Visto che ormai nel cosiddetto mondo occidentale ci si rassegna
al progressivo e sempre più rapido smantellamento delle basi
su cui si poggia questo mondo da parte di coloro che si propongono
come paladini della pretesa civiltà occidentale, non stupisce
ormai più - purtroppo - che pure i processi di definizione
delle leggi, ovvero dei principi e delle norme di ordinamento di
questo mondo, non siano svolti dai parlamenti, funzione che la
Costituzione della Repubblica Italiana prevede sia «esercitata
collettivamente dalle due Camere», ma piuttosto dai governi.
Non stupisce, quindi, che l'Unione Nazionale Imprese Portuali
(Uniport), l'associazione che rappresenta imprese portuali ex. art.
16 della legge 84/94, imprese terminaliste e compagnie marittime del
segmento ro-pax, accetti, anzi forse approvi, o addirittura apprezzi
che la riforma della normativa italiana in materia portuale venga
attuata tramite una legge delega. Possibilità certo ammessa
dalla carta costituzionale in base alla quale, peraltro,
«l'esercizio della funzione legislativa non può essere
delegato al governo se non con determinazione di principi e criteri
direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti».
Confini che troppo spesso sono superati, anzi ignorati, essendo
ormai prassi, più che delegare, cedere al governo la funzione
legislativa.
Un iter parlamentare dilata il coinvolgimento delle diverse
parti interessate alla definizione delle leggi. Diversamente il
governo spesso presenta decreti di cui gli stakeholder ignorano il
contenuto sino al giorno prima della loro trasmissione alle Camere,
sicuro di una rapida e sicura conversione in legge da parte delle
Commissioni parlamentari competenti.
È evidentemente il caso della riforma della legislazione
portuale, che sembrerebbe in dirittura d'arrivo, di cui oggi la
stessa Uniport, uno degli importanti stakeholder del mercato,
ammette di avere lacunosa e approssimativa conoscenza. «Finalmente
- è la sensazione del presidente di Uniport, Pasquale Legora
- si cominciano a diradare le nubi su un'ipotesi di riforma
dell'assetto della portualità italiana di cui si è
solo parlato per quasi due anni. Le dichiarazioni del vice ministro
Rixi rilasciate nei giorni scorsi e le bozze di testi e slide che
circolano, del tutto informalmente, convergono su alcuni punti e
consentono almeno di individuare alcuni temi che si intende toccare
e di capire il metodo con cui si prevede di procedere».
«Certo - ammette - siamo ancora a livello di indicazioni
molto generali. Su alcuni argomenti pur rilevanti, ad esempio il
lavoro - si chiede il presidente di Uniport - non è chiaro
come saranno declinati in concreto gli obiettivi di riorganizzazione
e razionalizzazione cui si fa cenno e a quale categoria di imprese
ci si riferisce; altri temi sembrano volersi affrontare solo per
alcuni profili e non complessivamente (ad esempio per il cold
ironing riguardo al quale nulla è detto su aspetti di
regolazione che, invece, appaiono urgenti)».
A dire il vero, da quello che circola sembra assai difficile
farsi oggi un'idea chiara di quale sarà la futura politica
per la portualità italiana, per non parlare di temi più
specifici come quelli indicati da Legora. È arduo capirlo
anche dalle dichiarazioni dei politici impegnati nella riforma,
primo fra tutti il vice ministro delle Infrastrutture e dei
Trasporti, Edoardo Rixi, che mercoledì ha parlato della
«creazione di una società a controllo pubblico con il
compito di gestire gli investimenti e di rappresentare il sistema
portuale italiano a livello internazionale». Inevitabile
chiedersi cosa intenda per società a controllo pubblico:
parla di una società pubblica, che pure esercita attività
privatistica, o, come sembrerebbe, una società partecipata
anche da privati?
Parlando di questa società, nelle dichiarazioni degli
ultimi anni Rixi si è rifatto più volte
all'Enav, la società per azioni che gestisce il traffico
aereo civile e che è controllata dal Ministero dell'Economia
e delle Finanze che ne detiene il 53,3% del capitale ed è
partecipata da una serie di società di investimento e
investitori istituzionali. Ma anche all'Anas, la società per
azioni con socio unico il gruppo Ferrovie dello Stato Italiane che è
integralmente controllato dal Ministero dell'Economia e delle
Finanze.
Anche il presidente di Uniport rileva che «l'ipotesi di
costituzione di una società a controllo pubblico deputata
agli investimenti poi è ancora poco più di un titolo
dal quale tra l'altro - osserva - emerge un dubbio e una delle
principali osservazioni degli operatori terminalisti e delle imprese
portuali: si valorizza il ruolo del privato solo come investitore
nella rete/infrastruttura? Perché nulla è detto
riguardo un maggior coinvolgimento e valorizzazione del ruolo delle
imprese che fin qui con i loro investimenti e la loro capacità
operativa ed organizzativa hanno garantito crescita, capacità
competitiva e occupazione nei porti? Perché tra gli aspetti
che si intende semplificare non vi è cenno alle
concessioni?».
E qui si pone il tema della eventuale partecipazione dei privati
a questa inafferrabile “società a controllo pubblico”
a cui Rixi e il governo affiderebbero la “gestione degli
investimenti”. La gestione degli investimenti, se partecipata
da privati, sarà una gestione amministrativa o una gestione
politica? Un'ipotesi, la seconda, da far rizzare i capelli in testa
a chi ha veramente a cuore la salvaguardia delle basi della
cosiddetta civiltà occidentale.
Comunque Uniport sembra apprezzare il poco che ha appreso. Se
«rafforzamento della governance a livello centrale,
coordinamento delle Autorità di Sistema Portuale e
semplificazioni, sono tutti obiettivi che, come associazione di
terminalisti ed imprese portuali, condividiamo», per Pasquale
Legora e Uniport è «condivisibile è anche
l'intendimento di una legge delega che definirà il mandato al
governo per definire in dettaglio le modifiche alla normativa
vigente e i tempi entro i quali si dovranno approvare quelle
modifiche».
Quindi a Uniport non sembra interessare che la definizione della
riforma portuale sia avocata al governo : «la previsione di
attuare la riforma attraverso una legge delega - sostiene Pasquale
Legora - lascia al governo un ampio margine di tempo per definirne i
dettagli, consente di chiarire tutti questi aspetti e dubbi e, se ci
sarà la volontà del governo stesso (e in primo luogo
del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero
del Mare), di aprire un confronto con le rappresentanze dei diversi
stakeholder. Uniport è pronta e disponibile a questo
confronto, non solo nell'interesse delle imprese che rappresenta, ma
dell'intero sistema-Paese».
Legora fa bene a chiedersi se ci sarà la volontà
del governo di aprire un confronto. La storia recente e passata ci
dice, tuttavia, che gli atti di decretazione sono la strada maestra
sempre più percorsa per evitare confronti. E ci dice pure che
le società a controllo pubblico sono il modo per chi è
alle redini del Paese di appropriarsi oltre che del potere
legislativo anche del potere economico.
Bruno Bellio
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