare i porti nazionali, in terra iberica si
continua anche oggi a discutere, con toni accesi, della bontà
del modello di governance creato nel 1992, e in particolare si
seguita a contestare l'efficacia di un sistema che lascerebbe poco
da decidere ai singoli porti sia sul piano strategico che
sul quello economico. E questo in Spagna, dove la spinta delle
autonomie è da sempre assai più forte che in Italia
dove sembra che anche Rixi e il suo ministro Matteo Salvini abbiano
dimenticato i loro trascorsi secessionisti per accodarsi al flauto
dei patrioti e cercare di strapparglielo dalle mani.
In Spagna c'è anche chi lamenta che l'esistenza stessa
della Puertos del Estado ponga limiti alla possibile ulteriore
iniziativa privata. Se lo potessi, direi a Bucchioni che ciò
non può che far temere che la brezza riformista mossa da
Tajani possa diventare un ventaccio in grado di rovinare quello che
in Italia non è stato guastato già nel 2016. Non si
vede, infatti, cosa c'entri la supposta integrazione degli
investitori privati menzionati da Botta, ad avvalorare lo scenario
prefigurato da Rixi, in un sistema spagnolo che è retto
dall'organismo statale Puertos del Estado e dalle Autorità
Portuali, che sono enti pubblici esattamente come le Autorità
di Sistema Portuale italiane. Ed esattamente come accade in Italia,
anche in Spagna i privati per poter operare nei porti devono
stipulare un contratto pubblico, sia pur particolare, con le
Autorità Portuali, accordo che prevede garanzie che il
demanio posto a loro disposizione sia gestito in modo da
salvaguardare sia l'interesse privato sia la gestione pubblica del
porto, anche in funzione dello sviluppo dello scalo. I privati, con
la spagnola Puertos del Estado o con un'italiana Porti dello Stato,
non c'entrano nulla.
Il vento, mi piacerebbe dire a Bucchioni, in Italia sembra
tirare sempre nella stessa direzione, ovvero quella che per superare
difficoltà ed ostacoli, invece di affrontarli, crea agenzie e
commissari che dovrebbero risolvere problemi con cui, a quanto pare,
Ministeri e Autorità di Sistema Portuale non sono in grado di
cimentarsi.
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