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Si è svolto tutto in tre mesi e mezzo. Un arco di tempo così breve è stato sufficiente per consegnare alcuni tra i container terminal più importanti dei porti italiani nelle mani di imprese estere.
Lo scorso novembre l'australiana P&O Ports è entrata a far parte, con il 20 per cento, del capitale azionario del Gruppo Investimenti Portuali (GIP). La società italiana, che svolge attività terminalistica a Genova (SECH), Cagliari (MITH) e Napoli (Flavio Gioia), ha sottolineato l'intenzione di mantenere il controllo del gruppo, ma è previsto un rafforzamento della partecipazione estera che punta ora al 50 per cento del pacchetto azionario.
Due mesi dopo, a conclusione di una lunga trattativa, la Port of Singapore Authority (PSA) Corporation ha acquisito il 60 per cento della Sinport, azienda del gruppo Fiat che gestisce terminal a Genova (VTE), Venezia (Vecon) e Civitavecchia (RCT).
Nel frattempo un altro gigante dello shipping mondiale, l'Evergreen, ha scelto Taranto come suo porto hub nel Mediterraneo. Il gruppo di Taiwan in Puglia non ha spodestato nessuno, decidendo per la rivitalizzazione di una banchina pressoché abbandonata e smentendo l'ipotetico insediamento a Gioia Tauro.
La firma che Michele Lacalamita, presidente dell'Autorità Portuale di Trieste, e Wouter den Dulk, presidente di Europe Combined Terminals (ECT), apporranno oggi sull'atto di concessione trentennale del container terminal Molo VII del porto di Trieste sancisce l'ingresso di un altro grande operatore portuale internazionale sulla scena italiana. Si respira aria di soddisfazione in terra giuliana: dopo un'annata positiva se ne apre un'altra sotto i migliori auspici.
Trieste si è affermato nel 1997 primo porto italiano con un traffico di oltre 46 milioni di tonnellate di merci e una crescita del 12 per cento. Per contro la pur significativa quota di circa 200 mila container movimentati all'anno non basta a fare dello scalo un punto di riferimento per questo tipo di traffico nel Mediterraneo, e la cifra impensierisce ancor meno i concorrenti nordeuropei impegnati, come Trieste, nella conquista dei mercati dell'Europa centro-orientale. Ma con l'arrivo di ECT si attende il rafforzamento di questo settore strategico.
Il piano della società olandese è di portare il Molo VII alla movimentazione di 400 mila contenitori dopo quattro anni di attività, per poi mirare ad un ulteriore raddoppio. ECT confida nella posizione strategica del porto, al vertice del corridoio Adriatico, e nella bontà delle infrastrutture portuali. Dovrà ancora lavorare per definire con l'ente portuale l'impiego di 185 dipendenti del terminal, ma la firma odierna sancisce la volontà delle parti di raggiungere un accordo entro l'estate.
Solo tre mesi e mezzo, dicevamo, sono stati sufficienti per il passaggio di alcuni tra i più importanti container terminal italiani sotto il controllo o la cogestione di imprese e gruppi esteri. Queste strutture portuali figurano, per traffico realizzato e per potenzialità, nelle posizioni di vertice della classifica italiana del settore. Ma non sfigurano neppure se si allarga la graduatoria all'intero bacino mediterraneo.
Tre mesi e mezzo sono un periodo breve, tanto che non c'è ancora stato tempo di effettuare un bilancio, di capire in quale direzione stia andando il sistema portuale italiano. Coram populo si dice che l'ingresso degli operatori stranieri è il risultato inevitabile del processo di globalizzazione del mercato marittimo mondiale: d'altronde è una replica di quanto è già successo sul pianeta nella quasi totalità dei settori industriali e commerciali.
Non solo, ma si tratta una palese dimostrazione dell'importanza acquisita in pochi anni dai porti italiani, oltre che della conseguenza - altrettanto inevitabile - dei processi di privatizzazione avviati in questi scali. I terminal sono messi sul mercato e la loro aggiudicazione segue le regole della domanda e dell'offerta.
Ma questi mesi sono stati più che sufficienti per mettere in evidenza anche la fragilità e la ridotta competitività dell'imprenditoria portuale italiana. E' un dato di fatto: l'asta dei terminal italiani è stata disertata dalle aziende nazionali.
Pessimismo? Eccesso di campanilismo? Ma i telegiornali dicono che c'è Gioia Tauro.
Al porto calabrese è stato assegnato il ruolo di rappresentante della ripresa del Mezzogiorno. I dirigenti del Medcenter Container Terminal, oltreché sorridere dell'affermazione, stanno mettendo in pratica tutte gli scongiuri di rito: conoscono bene gli esiti dell'identica augurale gratifica assegnata al centro siderurgico che loro hanno saputo trasformare nel primo scalo di transhipment del Mediterraneo.
Tra l'altro l'MCT, come il La Spezia Container Terminal, il Savona Vado Container Terminal, il Salerno Container Terminal, fanno capo - in misura diversa - all'inglese Contship.
Il fatto che l'operazione Gioia Tauro sia avvenuta al di fuori dei fatidici tre mesi e mezzo e che sia nata da un'intuizione di Angelo Ravano non basta ad escluderla, crediamo, dalla campagna di conquista dei moli nostrani.
Bruno Bellio
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