L'ottimizzazione degli arrivi delle navi nei porti attraverso
una riduzione della congestione negli scali portuali e dei tempi di
attesa delle navi potrebbe diminuire sensibilmente le emissioni
prodotte dal traffico marittimo, calo che per alcune tipologie di
navi potrebbe arrivare sino al 25%. Lo afferma un nuovo studio
realizzato dall'UCL Energy Institute di Londra e dalla concittadina
UMAS, società di consulenza che supporta le imprese del
settore marittimo nelle strategie per la decarbonizzazione. Lo
studio ha preso in esame il traffico navale tra il 2018 e il 2022
rilevando che nel periodo le navi hanno trascorso tra il 4 e il 6%
del loro tempo operativo, pari a circa 15-22 giorni all'anno, in
attesa fuori dai porti prima di poter arrivare in banchina, tempo di
attesa che - specifica il documento - deriva da comuni pratiche
operative, da problemi sistemici come la congestione del porto,
dall'inadeguata standardizzazione dei dati, da contratti di noleggio
non flessibili tra armatori e noleggiatori e dal limitato
coordinamento tra i numerosi stakeholder coinvolti in un'operazione
di carico e scarico delle merci dalla nave.
Con una riduzione del tempo di attesa, sottolinea lo studio, il
potenziale risparmio medio di emissioni sarebbe di circa il 10% per
le navi portacontainer e per le rinfusiere, del 16% per le gasiere e
le petroliere e di quasi il 25% per le chimichiere. Il risparmio di
emissioni di gas serra è stato stimato sulla base della
riduzione della velocità del viaggio che potrebbe essere
attuata se le navi salpassero per arrivare in porto nel momento in
cui l'attracco diventa disponibile.
Il documento precisa che nel periodo 2018-2022 il tempo medio di
attesa delle navi ha registrato un aumento, trend che varia a
seconda del tipo di nave (è diminuito per le portacontainer e
le petroliere). Tra gli altri rilievi, lo studio evidenzia che
generalmente i tempi di attesa prima dell'attracco si riducono con
l'aumento delle dimensioni della nave: le navi più piccole
hanno i tempi di attesa prima dell'attracco più lunghi e
quindi presentano le maggiori potenzialità di riduzione della
velocità.
Lo studio, inoltre, osserva che le emissioni di gas serra
potrebbero essere ridotte convertendo i tempi di attesa in una
durata più lunga del viaggio che può essere eseguito
ad una velocità inferiore: a causa della relazione non
lineare tra la velocità della nave e il consumo di
carburante, infatti, un tempo di attesa del 4-6% si convertirebbe in
miglioramenti dell'intensità di carbonio e riduzioni delle
emissioni significativamente più elevati (circa 10-25%).
Rilevando poi che il potenziale di riduzione delle emissioni totali
per i diversi tipi di navi non trova corrispondenza con i tipi di
navi che hanno i maggiori tempi di attesa e potenziali di riduzione
della velocità, lo studio specifica che, ad esempio, il
trasporto marittimo containerizzato presenta generalmente i tempi di
attesa più bassi, ma, dato che è il tipo di nave con
le emissioni totali più elevate, ha il più alto
potenziale di riduzione delle emissioni assolute.
Esaminando le modalità di riduzione dei tempi di attesa
delle navi e quindi delle emissioni prodotte dal traffico marittimo,
lo studio non poteva esimersi dal prendere in considerazione il
Carbon Intensity Index (CCI), il rating di efficienza energetica
delle navi correlato alla riduzione della riduzione annuale
dell'intensità di carbonio operativo. Un indice di cui le
associazioni armatoriali internazionali, nel quadro delle politiche
in definizione presso l'International Maritime Organization (IMO),
hanno chiesto più volte la modifica
(
del 9
luglio 2024). Lo studio di UCL e UMAS sottolinea la validità
di un approccio basato su questo indicatore: osservando che c'è
già una solida letteratura che sottolinea come il potenziale
per sbloccare un ulteriore miglioramento dell'efficienza energetica
nel trasporto marittimo è legato alla rimozione delle
barriere e dei malfunzionamenti del mercato, il documento rileva che
«la regolamentazione CII com'è stata concepita
originariamente - un approccio olistico basato sugli obiettivi per
valutare l'intensità di carbonio complessiva annuale misurata
(effettiva) - è logicamente coerente con questa letteratura.
Ha fissato elevati obiettivi in tutti gli aspetti operativi, incluse
le operazioni che si verificano nell'interfaccia tra diverse entità
commerciali, ad esempio tra armatori e noleggiatori nonché
tra operatori navali e operatori portuali/logistici. È quindi
comprensibile - rileva lo studio - che subisca critiche da parte di
gruppi di stakeholder del settore, in particolare dalla comunità
degli armatori, perché agisce sull'armatore e lo incentiva a
trovare miglioramenti non solo sulla nave, ma anche nelle interfacce
tra l'operatività della nave e il contesto commerciale e
logistico più ampio in cui si colloca lo shipping. Tuttavia -
precisa però lo studio - è anche chiaro dall'analisi
in questo rapporto che se la risposta alle critiche è quella
di inquadrare la metrica CII solo sul “viaggio in mare”
(come alcuni hanno proposto), ciò cambierebbe la natura della
regolamentazione CII e rimuoverebbe l'incentivo a trovare
opportunità più olistiche e potenzialmente più
economiche per la riduzione dei gas serra e dell'intensità di
carbonio. Tale limitazione significherebbe che le note barriere del
mercato rispetto all'interfaccia dell'operatività della nave
continuerebbero ad essere poco incentivate e continuerebbero a
persistere. La conseguenza perversa sarebbe quella di rendere più
difficile e/o costoso il raggiungimento delle riduzioni di GHG
specificate nella nuova strategia dell'IMO (20%, puntando a una
riduzione assoluta di GHG del 30% nel 2030, rispetto al 2008)».