L'avvertimento appare forse un po' troppo tranchant. Secondo il presidente di Federagenti, nientepopodimeno, l'Italia dei porti e della logistica si farà ora o mai più. Il garibaldino monito «qui si fa l'Italia o si muore», ripreso - difettando della retorica dei suoi riferimenti - dal primo ministro Giorgia Meloni in ben altre condizioni storiche, piace evidentemente anche ad Alessandro Santi che ritiene l'attuale momento propizio (o magari infausto, se evidentemente non dovessero seguirsi i suggerimenti del presidente della federazione degli agenti marittimi italiani) per una svolta. Ciò - ha specificato Santi precisando quali sono le circostanze che impongono un cambio di rotta - in considerazione dei fenomeni di profonda trasformazione in atto: «in particolare con un'economia cinese che registrerà, a detta di alcuni primari analisti un rimbalzo del 10% nel confronto tra primo trimestre 2023 e 2024, catturando sotto gli artigli del Dragone due terzi del Pil mondiale, e con le scelte protezionistiche e geostrategiche americane», elementi che - ha osservato Santi - «sono destinati a impattare con violenza imprevedibile sull'economia europea e italiana e, in particolare, sulle catene logistiche».
«In un momento come questo - ha spiegato Santi - tali fenomeni, in grandissima parte non governabili, possono determinare altissimi livelli di rischio ma anche enormi opportunità. Pensiamo ad esempio ai corridoi preferenziali da e per i porti alto adriatici italiani nella relazione con l'Ucraina per materie prime essenziali (siderurgico e agroalimentare), per i quali il governo si è fatto validamente promotore: non possiamo pensare di gestire questi potenziali importanti volumi senza eliminare i colli di bottiglia riscontrati nei mesi scorsi, sia in termini di indisponibilità di aree di stoccaggio che di banchine con idonee capacità di pescaggio e efficienza operativa».
«Per anni - ha denunciato il presidente di Federagenti - ci siamo concessi il lusso di rendere l'economia, specie quella dei porti e della logistica, schiava della burocrazia. Ora il tempo a disposizione si è esaurito: il Paese in pochi mesi, se non in poche settimane, deve definire le priorità infrastrutturali strategiche, garantirne pianificazione certa, liberare dalle catene della burocrazia la manutenzione delle opere (come i dragaggi dei porti), armonizzare le procedure di troppe autorità in grado di determinare il successo o l'insuccesso di un porto e, conseguentemente, l'inaffidabilità del Sistema Paese».
«Anche noi operatori che, come Federagenti, ci mettiamo una volta di più a completa disposizione per agevolare il cambiamento, abbiamo consentito che l'attività strategica più importante (porti e logistica) - è il mea culpa di Santi - fosse terra di nessuno. Oggi - è la reprimenda del presidente di Federagenti - il Paese deve capire che se si perde sul ciglio banchina, sulla cyber security, sui fondali non dragati, sullo snellimento procedurale almeno quanto i nostri principali competitor europei, sulle opere che non partono e quando partono sono già superate, gli shock in arrivo dall'economia mondiale ci travolgeranno. E ciò proprio nel momento in cui avremmo chances di essere protagonisti positivi del cambiamento».
Verrebbe da chiudere con un “aut vincere aut mori”.