Nel settore dell'industria della costruzione navale e del
trasporto marittimo le politiche protezionistiche sono
controproducenti. Lo evidenzia un'analisi dell'istituto di ricerca
americano Cato Institute sugli effetti del Jones Act, la legge
statunitense del 1920 che impone l'impiego di navi battenti bandiera
USA e di proprietà statunitense nei viaggi che collegano
porti americani, navi che inoltre debbono imbarcare marittimi di
nazionalità americana ed essere costruite in cantieri navali
nazionali. Ad avvalorare la tesi che la legge produce effetti
negativi sull'economia e sulla sicurezza degli USA, nella sua
analisi il ricercatore Colin Grabow ha fatto riferimento ad un caso
paradigmatico: quello della portacontainer
George II della
compagnia californiana Pasha, che è stata costruita da un
cantiere navale della Louisiana non più operativo e
consegnata nel lontano dicembre del 1980. Grabow osserva che una
nave portacontenitori di 43 anni, da tempo vecchia anche per gli
standard delle navi che operano secondo la legge del 1920,
normalmente sarebbe stata riciclata molto tempo fa. «A livello
internazionale - specifica il ricercatore del Cato Institute - tali
navi vengono inviate ai demolitori a un'età media di circa 27
anni. Ma grazie al protezionismo marittimo e ai cantieri navali
cinesi che aiutano a manutenere le vecchie navi della flotta
nazionale americana, inclusa la
George II, nei prossimi anni
la nave quasi certamente continuerà ad operare. È un
risultato - sottolinea Grabow - che non ha senso né dal punto
di vista economico né da quello della sicurezza
nazionale».
«Il fatto che le navi straniere
vengano demolite più frequentemente e sostituite con nuove
navi - rileva il ricercatore - è una questione di semplice
economia: le navi diventano più costose da mantenere e da
utilizzare man mano che invecchiano. Ad un certo punto, in genere
dopo i vent'anni e a volte anche prima, una valutazione economica
induce alla vendita della nave quale rottame e all'acquisto di una
nave nuova ed efficiente. Invece le navi del Jones Act sono
sottoposte ad una valutazione assai differente. Mentre le navi
battenti bandiera internazionale possono essere acquistate da
cantieri navali d'oltremare, il Jones Act del 1920 richiede che le
navi impegnate nel commercio interno siano costruite negli Stati
Uniti. La differenza di costo è enorme. Nel 2022, ad esempio
- precisa Grabow - tre navi portacontainer da 3.600 teu sono state
ordinate ad un cantiere statunitense per 333 milioni di dollari
ciascuna. L'anno precedente, intanto, il prezzo corrente per una
nave portacontainer ancora più grande (4.250 teu) proveniente
da un cantiere straniero era di 65,5 milioni di dollari. Questi
costi rappresentano un deterrente significativo alla modernizzazione
della flotta. Come dichiarò l'allora amministratore delegato
di una compagnia di navigazione del Jones Act in un'intervista del
2005 - ricorda il ricercatore - “quale risultato [del costo
relativamente elevato di costruzione delle navi negli Stati Uniti],
le navi nei mercati del Jones Act… sono piuttosto vecchie”.
Recentemente un altro amministratore delegato del Jones Act ha
affermato che mentre le navi cisterna della flotta internazionale
vengono generalmente utilizzate per 20-25 anni, quelle della flotta
del Jones Act hanno in genere una durata di vita di 30-40 anni. Le
ultime 17 navi rimosse dalla flotta del Jones Act avevano un'età
media di 43 anni».
Riferendosi all'emblematico caso della George II, il
ricercatore del Cato Institute spiega che, invece di demolire la
nave, «Pasha Hawaii ha scelto di eseguire estesi
aggiornamenti, inclusa l'installazione di un sistema di
alimentazione a gas naturale liquefatto che garantirà la
conformità della nave alle norme internazionali sulle
emissioni. Certamente - sottolinea - ciò è costato
caro. Sebbene la cifra in dollari non sia stata resa pubblica, la
compagnia di navigazione Matson del Jones Act ha rivelato che
l'ammodernamento della sua nave portacontainer Manukai,
vecchia di vent'anni, per farla funzionare a GNL costerà alla
compagnia circa 60 milioni di dollari. A titolo comparativo, due
navi portacontainer nuove di zecca leggermente più piccole
(1.450 teu contro 2.378 teu della Manukai) con sistemi di
propulsione a GNL sono state ordinate lo scorso anno ad un cantiere
navale estero per 49 milioni di dollari ciascuna. Ciò
potrebbe far sembrare relativamente poco costoso l'aggiornamento al
GNL della Manukai, ma è meno di un terzo del prezzo di
costruzione di una nave portacontainer di dimensioni simili in un
cantiere navale statunitense».
Grabow osserva inoltre che la legge del 1920 non impedisce agli
armatori americani del Jones Act, per ammodernare le loro navi, di
rivolgersi a cantieri navali esteri: «nonostante sia Pasha
Hawaii che Matson siano membri del consiglio dell'American Maritime
Partnership, un gruppo di difesa del Jones Act che dipinge la legge
come un baluardo contro la Cina - spiega il ricercatore - entrambe
le compagnie fanno affidamento sui cantieri navali di questa nazione
per manutenere e ammodernare le loro navi. Infatti nel 2019 i
funzionari Matson si sono riuniti a Nantong, in Cina, per celebrare
la cinquantesima riparazione navale dell'azienda presso il cantiere
navale COSCO di proprietà statale. In questo momento la
Manukai si trova a Nantong per l'aggiornamento al GNL, mentre
la George II ha lasciato lo stesso cantiere dopo
l'ammodernamento all'inizio di questo mese. In altre parole, le
compagnie di navigazione del Jones Act riparano le loro navi nei
cantieri cinesi a basso costo e poi utilizzano i risparmi per
sostenere una legge che impedisca l'utilizzo dei cantieri navali di
Paesi alleati per ampliare e modernizzare la flotta nazionale degli
Stati Uniti. Tutto nel nome di fermare la Cina».
Grabow evidenzia che questa politica protezionistica risulta
fallimentare sotto molti aspetti: «in primo luogo - chiarisce
- l'uso di navi più vecchie, costose da ammodernare e
mantenere contribuisce ad aumentare i costi di trasporto marittimo
che vengono trasferiti ai consumatori. In secondo luogo, la presenza
di navi obsolete mina la già limitata utilità militare
della flotta del Jones Act. Infatti il principale programma di aiuti
volto a garantire che le navi commerciali siano a disposizione delle
forze armate vieta le navi di età superiore ai 25 anni. In
terzo luogo, l'uso di vecchie navi aumenta la domanda di servizi di
riparazione nei cantieri navali di proprietà del governo
cinese, proprio il Paese rispetto al quale i sostenitori del Jones
Act sostengono che gli Stati Uniti debbano mantenere la vigilanza».
«Come esercizio di salvaguardia della posizione di rendita
- conclude Grabow - il Jones Act funziona egregiamente. Come mezzo
per soddisfare le esigenze economiche e di sicurezza nazionale degli
Stati Uniti, tuttavia, la legge rappresenta una ferita
autoinflitta».