L'accordo sui traffici marittimi che Cina e Taiwan hanno sottoscritto il 22 gennaio scorso, nell'allora neutrale Hong Kong, è giunto dopo 48 anni di interruzione completa degli scambi via mare tra i due Paesi. Pur trattandosi di un'apertura limitata, riguardante solo il porto taiwanese di Kaohsiung e quello cinese di Xiamen, è sembrato il segnale di un avvicinamento politico e commerciale a cui apporre propriamente l'aggettivo 'storico'.
A dire il vero dei collegamenti erano stati avviati sino dal 1980, ma erano effettuati indirettamente attraverso lo scalo intermedio di Hong Kong e quindi, diplomaticamente, non 'esistevano'.
Il 19 aprile l'arrivo nel porto di Kaohsiung della portacontainer "Sheng Da" della Xiamen Ocean Shipping (gruppo COSCO) ha invece reso ufficialmente operativo l'accordo, pur con uno strascico di polemiche formali sull'uso e sull'esposizione a bordo delle bandiere nazionali. Il primo viaggio nella direzione Taiwan - Cina è stato invece percorso il 25 aprile dalla portacontainer "Uni Order" della Uniglory Marine Corporation (gruppo Evergreen). Da allora i collegamenti si sono sviluppati lentamente e faticosamente (inforMARE del 30 maggio, 24 giugno e 11 agosto).
Gli armatori taiwanesi e cinesi, ma anche quelli stranieri, hanno continuato comunque ad essere fiduciosi e ad attendere un progressivo allargamento dei traffici ad altri porti. Non solo, ma gli imprenditori di Taiwan hanno iniziato a fare della Cina uno dei mercati più importanti per l'isola: sono infatti ben 30 i miliardi di dollari (circa 50.250 miliardi di lire italiane) investiti sull'altra sponda dello Stretto che divide le due nazioni.
Una valanga di soldi tale da impensierire il governo di Taipei, che ha lanciato un monito alla finanza e all'industria nazionale: "l'economia di Taiwan non deve dipendere in maniera così stretta dalla Cina comunista". Certamente il cambiamento di rotta è evidentissimo: un'inversione compiuta nonostante le remore dei politici dei due Paesi e scavalcando, ove possibile, i limiti imposti agli investimenti e ai collegamenti marittimi.
Pechino e Taipei continuano imperterriti ad accusarsi vicendevolmente di ostacolare i contatti commerciali e di porre pregiudiziali ad ogni rapporto istituzionale. Ma sono concordi nel ritenere che una progressiva 'liberalizzazione' dei traffici nello Stretto favorirebbe una vertiginosa ascesa degli scambi.
Un prossimo convegno sull'isola, che riunirà i rappresentanti dello shipping delle opposte coste, potrà forse accelerare il processo di pacificazione. Almeno nei traffici marittimi.
Bruno Bellio
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