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LA REGOLAMENTAZIONE DEL LAVORO PORTUALE NELLA GLOBALIZZAZIONE DEI TRAFFICI
Se ne è parlato al convegno di Genova "La gestione del cambiamento nei porti. Il ruolo dei protagonisti nella vita portuale" organizzato da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti
29 novembre 1997
Che la buona crescita dei traffici e l'interesse riscosso dal sistema portuale italiano non siano fattori sufficienti per una rapida soluzione dei problemi di organizzazione e di regolamentazione degli scali del nostro Paese se ne sono accorti tutti. E anche che il modo di gestire e di lavorare in questo ambito stia cambiando profondamente e velocemente.
Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno organizzato un convegno, svoltosi oggi a Genova, per cercare di individuare le linee di sviluppo di questo cambiamento, per cercare di smorzare e di prevenire gli aspetti negativi che ogni trasformazione sociale ed economica di grande portata comporta.
La strada da percorrere è ancora molta, lo hanno lasciato intendere alcuni relatori convenuti al Salone delle Compere di palazzo San Giorgio, sede dell'Autorità Portuale. E lo ha reso evidente anche il duello a distanza tra Giuliano Gallanti, presidente dell'ente portuale, e Bruno Musso, presidente della sezione Terminal Operators dell'Associazione Industriali della Provincia di Genova e presidente del Genoa Terminal.
Il problema della gestione dei porti è stato introdotto dal segretario nazionale della Filt Cgil, Mario Sommariva, che ha richiamato la necessità di dare al sistema portuale italiano un assetto stabile. La crescita dei traffici deve essere controllata, gestita, quindi "stabilizzata"
Per Sommariva nell'ambito dell'attuale gioco di poteri nei traffici marittimi non vale più la logica del "porto contro porto", ma la competizione si svolge tra grandi sistemi portuali. "Nella globalizzazione vincono le grandi imprese, e il traffico contenitori è in mano a dieci o quindici grandi operatori che stanno intervenendo nel terminalismo e cambiando la fisionomia della portualità. In questa situazione pesano fortemente i limiti finanziari delle imprese italiane".
Ma non è solo un problema di capitale. L'esponente del sindacato, pur sottolineando l'impegno e la bontà delle scelte operate dal ministro dei Trasporti e della Navigazione Claudio Burlando, ha lamentato l'eccessivo lasso di tempo che intercorre tra le indicazioni programmatiche e il varo dei provvedimenti legislativi. Una mancanza di norme e certezze che pesa sullo sviluppo e la trasformazione delle aree portuali. Sommariva ha definito emblematico il caso di Genova, porto dove più è avanzato il processo di privatizzazione, ma che "porta i segni della crisi, dei problemi".
Gli imprenditori portuali sono stati invece rappresentati dal terminalista Bruno Musso che ha súbito sottolineato il rischio di un'involuzione nell'organizzazione del lavoro portuale. Una situazione determinata dalla non completa e distorta attuazione della legge di riforma del settore. Un ritorno ad anni bui, tanto che - ha detto - si prospetta il passaggio da un monopolio a un duopolio, rappresentato da compagnia portuale e dipendenti dei terminal.
Musso ha rivendicato la particolarità dell'impresa portuale terminalista, differente dalle altre attività industriali per aspetti e possibilità operative. Innanzitutto il terminalista svolge un'attività di servizio, e non produttiva. E i servizi in Italia - ha sottolineato - sono sino ad ora stati offerti solo dalla mano pubblica: treni, trasporti aerei, flotta. Con l'eccezione dell'autotrasporto, unico anche per la frammentazione del servizio che lo caratterizza. Oltretutto al terminalista non sono concesse libertà di cui invece godono "le industrie della pianura Padana", come quella di subappaltare o, addirittura, di chiudere. "Il 30, o forse il 50 per cento dei miei dipendenti pensano che se il Genoa Terminal chiude, ci sarà un'autorità pubblica che prenderà il suo posto, perché il porto non può chiudere".
La mancanza di regole rende incerto il cammino dell'imprenditore. E Musso, pur sottolineando la buona attività svolta dai terminalisti genovesi e anticipando che il suo terminal è in procinto di aggiudicarsi un traffico importante dal Nord Europa alla Spagna, ha lamentato la "fragilità del terminalismo italiano". "Mi spavento se i terminalisti stranieri giungono in Italia. Non sarebbe così se terminalisti italiani lavorassero anche all'estero. Il rischio che si corre è che i porti italiani diventino colonie per gli operatori internazionali, in questo caso potremmo beneficiare solo di occupazione indiretta, ma mancherebbe il controllo sullo sviluppo e la direzione dei traffici". Secondo Musso le imprese straniere hanno maggiore libertà di azione. E ha portato ad esempio il recentissimo accordo tra la società terminalista genovese Gruppo Investiment Portuali (GIP) e l'australiana P&O Ports (inforMARE del 26 novembre). "La P&O qualche tempo fa, proprio a Genova, ha tagliato una quarantina di posti di lavoro e nessuno ha fatto una piega".
Sergio Maria Carbone, ordinario di diritto internazionale all'Università di Genova, si è richiamato invece al proprio ruolo di ricercatore ed ha portato un'analisi puntuale della normativa, avvalorata dai risultati dello studio avviato già dal '92 dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La maggiore regolamentazione delle imprese che lavorano in ambito portuale, richiesta da tutti gli operatori, non va cercata - secondo Carbone - con una legislazione specifica, ma con l'applicazione dei provvedimenti già esistenti e attraverso una contrattazione collettiva tra tutti i soggetti dell'attività portuale.
Ma l'interessante disquisizione del docente universitario non ha sopito, con logica e dottrina, anni di accese discussioni e contrasti che non hanno termine.
A conclusione del convegno, la bassa temperatura dell'ampio Salone delle Compere che aveva ormai infreddolito la maggioranza dei presenti, è stata infatti scaldata dall'intervento di Giuliano Gallanti. Il presidente dell'Autorità Portuale genovese aveva qualche 'rospo in gola'. E, dopo giorni di campagna elettorale per le amministrative comunali passati in istituzionale silenzio, ha dato sfogo a tutta la sua amarezza.
Ha definito non ammissibile il fatto che il legislatore abbia affidato alle autorità compiti di controllo delle attività portuali e non le abbia poi messe in condizioni di svolgere questo ruolo. Il riferimento è in questo caso al ritardo nell'approvazione del decreto legge che blocca da tempo gli esodi di circa 150 dipendenti dell'Autorità Portuale, con un insopportabile carico finanziario per l'ente. Ma anche agli altri provvedimenti del settore marittimo, primo fra tutti l'istituzione del secondo registro internazionale della navigazione.
Il rammarico è anche per le dichiarazioni di Bruno Musso. Gallanti non ha accettato la definizione di 'colonialismo'. L'interesse dimostrato dai grandi operatori internazionali per i porti italiani è sintomo e allo stesso tempo conseguenza del recupero della centralità nei traffici da parte del Mediterraneo, nonché frutto della globalizzazione del mercato.
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