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Il nuovo Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica indica la meta, ma non come giungervi
La sintesi del documento presentato dal governo è un florilegio di buoni precetti
6 luglio 2015
Venerdì il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, ha approvato in via preliminare il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica (PSNPL), documento che verrà ora sottoposto alle competenti Commissioni parlamentari per l'espressione del previsto parere e tornerà successivamente all'esame del governo per il via libero definitivo.
L'annuncio del pronunciamento del governo è accompagnato da documenti di presentazione del PSNPL densi di un profluvio di precettistica, ma carenti di indicazioni operative e di chiarezza.
La presentazione del governo parte dalla retorica dei quasi 8.000 chilometri di linea costiera italiana, dura a morire nonostante qualunque operatore del sistema logistico-portuale nazionale sappia benissimo che le possibilità di sviluppo di un sistema portuale, qualunque sia l'estensione della costa che lo ospita, sono condizionate dalla sua posizione rispetto ai mercati che alimenta e da cui viene alimentato e soprattutto dalla consistenza e dinamicità di questi mercati.
I documenti del governo osservano inoltre che «il porto di Rotterdam genera da solo il 2,1% del PIL dei Paesi Bassi», rilievo che da tempo è sulla bocca di politici nostrani che più o meno implicitamente e superficialmente rimproverano che noi, con i nostri 8.000 chilometri, dovremmo poter fare 15-20 volte di più degli olandesi.
I documenti governativi denunciano anche la «scarsa qualità delle infrastrutture portuali: l'Italia - si evidenzia - è al 55° posto mondiale per la qualità delle infrastrutture portuali dopo Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Marocco, Croazia». Ma - per essere precisi - è anche alle spalle di Namibia, Oman, Costa d'Avorio, Giamaica, Svizzera, Lituania, Uruguay ed El Salvador, tanto per citare altre nazioni classificate prima dell'Italia nella più recente - e sempre grossolana - graduatoria mondiale stilata dal World Economic Forum a cui il governo fa riferimento ( del 5 settembre 2014).
Ma quello che più rammarica è che nella documentazione fornita dal governo manchino indicazioni, se non del tutto generiche, su ciò che è necessario fare per conseguire gli obiettivi di crescita dei benefici che il settore logistico-portuale apporta all'intera economia nazionale.
Il governo spiega di aver delineato una strategia integrata, «con azioni da compiere sia nei porti sia sulla loro accessibilità - da mare e da terra - al fine di potenziare il ruolo dell'Italia nel Mediterraneo e negli scambi internazionali». «Tra gli strumenti individuati per la definizione di un Sistema Mare efficace e per l'incremento dei traffici delle merci e della navigazione di passeggeri - precisa l'esecutivo - vi sono numerose azioni per la semplificazione amministrativa, l'efficienza dei controlli e delle procedure di sdoganamento, la promozione dell'intermodalità e dei collegamenti di ultimo miglio, l'attrazione di nuovi investimenti per la modernizzazione delle infrastrutture portuali. Si tratta - puntualizza il governo - di obiettivi da raggiungere anche mediante un maggior coordinamento nazionale e una razionalizzazione delle politiche marittime».
E ancora: «il Piano prevede, quindi, la definizione di un percorso istituzionale e normativo che consenta di corrispondere alle istituzioni comunitarie in materia di revisione della politica delle reti Trans-Europee di Trasporto, per sostenere progetti infrastrutturali di interesse comune nel settore, valorizzando il ruolo dell'Italia nella costruzione di una rete di trasporto euro-mediterranea e favorendo il recupero dei traffici commerciali tra Europa e Oriente».
Il governo specifica che «il Piano Strategico Nazionale della Logistica e della Portualità va ad attuare quanto previsto dal decreto Sblocca Italia del 2014 che prevede, per la prima volta da oltre vent'anni, una riforma complessiva dell'intero Sistema Mare: “migliorare la competitività del sistema portuale e logistico, agevolare la crescita dei traffici delle merci e delle persone e la promozione dell'intermodalità» anche attraverso «la razionalizzazione, il riassetto e l'accorpamento delle Autorità portuali esistenti”».
Il governo chiarisce che «il Piano è organizzato per dieci obiettivi e dieci azioni». Ecco l'elenco: «Semplificazione e snellimento: misure per la velocizzazione delle procedure; Competitività: concorrenza, trasparenza, migliore qualità dei servizi; Accessibilità: migliori collegamenti dei trasporti marittimi e terrestri; Integrazione logistica e imprese: integrazione del sistema logistico e delle attività manifatturiere del territorio; Infrastrutture: potenziamento delle infrastrutture dei porti e dei collegamenti terrestri; Innovazione: misure per la ricerca, la formazione, lo sviluppo e l'innovazione tecnologica; Sostenibilità: misure per l'efficienza energetica e l'ambiente; Certezza delle risorse: misure per la gestione e la programmabilità degli investimenti nei porti a lungo termine; Coordinamento nazionale: coordinamento e promozione centrale; Nuova governance: adeguare la governance al nuovo ruolo della portualità italiana».
Il governo ricorda che in tema di semplificazione burocratica e competitività, «per aumentare la competitività del Sistema Mare ed attrarre gli operatori è già iniziato il lavoro per: tempi più brevi per l'import/export e lo Sportello Unico in capo all'Agenzia delle Dogane, costi più bassi per gli operatori, procedure più semplici per velocizzare tutte le opere in particolare escavi e dragaggi, meno burocrazia per attivare gli investimenti e regolamentazione delle concessioni, realizzazione della catena logistica digitale per l'interoperabilità dei sistemi, più trasparenza, controlli di qualità rafforzati sulle merci importate».
Per quanto attiene a «investimenti infrastrutturali, accessibilità, integrazione», il documento elenca: «Ultimo miglio: ridurre strozzature e migliorare l'accessibilità lato terra (terminal/binari in porto, miglioramento connessioni stradali); Innovazione tecnologica: e-port, sistemi intelligenti come il Port Community System (PCS) e tutte le risorse per garantire la filiera digitale logistica, in ottica di sicurezza e velocizzazione; Servizi per i passeggeri: turismo intermodale, viaggiatori accompagnati door to door e sviluppo del business environment.; Intermodalità per il settore produttivo: servizi portuali efficienti serventi per tutto il tessuto produttivo circostante con rilevanza nazionale ed internazionale, Fast Corridor ferroviari, corsie preferenziali per le merci sul treno; Investimenti infrastrutturali: recupero e ammodernamento delle infrastrutture esistenti, investimenti in escavi e manutenzione straordinaria, costruzione di nuove opere di protezione, banchine, fondali, terminali passeggeri e merci, raccordi ferroviari e stradali interni, impianti di bunkeraggio; Sviluppo delle Autostrade del Mare».
Circa le risorse economiche per il settore, il documento parla di «risorse certe e misure ad hoc», precisando che «il Piano mette a sistema le risorse disponibili per la portualità e i trasporti marittimi, tra cui: circa 700 milioni destinati dall'UE alle Regioni del Mezzogiorno per infrastrutture portuali (PON e POR, fondo FESR), 85 milioni già stanziati dal governo per investimenti nei porti italiani nel 2015, più di 600 milioni l'anno stanziati dal governo per il trasporto via nave, oltre all'esistenza dei progetti finanziati già citati e guarda a finanziamenti della Banca Europea degli Investimenti legati al Piano Juncker. Per assicurare il coinvolgimento di tutti gli operatori del Sistema Mare - precisa inoltre l'esecutivo - verranno valutate iniziative di promozione importanti: un Fondo Nazionale per i Greenports, misure per l'efficienza energetica nel trasporto navale, programmi di alta formazione sui temi della blue economy, misure per l'adozione della Piattaforma Logistica Nazionale, maggiore coinvolgimento degli investimenti privati».
Poi si arriva al tema su cui da tempo si accentra e si protrae la discussione: l'accorpamento di alcune Autorità Portuali italiane. «La governance - assicura il governo - viene ripensata in modo incisivo e sinergico per guadagnare più competitività, passando: dal sistema attuale con scarso coordinamento nazionale, ad un ruolo di coordinamento con la Direzione Generale unica per Porti e Logistica del Mit; da 336 membri complessivi nei Comitati Portuali a circa 70 membri nei nuovi Comitati di gestione; da 113 procedimenti amministrativi in porto e 23 soggetti pubblici responsabili dei controlli in ogni porto a uno Sportello Unico dei Controlli in capo all'Agenzia delle Dogane, mentre numerosi altri procedimenti amministrativi ordinari saranno in capo a uno Sportello Amministrativo Unico; da 24 Autorità Portuali a Autorità di Sistemi Portuali».
In questo i documenti di sintesi forniscono qualche cenno in più circa ciò che si farà o che si dovrebbe fare. Però sono labili tracce che bisogna interpretare. Sembrerebbe proposta l'abolizione degli attuali Comitati Portuali, organi delle Autorità Portuali composti dai rappresentanti delle autorità marittime e portuali, delle istituzioni locali, degli operatori marittimo-portuali e dei sindacati, per essere sostituiti da Comitati di gestione, chissà se ancora nell'ambito delle Autorità Portuali oppure delle Autorità di Sistemi Portuali.
Ma il resto è ancora più indecifrabile. Da oltre un anno e mezzo la comunità portuale italiana discute della ventilata riduzione del numero delle Autorità Portuali. Ad oggi non è ancora dato sapere se ci sarà un riduzione del numero, se cambieranno le competenze delle Autorità Portuali e quante saranno le nuove Autorità di Sistemi Portuali.
Quello che sembra di percepire (perché ci si deve affidare alle sensazioni) è che non ci sarà alcuna drastica e forse neppure limitata riduzione del numero di Autorità Portuali. Piuttosto verranno costituiti i nuovi enti di sistema, con un ruolo di coordinamento rispetto alle attuali authority.
In risposta alle prime indiscrezioni (sensazioni) sul nuovo sistema di governance dei porti, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si è infatti affrettato a precisare che nel nuovo Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica non è definito alcun accorpamento di Autorità Portuali.
È auspicabile che la versione del nuovo Piano che sarà inviata alle Commissioni parlamentari almeno questo lo specifichi. Sono previste delle riduzioni, degli accorpamenti o solamente la creazione di nuovi enti? Così, per sapere.
C'è chi ci ha fatto preventivamente notare che sarà la prossima legge sui porti a definire queste questioni. Se è così, rassegnamoci. La partita non è ancora iniziata. Alla faccia dei provvedimenti urgenti per il rilancio della competitività del sistema economico italiano annunciati dal governo un anno fa.
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