- Fra quelli che in Italia si sono chiesti perché la Commissione Europea abbia ripetutamente invitato a modificare il regime di tassazione delle Autorità di Sistema Portuale italiane abrogando l'esenzione dall'imposta sul reddito delle società di cui attualmente beneficiano, la quasi totalità ha desunto che a Bruxelles non abbiano capito com'è il sistema italiano di regolazione dei porti e, banalmente, che in sede europea non si comprenda, o non si voglia comprendere, che le AdSP italiane non sono imprese ma enti pubblici non economici.
-
- Ora che la Commissione UE ha ultimativamente chiesto all'Italia di variare queste norme ( del 4 dicembre 2020), ci sembra che sia una domanda oziosa chiedersi se a Bruxelles di portualità italiana non ne capiscano nulla o piuttosto facciano orecchie da mercante. Una domanda veramente inutile sia se rivolta da quelli che ritengono che il governo italiano in passato abbia fatto poco per difendere le proprie tesi presso la Commissione Europea sia da quelli che reputano che a Bruxelles non ci sia - in buona o mala fede - nessuno in grado di comprendere il perché delle norme italiane sulla portualità.
-
- Oltre che interrogarsi sulle proprie ragioni, nell'ottica di trovare una soluzione sarebbe forse il caso di chiedersi perché la Commissione Europea si ostina a chiedere all'Italia quello che quest'ultima si rifiuta di concedere.
-
- Precipuo compito della Commissione è quello di proporre nuove leggi e di contribuire a definire la strategia dell'Unione Europea. Si può considerare quest'ultima come un'organizzazione delle Nazioni Unite d'Europa e credere che la Commissione sia uno degli organi che contribuiscono al mantenimento delle “buone relazioni” sociali ed economiche tra le nazioni europee. Non è così. L'UE non è l'Onu. L'Unione Europea ha sì con le Nazioni Unite alcuni importanti obiettivi comuni. Ma ne ha di assai differenti e più concreti, a partire dal compito di stabilire un'unione economica e monetaria. Basterebbe questo a far comprendere perché la Commissione Europea cerca incessantemente di armonizzare le norme che regolano le attività economiche degli Stati dell'Unione, e quindi perché cerca di farlo anche rispetto alla portualità.
-
- I sistemi di governance dei porti europei nordeuropei e mediterranei sono assai differenti. Di integrale gestione imprenditoriale si può parlare solo dei porti del Regno Unito, dove le aziende non solo gestiscono in toto le attività portuali, ma sono anche proprietarie delle aree portuali. Si può comunque schematicamente parlare di natura prettamente pubblicistica delle autorità portuali degli Stati dell'UE sul Mediterraneo, in particolare dell'Italia con le sue AdSP che sono appunto enti pubblici non economici, e invece di natura privatistica delle autorità portuali degli Stati nordeuropei in quanto assimilabili a società per azioni anche se partecipate generalmente da enti pubblici locali e statali.
-
- È ovvio che, svolgendo il suo compito di armonizzazione delle differenti norme in materia portuale, la Commissione UE debba imporre regole che evitino la possibilità di distorsioni del mercato, in particolare attuate con la concessione di aiuti di Stato in violazione delle specifiche normative europee. Sotto questo aspetto, al di là delle ampie “zone grigie” che caratterizzano entrambi i sistemi, appare più agevole accertare queste infrazioni nell'ambito del regime di governance portuale nordeuropeo piuttosto che in quello sudeuropeo. Le autorità portuali nordeuropee sono ben consce della preferenza dell'UE per il loro sistema di governance ritenuto più “trasparente”.
-
- Arrancando, negli ultimi anni le autorità portuali sudeuropee non hanno fatto altro che sollecitare ripetutamente la Commissione Europea a prendere atto della validità del loro regime di governance, ma non hanno cercato di imporlo come riferimento per la legislazione europea sui porti. Forse ritenevano di rivolgersi alle Nazioni Unite d'Europa invece che all'Unione Europea, o forse sapevano di non avere alcuna possibilità di successo. Fatto sta che, oggi come oggi, pare impensabile che la Commissione Europea possa cambiare parere rispetto alla propria convinzione della natura imprenditoriale della gestione delle aree portuali affidate dalle autorità portuali.
-
- Per l'Unione Europea, come ribadito dalla Commissione Europea e dalla Corte di Giustizia dell'UE, i profitti prodotti dai porti devono essere tassati, quale che sia la forma giuridica dell'operatore sotto cui ricadono queste attività economiche (tra queste lo sfruttamento commerciale delle infrastrutture portuali attraverso un rapporto contrattuale sinallagmatico).
-
- Da tempo diverse nazioni dell'UE hanno preso atto di questo orientamento e, in ultimo la Spagna, hanno deciso di adeguare le proprie leggi senza snaturare il loro regime di governance. Sinora, invece, l'Italia non ha neppure preso in considerazione l'ipotesi di cedere di un passo, come se non si possa salvaguardare la natura pubblicistica della missione delle Autorità di Sistema Portuale pur introducendo modifiche al sistema di governance, come ad esempio ha fatto la Spagna attraverso l'individuazione - in contraddittorio con i funzionari della Commissione Europea - di quelle attività di pura natura pubblicistica svolte dagli enti, e quindi escluse dalle regole europee sugli aiuti di Stato, scindendole da quelle che sono da considerarsi attività economiche.
-
- Forse sarebbe ora che il governo di Roma valuti questa strada. Il muro contro muro non sembra produttivo per l'Italia, che è rimasta l'ultima nazione dell'UE in cui si ritiene che o si è “pubblici” sino al midollo oppure si è “privati” con la conseguente deduzione - sbagliata - che i porti perdano la possibilità di ottenere il sostegno dello Stato.
-
- In conclusione, invece che accanirsi in uno scontro ideologico, è forse più proficuo per l'Italia negoziare un adeguamento della propria legislazione portuale, anche a vantaggio di un'Unione Europea che non sia quella auspicata dagli europeisti della domenica o dai sovranisti che cercano di smantellarla.
-
- Bruno Bellio
|