Alla settima conferenza annuale degli stakeholders organizzata dalla Feport, la federazione dei terminalisti portuali privati europei, che si è tenuta il primo dicembre a Bruxelles, Boris Wenzel, come si usa dire, si è tolto i sassolini dalle scarpe. Da poco nominato co-amministratore delegato dell'impresa terminalista turca Yilport, nella sua disamina delle crisi passate e di quelle in corso che hanno avuto e stanno determinando un notevole impatto sui terminalisti portuali, Wenzel ha espresso un'aspra recriminazione per il comportamento delle compagnie di navigazione containerizzate nel periodo di crisi degli ultimi anni coincidente con il diffondersi della pandemia di Covid-19.
Periodo - ha ricordato Wenzel - in cui «l'affidabilità del trasporto marittimo era totalmente crollata a causa di queste crisi e uno non sapeva se una nave sarebbe arrivata o meno». Assai severa la denuncia della condotta tenuta nel periodo, a suo dire, dai vettori marittimi, settore con cui Wenzel si è sempre confrontato e per il quale, seppur indirettamente, ha lavorato essendo stato amministratore delegato della società terminalista Terminal Link, la joint venture tra il gruppo armatoriale francese CMA CGM e la cinese CMPort. «In alcuni casi - ha denunciato Wenzel - le tariffe di trasporto delle merci si erano moltiplicate per dieci e si era verificata anche un'enorme congestione portuale, e le compagnie di navigazione erano probabilmente l'unico settore che realizzava profitti folli mentre servivano i loro clienti nel modo peggiore, e questo era un problema. C'erano persino - ha rincarato Wenzel - soprannoli per prenotare un container, anche dopo che le tariffe erano già aumentate così tanto».
Wenzel ha specificato che in questo difficile periodo «il settore portuale, come sempre, si è adattato: il settore portuale - ha sottolineato - ha mostrato resilienza e ha garantito che le supply chain continuassero a funzionare. In alcuni casi è risultato difficile per i porti realizzare utili. Spesso i porti che non si trovavano sulle principali rotte commerciali non andavano così bene e i porti di secondo livello avevano meno traffico e meno volumi dato che tutti i container erano scomparsi». Una realtà, quest'ultima, che sembra essere stata sperimentata in prima persona da Wenzel, dato che Yilport gestisce una rete di container terminal che nella quasi totalità non sono posizionati sulle principali rotte commerciali a cui ha fatto riferimento, ad eccezione del porto maltese di Marsaxlokk operato dalla Malta Freeport Terminals di cui Yilport detiene il 50% del capitale che per la parte restante è in mano alla Terminal Link, l'azienda guidata in precedenza da Wenzel. Non lo ha certo detto, ma la stessa estrema difficoltà che Yilport ha di riportare all'interno del network dei principali servizi marittimi containerizzati mondiali il porto italiano di Taranto, di cui Yilport gestisce il container terminal da quasi tre anni, è con ogni probabilità dovuta alle trasformazioni determinatesi nei network dei servizi marittimi di linea di cui Wenzel ha parlato.
Uno strapotere delle compagnie di navigazione containerizzate che, a giudizio di Wenzel, si è generato nell'assoluto disinteresse della politica: «sembrava - ha lamentato il manager di Yilport - che per tutto questo tempo le autorità di regolamentazione abbiano dormito. Molta attenzione è stata posta nel far fronte alle grandi piattaforme tecnologiche e nessuna analoga riflessione è stata fatta sul mercato del trasporto marittimo, anche se era molto concentrato».
Potrebbe suonare un po' ipocrita la successiva osservazione di Wenzel, in qualità di ex manager di vertice di una società - Terminal Link - che era allora ed è tuttora controllata da una compagnia di navigazione containerizzata: «c'è stata - ha affermato Wenzel, quasi che prima dell'ultima fase di crisi ciò non avvenisse - anche un'espansione verticale del settore del trasporto marittimo, il che significa che ora una compagnia di navigazione si definisce un “fornitore di soluzioni logistiche”. C'è stata anche l'idea delle alleanze tra compagnie di navigazione e c'era (e c'è ancora, ndr) un regime fiscale vantaggioso per le compagnie di navigazione e ciò creava condizioni di disparità rispetto ai porti che pagavano le tasse sui profitti. Il 90-95% delle merci acquistate veniva spedito tramite container e questo era un mercato concentrato».
Al perché della latitanza della politica ha dato una sua risposta il presidente della Feport nelle sue conclusioni: «è stato discusso - ha rilevato Gunther Bonz - di una correlazione tra elevati profitti e basso servizio delle compagnie di navigazione di linea e la domanda è stata perché l'UE non ha analizzato il settore marittimo a questo proposito. Potenzialmente - è stata la spiegazione data da Bonz - perché gli interessi nazionali proteggevano alcune compagnie».