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Lo shipping britannico si sente sotto assedio
Le repliche della Chamber of Shipping di Londra agli attacchi sui temi della tonnage tax, della Non-Dom Tax e dell'inquinamento causato dalle navi
15 febbraio 2008
Lo shipping britannico respinge i ripetuti attacchi di cui si ritiene l'obiettivo. Dopo aver esortato il governo di Londra ad abbandonare i propositi di modificare il regime fiscale per i cittadini che non hanno la residenza nel Regno Unito, la cosiddetta “Non-Dom Tax”, modifica che - secondo l'industria marittima - avrebbe l'effetto di allontanare le società di navigazione internazionali che hanno sede a Londra inducendole a trasferirsi all'estero, e dopo aver sottolineando che la decisione del fisco inglese di applicare nel prossimo esercizio fiscale alle compagnie marittime sottoposte al regime fiscale britannico della tonnage tax le restrizioni alle immatricolazioni nei Registri nazionali introdotte dall'UE nel 2005, fatto che comporterebbe l'esclusione da tale regime di molte tipologie di navi, la Chamber of Shipping si è indignata anche per un articolo pubblicato mercoledì scorso in prima pagina sul quotidiano inglese “The Guardian” nel quale si accusa il trasporto marittimo di eccessivo inquinamento a causa delle emissioni di anidride carbonica delle navi.
L'articolo - così come altri apparsi su molti giornali mondiali nei giorni scorsi - sostiene che la vera portata delle emissioni delle navi accusate di contribuire al cambiamento climatico è tre volte superiore rispetto a quanto ritenuto in precedenza. Il “The Guardian”, riprendendo i dati di un recente rapporto delle Nazioni Unite, sottolinea come tali emissioni avrebbero raggiunto i 1,12 miliardi di tonnellate di CO2 all'anno, un volume pari a circa il 4,5% di tutte le emissioni dei principali gas serra, mentre in precedenza l'Intergovernmental Panel on Climate Change dell'Onu riteneva che le emissioni di CO2 dalle navi ammontasse al massimo a 400 milioni di tonnellate all'anno.
In particolare la Chamber of Shipping non ha gradito il paragone proposto dal quotidiano, secondo il quale «l'industria aerea, che è stata posta sotto grande pressione affinché diventi più pulita, è responsabile per circa 650 milioni di tonnellate di CO2, poco più della metà rispetto allo shipping».
La Chamber of Shipping, con voluta ironia, si domanda: «dovremmo forse fermare tutte le navi e portare i traffici per via aerea?». «Ciò - ha sottolineato l'associazione dell'industria marittima britannica – rappresenterebbe una catastrofe per l'ambiente e sarebbe anche una cosa impossibile dal punto di vista fisico. Il trasporto aereo produce CO2 in misura 100 volte superiore in termini di tonnellate-chilometro. Tale trasferimento in pratica quadruplicherebbe le emissioni di CO2 prodotte dall'uomo».
«Precedenti studi, incluso l'universalmente acclamato rapporto Stern (adviser del governo britannico per i cambiamenti climatici, ndr) - ha rilevato la Chamber of Shipping - hanno sostenuto che lo shipping è responsabile di una percentuale tra il due e il quattro per cento delle emissioni complessive di CO2 causate dall'uomo. L'asserzione secondo cui la percentuale del 4,5% è “tre volte superiore rispetto a quanto ritenuto in precedenza” è strana. Di certo la stessa industria marittima ha da tempo riconosciuto la difficoltà di ottenere un dato esatto sulle emissioni di CO2 a causa della sua complessità e della sua natura globale. I dati del rapporto presentato dall'International Maritime Organization (l'organismo dell'Onu per lo shipping) danno un contributo importante alla definizione di un dato di base rispetto al quale valutare gli sforzi del settore per ridurre le emissioni di CO2 nel modo più rapido e più duraturo possibile». «Invece - ha aggiunto l'associazione - il vero obiettivo del rapporto dell'IMO è la riduzione delle emissioni dalle navi (il CO2 non è classificato quale inquinante, ma come gas serra). Lo stesso rapporto non manifesta preoccupazione riguardo alle emissioni di anidride carbonica di per sé, se non per valutare se gli sforzi per ridurre l'inquinamento atmosferico causato dalle navi possano realmente migliorare il loro impatto ambientale».
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