Dato che se l'ottantesima sessione del Marine Environment
Protection Committee (MEPC) dell'International Maritime Organization
(IMO) della scorsa settimana si è chiusa con un accordo che
accelera la strategia iniziale per ridurre le emissioni di gas ad
effetto serra prodotte dalle navi, che era stata avviata nel 2018
(
del
7
luglio 2023), ponendo però tappe su questo percorso che
non sono vincolanti, come immaginabile le organizzazioni
ambientaliste che più di altre premono per la
decarbonizzazione dello shipping non sono soddisfatte dell'esito
delle trattative svolgesi nei giorni scorsi a Londra.
«I 175 Stati membri dell'IMO non sono riusciti a
concordare obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni per il
2030e il 2040». Lo hanno lamentato in un comunicato congiunto
i rappresentanti di Clean Shipping Coalition, Transport &
Environment, Seas At Risk, Ocean Conservancy, Pacific Environment e
Carbon Market Watch prendendo atto che sono stati solo programmati
“punti di controllo indicativi” per verificare se nel
2030 la strategia ha portato ad una riduzione delle emissioni
compresa tra il 20% e il 30% e se nel 2040 la diminuzione ha
raggiunto il 70-80%, per raggiungere l'azzeramento, o emissioni
attorno allo zero, nel 2050, a seconda - hanno sottolineato le sei
organizzazioni - delle «contingenze nazionali». Le
organizzazioni ambientaliste, come già ampiamente
sollecitato, hanno ribadito che, con l'obiettivo di limitare
l'aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius come
previsto dall'Accordo di Parigi, le emissioni del trasporto
marittimo dovrebbero essere dimezzate entro il 2030 e azzerate entro
il 2040.
Nel comunicato, le sei organizzazioni non solo criticano l'IMO
perché affronta timidamente e inadeguatamente le questioni
climatiche e ambientali, ma soprattutto per mancanza di trasparenza
in quanto i negoziati si svolgono a porte chiuse senza che le parti
interessate né i media possano assistere.
«Non ci sono scuse - è il commento di John Maggs
della Clean Shipping Coalition - per questo accordo che è un
pio desiderio e una preghiera. Sapevano cosa richiedeva la scienza e
che una riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030 era
possibile e conveniente. Invece il livello di ambizione concordato è
ben al di sotto di quanto necessario per essere sicuri di mantenere
il riscaldamento globale al di sotto di 1,5º C, e usa un
linguaggio che appare artatamente vago e non impegnativo. I più
vulnerabili hanno combattuto in modo ammirevole per grandi ambizioni
e per migliorare significativamente l'accordo, ma siamo ancora molto
lontani da che l'IMO tratti la crisi climatica con l'urgenza che
merita e che il pubblico richiede».
Dure anche le considerazioni di Faig Abbasov di Transport &
Environment, che ha dichiarato: «a parte la FIFA è
difficile pensare ad un'organizzazione internazionale più
inutile dell'IMO. I colloqui sul clima di questa settimana
ricordavano il riordino delle sedie a sdraio su una nave che
affonda. L'IMO ha avuto l'opportunità di stabilire una rotta
inequivocabile e chiara verso l'obiettivo degli 1,5 gradi Celsius,
ma tutto ciò che ne è venuto fuori è un
compromesso ambiguo. Fortunatamente - ha aggiunto - Stati come Stati
Uniti, Regno Unito e UE non devono aspettare che Cina, Brasile e
Arabia Saudita agiscano. Politiche nazionali ambiziose e rotte
marittime verdi possono avere un impatto globale. È tempo di
pensare globalmente e di agire localmente».
«Ciò che è particolarmente grave - ha
sottolineato Lucy Gilliam di Seas At Risk evidenziando che le misure
per decarbonizzare lo shipping sono note da tempo e sono efficaci -
è che abbiamo in know-how per affrontare questa crisi.
Sappiamo anche che l'azione risulterà assai più
economica dell'inazione. Le soluzioni ci sono e ancora una volta
l'IMO non riesce ad agire con l'urgenza richiesta per affrontare la
crisi climatica».
Pur evidenziando che «la nuova strategia sui gas ad
effetto serra raddoppia l'ambizione a lungo termine rispetto alla
strategia iniziale del 2018», Delaine McCullough di Ocean
Conservancy ha osservato che «i punti di controllo per il 2030
e il 2040 che sono stati finalmente concordati non sono all'altezza
di ciò che è necessario per limitare il riscaldamento
a 1,5° C. Per fortuna - ha precisato McCullough - le Isole
Marshall, Vanuatu e altri piccoli Stati insulari sono stati in grado
di assicurare posti di controllo più significativi, ma l'IMO
deve fare di meglio e altri dovranno intervenire». «Nonostante
l'inclusione degli obiettivi di riduzione delle emissioni per il
trasporto marittimo del 2030 e del 2040 non siano insignificanti -
ha aggiunto Madeline Rose di Pacific Environment - elogiamo la
Repubblica delle Isole Marshall e Vanuatu per il loro incessante
sforzo diplomatico per mantenerli. Questa strategia vedrà il
settore dello shipping esaurire il suo budget di carbonio di 1,5 °C
entro il 2032. Fortunatamente, le principali nazioni marittime, i
porti e le aziende possono ancora agire per decarbonizzare
completamente il trasporto marittimo entro il 2040, ed è
quello che li spingeremo a fare». Rimarcando il fallimento
dell'azione dell'IMO, Daniele Rao di Carbon Market Watch ha
evidenziato la necessità «che nazioni e gruppi
ambiziosi traccino la propria rotta e fissino tasse sul carbonio a
livello nazionale e regionale di almeno 100 dollari per tonnellata
di emissioni di gas serra».