| |
Tra non molto dovrebbe concludersi la competizione tra gli scali della costa est degli Stati Uniti che si contendono il primato di primo e per ora unico porto del versante atlantico in cui potranno operare le meganavi dell'alleanza Maersk - Sea-Land. In palio c'è un flusso di miliardi di dollari di traffico merci, di investimenti e di occupazione. L'accordo in vigore tra le due compagnie e il porto di New York si concluderà infatti nel 2000, e Maersk e Sea-Land sono attualmente alla ricerca di un porto che offra loro un terminal con profondità di 50 piedi, collegato alla rete stradale e ferroviaria, in concessione per venticinque anni.
I porti concorrenti erano New York, Baltimora, Halifax, Boston, Norfolk e Quonset Point, ma la scelta si è poi ristretta ai primi tre (inforMARE del 4 gennaio). New York, Baltimora e Halifax ambiscono quindi a diventare scalo di qualcuna delle tre dozzine di megaportacontainer in esercizio e delle oltre 45 già ordinate ai cantieri navali. Attualmente queste navi giganti trasportano circa un quarto dei carichi marittimi containerizzati, inclusa una quota compresa tra il 5 e il 10 per cento dell'import-export statunitense. Nel 2010 queste meganavi trasporteranno il 40 per cento del carico mondiale containerizzato e circa un terzo del commercio estero USA (esclusi i carichi alla rinfusa).
La costruzione di navi gigantesche è motivata con la realizzazione di economie di scala: più grande è la nave, minore è il costo di trasporto unitario. Per contenere i costi è però necessario che queste navi effettuino anche il minor numero possibile di scali. Da queste premesse nasce la necessità dell'alleanza Maersk - Sea-Land di avere un solo porto di scalo sulla costa est degli Stati Uniti; la stessa filosofia è seguita dai gruppi armatoriali capeggiati da P&O Nedlloyd, NOL e Hanjin, che stanno cercando megaterminal da gestire per conto proprio. Gli armatori che non avranno un proprio porto hub rischieranno quindi di perdere posizioni rispetto alla concorrenza.
Se da un lato cresce la richiesta di grandi infrastrutture portuali, dall'altro permangono le difficoltà degli scali di dotarsi in tempi brevi di nuove strutture e di adeguare quelle esistenti. Potenziare un porto in modo tale da renderlo capace di ricevere le meganavi può richiedere un periodo di tempo superiore ai dieci anni e una spesa di miliardi di dollari. Le banchine - afferma Kurt J. Nagle, presidente dell'American Association of Port Authorities - dovrebbero infatti essere equipaggiate con almeno una dozzina di grandi portainer, mentre l'handling dei carichi richiederebbe l'adozione di sofisticati sistemi computerizzati. Questi elementi tagliano fuori dal gioco alcuni porti inizialmente inseriti nella rosa dei candidati a diventare scalo hub dell'accoppiata Maersk - Sea-Land: nel porto di Quonset Point mancano infatti tutti questi impianti, mentre Baltimora e Halifax necessitano di notevoli lavori di adeguamento delle strutture. Ma la competizione si estende anche ai sistemi di collegamento con i mercati interni: il megaporto dovrà infatti essere collegato con il retroterra con un sistema autostradale efficiente e per mezzo di treni capaci di trasportare container su due piani. Questo tipo di collegamenti è praticamente assente a Quonset Point, mentre Norfolk e Halifax sono serviti da una sola linea ferroviaria. Halifax inoltre è troppo distante dai maggiori centri industriali. Ma il porto canadese è però l'unico ad avere profondità d'acqua sufficiente per accogliere le grandi navi, mentre gli altri presentano problemi d'accesso: a Baltimora, Norfolk e Quonset dovrebbero essere effettuati interventi di dragaggio dei fondali, così come a New York. In quest'ultimo porto questi lavori risulterebbero inoltre di difficile attuazione, perché i sedimenti sul fondale sono contaminati con tossine industriali riversate nelle acque nel corso di decenni. I lavori di dragaggio scatenerebbero sicuramente le reazioni delle organizzazioni ambientaliste, contrarie alla sola idea di portare alla superficie quel materiale inquinante.
Praticamente tutti i porti della costa atlantica statunitense presentano quindi deficienze tali da escluderli dalla gara provocata dall'inserimento crescente di meganavi nelle maggiori flotte container mondiali. Ma - a sentire John M. Pisani, direttore dei Porti e dello Shipping del ministero dei Trasporti USA - per servire il grande mercato nordamericano non è strettamente indispensabile individuare e attrezzare un porto sulla costa atlantica: "le navi - ha infatti detto Pisani - possono trasferirsi in qualsiasi porto sia necessario. I porti no".
S.B.
|
|