L'allarme circa il rischio che l'inclusione del trasporto
marittimo nel sistema EU ETS di scambio di quote di emissione e la
conseguente possibile elusione di questo sistema da parte di navi
che potrebbero scalare porti extraeuropei per evitare di acquistare
quote, elusione che andrebbe a penalizzare l'attività di
porti europei, in particolare di quelli di transhipment, è
stato più volte denunciato da diverse organizzazioni del
settore marittimo-portuale e da diverse organizzazioni politiche,
nazionali e internazionali, ed è stato rilanciato ieri dai
sindacati italiani Uiltrasporti e Filt-Cgil nonché dalla
Fit-Cisl.
Quest'ultima ha evidenziato che «dopo le recenti proposte
di modifica e le evoluzioni legislative che interessano le reti
TEN-T (reti transeuropee dei trasporti), la Commissione Europea
interviene a gamba tesa con una nuova misura che, se approvata,
potrebbe penalizzare l'Italia- La misura contenuta nel pacchetto Fit
for 55, Modifica del sistema europeo di scambio di quote di
emissioni nel trasporto, detta EU-ETS, prevede una tassazione
applicata agli armatori di navi superiori alle 5mila tonnellate, per
rispondere agli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.
Pur condividendone la finalità, riteniamo che essa così
come è concepita, con un aggravio dei costi per gli armatori,
possa depotenziare i porti italiani, a partire da quello di Gioia
Tauro, uno dei maggiori hub del Mediterraneo, favorendo
l'operatività di altri scali quali Tanger Med o Port Said. Su
questo tema solleciteremo l'intervento dell'ETF e dell'ITF,
rispettivamente, la Federazione europea e la Federazione
internazionale dei lavoratori dei trasporti, ad assumere una
posizione nei confronti dei rispettivi livelli istituzionali, al
fine di impedire che il sistema portuale italiano venga penalizzato.
Dobbiamo proteggere i posti di lavoro e, nello stesso tempo,
valorizzare risorse e potenzialità del settore». Al
fine di scongiurare tale rischio i sindacati italiani hanno chiesto
un intervento del governo nazionale presso l'UE
(
del 12
e 12
settembre 2023).
Il tema è stato anche oggetto ieri di un'interrogazione
della deputata Maria Grazia Frijia di Fratelli d'Italia presso la
Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera nella
quale, premettendo che «con la direttiva 2003/87/CE, l'Unione
Europea ha istituito l'European Emission Trading Scheme («EU-ETS»),
una misura finalizzata alla riduzione delle emissioni di gas a
effetto serra, il cui campo di applicazione è stato esteso al
trasporto aereo nel 2014 e al trasporto marittimo con la direttiva
2023/959 che gli Stati membri europei sono tenuti a recepire entro
la fine del 2023», che «dal 2025 le compagnie di
navigazione dovranno acquistare permessi («EUAs») per
ogni tonnellata di emissioni CO2 rilasciata nell'atmosfera
registrate durante il precedente anno solare. Dopo un periodo
iniziale, durante il quale l'onere varierà dal 40 per cento
al 70 per cento di quanto emesso, dal 2027 le compagnie dovranno
pagare il 100 per cento delle emissioni generate nelle tratte
intra-EU e il 50 per cento delle emissioni nelle tratte
internazionali da o verso uno scalo europeo», che «recenti
studi hanno dimostrato le pesanti implicazioni per il settore
portuale nazionale derivanti dall'inclusione del trasporto marittimo
nel sistema ETS, in relazione al rischio di una progressiva
delocalizzazione presso i porti del Nord Africa delle attività
di trasbordo di contenitori precedentemente svolte negli scali
europei», che «la stessa direttiva prevede uno strumento
che dovrebbe contrastare tale possibilità (la cosiddetta
«regola delle 300 miglia»), che, però, di fatto,
risulta inidoneo ad arginare i potenziali rischi di delocalizzazione
dei traffici oggi attinti dai terminal nazionali, come nel caso, ad
esempio, del porto di Gioia Tauro, che rischia di perdere tutti i
suoi traffici a favore dei porti africani poiché le compagnie
che fanno scalo nel porto calabrese non potranno sostenere i costi
associati al regime ETS, equivalenti ad un totale stimato di oltre
un miliardo di euro annuo», e infine che «la direttiva
impone alla Commissione Europea di evitare sin dall'inizio i
fenomeni di rilocalizzazione dei traffici prevedendo l'elaborazione
di un'analisi che valuti gli effetti del regime sui traffici; allo
scopo di scongiurare la fuga dei traffici e il blocco degli
investimenti, con ripercussioni che rischiano di ricadere anche
sull'utenza, suddetta analisi dovrebbe esaminare ex ante, con il
coinvolgimento del comparto marittimo-portuale, l'effetto sulla
competitività dei porti di trasbordo dell'Unione europea,
sotto il profilo dei costi e della disparità di trattamento
rispetto ai porti extra-UE», con l'interrogazione si intendeva
conoscere «se e quali iniziative di competenza intenda
adottare, anche presso le competenti sedi europee, per giungere ad
una revisione tempestiva del sistema ETS prima che i processi di
trasferimento delle linee marittime diventino potenzialmente
irreversibili».
A rispondere, per conto del Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti, è stato il sottosegretario Tullio Ferrante. Nella
premessa il sottosegretario ha precisato che «in riferimento
alle iniziative per scongiurare le implicazioni per il settore
portuale nazionale derivanti dall'inclusione del trasporto marittimo
nel sistema Emission Trading System (ETS) alla luce della direttiva
EU 2023/959, è stato interessato il Ministero dell'Ambiente e
della sicurezza energetica che ha rappresentato quanto segue. Tale
direttiva, che modifica la direttiva 2003/87/CE, è stata
oggetto di un lungo e complesso periodo di negoziazione che ha
interessato nel complesso istituzioni e portatori di interesse. La
possibilità di comportamenti opportunistici delle società
di navigazione, consistenti nel prediligere scali in porti al di
fuori dell'Unione per le proprie attività di trasporto
marittimo al fine di evitare l'applicazione del meccanismo, sono
stati oggetto di studi da parte della Commissione, nonché di
discussione nell'ambito del Climate Change Expert Group, portando
all'individuazione di alcuni porti situati nelle vicinanze
dell'Unione che potrebbero essere privilegiati a questo scopo, i
quali non verranno considerati come scali nel monitoraggio delle
tratte extra UE. In tal senso, la definizione di un limite di 300
miglia nautiche da un porto sotto la giurisdizione di uno Stato
membro ai fini dell'esclusione della definizione di porto di scalo è
stata ritenuta una risposta proporzionata a tali possibili
comportamenti opportunistici, che bilancia l'onere supplementare con
il rischio di elusione dell'applicazione del meccanismo.
L'esclusione dalla definizione di porto di scalo di cui sopra si
applicherà solo alle soste delle navi merci in alcuni porti
non dell'Unione, laddove il trasbordo di container rappresenta la
maggior parte del traffico commerciale. Inoltre, per garantire la
proporzionalità della misura e fare in modo che questa
conduca alla parità di trattamento, si è ritenuto
opportuno tenere conto delle misure in vigore nei paesi terzi che
hanno un effetto equivalente a quelle della direttiva 2003/87/CE».
Quindi Ferrante ha ricordato che «il 21 agosto scorso è
stata pubblicata dalla Commissione la consultazione pubblica per
ricevere commenti, fino al prossimo 18 settembre, da parte dei
portatori di interesse, inerenti alla proposta dell'atto di
implementazione che individua i porti di trasbordo di container
limitrofi ai sensi dell'articolo 3-octies-bis, paragrafo 2, della
direttiva 2003/87/CE, nei casi in cui: la quota di trasbordo di
container superi il 65 per cento del traffico totale di container
del porto; il porto si trovi al di fuori dell'UE, ma a meno di 300
miglia nautiche da un porto sotto la giurisdizione di uno Stato
membro; il porto sia situato in un paese extra UE che non applica in
modo efficace misure equivalenti alla direttiva».
Il sottosegretario ha ricordato anche che, «sul tema,
l'Autorità di Sistema Portuale dei Mari Tirreno Meridionale e
Ionio ha condotto uno studio sullo scalo di Gioia Tauro, porto
strategico per il comparto trasportistico nazionale per il ruolo di
“porto di transhipment”, il cui movimentato da solo,
rappresenta quasi il 28 per cento del totale generale del segmento
container nazionale ed il 77 per cento di quello container
transhipment. Gli esiti di tale analisi fanno emergere la necessità
di individuare soluzioni per arginare le potenziali criticità
denunciate dall'onorevole interrogante».
«Le proposte emendative del testo della direttiva,
attraverso l'esclusione quale porto di scalo per le navi
portacontainer “di un porto di trasbordo di container europeo
o limitrofo” - ha sottolineato il sottosegretario -
consentirebbero nello specifico, di inserire Gioia Tauro nello
stesso elenco in cui sono inseriti porti come Tangeri Med e Port
Said, applicando il medesimo requisito di uno “share
transhipment” maggiore del 65 per cento sul totale dei
contenitori movimentati».
Infine Ferrante ha comunicato che «il MIT ha avviato una
interlocuzione con tutte le Autorità di Sistema Portuale per
verificare se vi siano altri porti che rientrano nella stessa
situazione di Gioia Tauro» e che «l'obiettivo è
il superamento di possibili distorsioni del mercato che potrebbero
comportare una antieconomicità ad investire nelle
infrastrutture di terminal transhipment localizzati nel territorio
dell'Unione, ed in particolare in Italia, estendendo il regime
applicato ad altri porti del Mediterraneo non europei anche ai porti
di transhipment europei».
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