- Inadeguate. Totalmente inadeguate. Lo sono, a giudicare dall'esito che sinora hanno avuto, le iniziative di protesta assunte dall'industria dello shipping per sollecitare le istituzioni nazionali e internazionali a favorire il cambio degli equipaggi delle navi reso estremamente difficile dalle misure assunte per contenere la pandemia di coronavirus. Ora ci riprova l'International Association of Dry Cargo Shipowners (Intercargo), l'associazione che rappresenta gli armatori mondiali che operano flotte di rinfusere, e lo fa prospettando, finalmente, azioni più decise da parte della categoria.
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- Intercargo ha ricordato che attualmente circa 300.000 marittimi sono bloccati a bordo delle loro navi e ad un numero analogo, che affronta anche difficoltà di ordine economico in quanto da tempo in attesa di riprendere il lavoro, deve essere consentito di potersi imbarcare per sostituire equipaggi che sono in mare da 12-17 mesi. Una situazione - ha evidenziato l'associazione internazionale - che rischia di compromette la sicurezza degli equipaggi, delle navi e delle merci imbarcate.
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- «Molto presto - ha sottolineato il presidente di Intercargo, Dimitris Fafalios - l'industria dovrà dire che “quanto è troppo è troppo”». Una frase che fa presupporre che l'industria armatoriale, di cui Intercargo è componente di rilievo, sia ormai pronta a passare dalle parole ai fatti
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- Intercargo ha rilevato che non è neppure possibile immaginare quale possa essere l'impatto di un'interruzione delle attività di trasporto e di sbarco e imbarco delle merci nel caso in cui le navi si fermassero e bloccassero gli scambi commerciali. Una prospettiva che assomiglia al “blocco navale”, allo sciopero dello shipping auspicato nei giorni scorsi dal nostro giornale quale risposta più efficace da parte degli armatori per salvaguardare la salute e la sicurezza dei loro lavoratori e, quindi, anche delle loro attività ( dell'8 luglio 2020).
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- Sinora gli appelli degli armatori sono caduti nel vuoto e pochi Paesi si sono attivati per permettere il cambio degli equipaggi. Biasimevole l'assenza dell'Italia, nazione che - quando fa comodo - si scopre marittima, con i suoi ottomila chilometri di coste e con un'economia del mare che diventa motore della crescita. Censurabile l'inazione di Paola De Micheli, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, per la quale evidentemente è impossibile, se non adoperarsi in prima persona, neppure incaricare qualcuno se non di risolvere, almeno di affrontare il problema.
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- L'appello di Intercargo, se non altro, fa ben sperare. L'associazione ha annunciato che «ora sono necessarie misure drastiche». «La situazione - ha denunciato Fafalios - sta raggiungendo proporzioni farsesche. Abbiamo assistito al divieto di cambi dell'equipaggio perché non è stato possibile eseguire un test Covid entro l'intervallo di 48 ore prescritto prima dell'arrivo dell'equipaggio, nonostante il viaggio verso quel porto durasse tre giorni. In alcune altre nazioni tra quelle che affermano di permettere i cambi degli equipaggi - ha osservato il presidente di Intercargo - in effetti ciò accade solo se l'equipaggio può essere sostituito con cittadini di quella nazione. E questi sono solo alcuni esempi».
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- «La situazione - ha aggiunto il vicepresidente di Intercargo, Jay K. Pillai - sta andando di male in peggio, dato che i protocolli riguardanti i lavoratori essenziali elaborati dall'IMO, l'agenzia delle Nazioni Unite, non vengono rispettati da tutti gli Stati di approdo. Circa il 35-40% di tutti i marittimi a bordo delle navi mercantili prestano servizio ben oltre la durata del loro Seafarer Employment Agreement e circa il 10% di tutti i marittimi imbarcati prestano servizio per un periodo compreso tra 12 e 17 mesi. Ciò è disumano e le nazioni dovrebbero assumersene la piena responsabilità. Alcuni governi - ha osservato Pillai - non facilitano il cambio dell'equipaggio nemmeno per i propri cittadini. Ciò include l'imposizione di tutte le possibili restrizioni al cambio di equipaggio nel loro Paese di origine, la limitazione dei voli e l'applicazione di politiche che non consentono ai marittimi di volare verso Paesi stranieri per unirsi alle navi. Si tratta - ha proseguito Pillai - di una vicenda amara e non può continuare così a meno che gli Stati di approdo che esportano e importano merci non garantiscano che le navi non partano con a bordo marittimi che prestano servizio oltre il limite della durata stabilita dalla Convenzione internazionale sul lavoro marittimo. Sempre più nazioni proibiscono il cambio dell'equipaggio, sebbene accolgano con favore le merci che le navi portano per sostenere il benessere della loro comunità».
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- L'altro vicepresidente di Intercargo ha ben inquadrato ciò che avviene ancora oggi nella gran parte delle nazioni, inclusa sciaguratamente l'Italia: «qui ormai - ha affermato Spyros Tarasis - si parla per parlare (e in Italia, a livello governativo, neppure si discute del problema, ndr). Tutti sanno dove stanno i problemi: con le compagnie aeree, con i visti e con le autorità sanitarie che non riconoscono i marittimi come lavoratori essenziali. Ma non si sta facendo nulla e molto presto la stessa industria dello shipping potrebbe essere obbligata/costretta ad interrompere il commercio di beni che sono essenziali per il benessere e per consentire il buon funzionamento delle comunità in tutto il mondo».
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- Se le parole - quelle di Intercargo, come l'associazione fa intendere - preannunciano quelle che saranno iniziative concrete, non dovrebbero trascorrere molti giorni prima di assistere al primo sciopero internazionale dello shipping della storia recente.
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- Bruno Bellio
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