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Gli armatori italiani, pubblici e privati, chiedono l'intervento del governo per evitare l'esodo della flotta cabotiera italiana verso altre bandiere europee
La prossima liberalizzazione del cabotaggio - sostiene la Confitarma - metterà a rischio in Italia 45.000 posti di lavoro e 15.000 miliardi di fatturato
26 novembre 1998
Lo scenario è cupo. Il rischio è la perdita di 45.000 posti di lavoro e di 15.000 miliardi di lire di fatturato. Sono dati che emergono dall'analisi della Confederazione Italiana Armatori (Confitarma) e della Fedarlinea-Tirrenia sul futuro a cui va incontro la flotta italiana impegnata nei servizi di cabotaggio. Una valutazione confermata da uno studio sulla competitività del cabotaggio in Europa che le due associazioni - la prima in rappresentanza dell'armamento privato, la seconda di quello pubblico - hanno commissionato alla Arthur Andersen MBA e che è stato presentato oggi a Roma. Il pericolo è costituito dall'imminente liberalizzazione del settore cabotiero europeo: "così come si prospetta - ha infatti dichiarato il presidente della Confitarma, Paolo Clerici - la liberalizzazione del 1° gennaio 1999 mette a rischio un mercato che fattura 5.000 miliardi, alimenta altri 10.000 miliardi di produzione nell'indotto e dà lavoro complessivamente a 45.000 persone di cui oltre l'85% nel Sud".
"Con una quota del 20% il cabotaggio marittimo è il secondo sistema di trasporto in Italia ed è utilizzato ogni anno - ha ricordato Confitarma - per il trasporto tra porti nazionali di 38 milioni di passeggeri, 5,5 milioni di autovetture, 19 milioni di metri lineari di autoveicoli commerciali e 60 milioni di tonnellate di merci. La flotta italiana di cabotaggio è costituita da 460 navi e comprende la seconda flotta mondiale per tonnellaggio nel settore delle navi ro-ro passeggeri".
Gli armatori sono fortemente preoccupati per il vantaggio che l'Unione Europea ha concesso alla Grecia, che non sarà interessata dalla liberalizzazione fino al 1° gennaio 2004. Nei prossimi cinque anni la flotta greca potrà quindi svolgere servizi di cabotaggio in tutti i mari europei, mentre gli armatori delle altre nazioni UE non potranno entrare nel mercato greco. "Questa liberalizzazione - ha detto Clerici - è ineguale a danno degli operatori italiani. Il mercato italiano rappresenta il 54% delle merci e l'81% dei passeggeri trasportati dai servizi di cabotaggio liberalizzati nel 1999 mentre la flotta greca, quasi equivalente a quella italiana, resta protetta fino al 2004. I greci, i primi armatori al mondo e diretti concorrenti dell'Italia, potranno mantenere la riserva di bandiera per i traghetti passeggeri e merci senza condizioni di reciprocità per i nostri armatori".
Lo studio della Arthur Andersen mette però anche in luce lo squilibrio - in termini di capacità competitiva - tra l'armamento italiano e quello europeo. In Italia "i costi di equipaggio delle navi adibite ai traffici di cabotaggio sono pari ad oltre il 200% di quelli sostenuti per armare le navi sotto altre bandiere dell'UE". A questo si aggiunge un carico fiscale superiore al 41,2%, nettamente superiore a quello di altri concorrenti europei come la Grecia (5%), la Spagna (3,5%) o il Portogallo (0%).
Per affrontare ad armi pari il libero mercato - ha affermato in particolare Confitarma - "entro il 2002 gli armatori italiani che non effettuano servizi in convenzione con lo Stato saranno costretti a trasferire sotto altre bandiere europee le loro navi, se il governo italiano non predisporrà misure alternative che assicurino pari condizioni di concorrenza nei collegamenti in cabotaggio tra i porti nazionali, al fine di poter resistere alla concorrenza europea". L'ombrello sotto cui l'armamento pubblico italiano potrà ripararsi ancora per qualche tempo, sottintendono quindi gli armatori privati, sarà ancora lo Stato, a differenza di chi già adesso deve far conto solo sulle proprie forze.
Dopo aver dichiarato l'intenzione di proporre a livello europeo il rinvio della data di liberalizzazione del cabotaggio, ora l'appello è rivolto direttamente al governo italiano. Le possibilità di ottenere una dilazione dall'Unione Europea sono - per ammissione della stessa Confitarma - scarse. E' più concreta invece la possibilità di vedere accolta la richiesta di nuovi provvedimenti legislativi che permettano di portare il grado di competitività della flotta cabotiera italiana al pari di quelle europee.
Proroga o non proroga, in Italia permarrebbero infatti le condizioni penalizzanti per il cabotaggio marittimo privato. Una situazione che Paolo Clerici ha già descritto al neo ministro dei Trasporti e della Navigazione, Tiziano Treu.
Il problema cabotaggio torna quindi prepotentemente alla ribalta sulla scena nazionale, e qui il fronte unico tra armamento pubblico e privato si sfalda. L'inedita alleanza presentata oggi a Roma sembra destinata a disgregarsi non appena verrà affrontata concretamente l'operazione di privatizzazione del settore cabotiero pubblico, processo che ha mosso i primi timidi passi nei mesi scorsi.
Il piano di riordino del cabotaggio pubblico, reso operativo lo scorso settembre con un decreto ministeriale, ha comportato l'acquisizione della Tirrenia da parte del gruppo pubblico IRI. La 'nuova' Tirrenia, soprannominata 'Supertirrenia', ha inoltre assunto il controllo delle compagnie di navigazione regionali SiReMar, ToReMar, CaReMar, SaReMar e dell'Adriatica di Navigazione, anche se la posizione di quest'ultima è stata stralciata dal piano perché gestisce linee di collegamento internazionale. L'operazione ha di fatto svuotato di ogni funzione il gruppo Finmare, a cui facevano capo le compagnie di cabotaggio pubblico, e a cui è stato affidato come ultimo compito la dismissione della piccola compagnia marittima di trasporto merci Almare.
Ma la strada da percorrere è ancora lunga, ed è incerta la meta. Confitarma ha più volte ribadito la propria perplessità su una privatizzazione basata sulle parole, ma non sui fatti. Il piano di riordino della Finmare partiva dal presupposto che in caso di privatizzazione il gruppo pubblico non avrebbe trovato acquirenti, ipotesi su cui Clerici aveva tagliato corto: "non mi risulta che sia mai stato offerto sul mercato". Così come non era stata fatta chiarezza - aveva ripetuto il presidente di Confitarma - sul sistema di sovvenzioni all'armamento pubblico, come più volte richiesto dall'antitrust.
Lo scontro frontale tra gli armatori privati e il gruppo pubblico verte sulla concorrenza sleale, proprio come nel caso che vede ora gli armatori italiani, pubblici e privati, solidali nel ritenere vantaggiosa l'esclusione della Grecia dal libero mercato. Clerici da tempo ribadisce che l'armamento privato subisce un'inaccettabile concorrenza da parte del cabotaggio pubblico, che si avvantaggia delle convenzioni stipulate con lo Stato e che può ad esempio praticare politiche tariffarie con cui gli armatori privati sono costretti a competere senza disporre di analoghi benefici contributivi.
Già nel 1995, in un Libro Verde sui servizi di cabotaggio di linea, la Confitarma dichiarava "il proprio parere sfavorevole alla creazione di un Polo pubblico del cabotaggio imperniato su Finmare e Ferrovie dello Stato in quanto, non solo non si creerebbe alcuna sinergia tra i due gruppi ma si porrebbe in essere una posizione dominante della nuova società, tale da creare un sostanziale monopolio in contrasto con la normativa comunitaria e con i principi stabiliti dall'Autorità Garante". Un'ipotesi ancora accreditata, visto che è stata ancora lasciata aperta la porta per l'ingresso della flotta delle ferrovie nel nuovo gruppo pubblico.
Le recenti perplessità della Confitarma sul piano di riordino del cabotaggio pubblico riguardavano inoltre i nuovi investimenti e le progettate iniziative 'imprenditoriali' ventilate dal documento, dedicate in particolare al settore della logistica. Queste ipotesi hanno probabilmente suscitato negli armatori privati ricordi sull'esito disastroso dell'attività della Viamare, società di navigazione nata su iniziativa Finmare per i collegamenti Genova - Termini Imerese con cui si sarebbero dovute realizzare le cosiddette autostrade del mare. Già nel 1995 Confitarma accusò l'armamento pubblico di 'sviluppomania', e anche oggi teme che questo contagio non sia stato debellato.
Il piano di riordino del cabotaggio pubblico si svolge inoltre in un momento delicato della vita marittima italiana, con il cambio ai vertici del ministero dei Trasporti e della Navigazione. L'ex ministro Claudio Burlando aveva dichiarato che "Tirrenia nel 2000-2001 starà sul mercato senza aiuti" e, stando alla concretezza della sua azione, la previsione poteva avere fondamento; il successore, Tiziano Treu, non si è invece ancora pronunciato. E' d'altronde probabile che alla privatizzazione del gruppo non si arrivi in breve tempo: lo stesso amministratore delegato della Finmare, Antonio Zappi, aveva ricordato che la convenzione tra Stato e compagnie regionali del cabotaggio sussiste fino al 2008 e aveva affermato la necessità di procedere innanzitutto, nel 1999, ad un consolidamento del nuovo gruppo Supertirrenia, prima di affrontare altri passi.
La delicata vicenda della privatizzazione del cabotaggio pubblico scatenerà prima o dopo, siamo sicuri, nuove polemiche. Il 'caso Grecia' ha consigliato di rinviare la soluzione dei problemi interni. Ma il dente è ancora dolente, visto che per Confitarma il credo "noi siamo per la libera concorrenza, ma ad armi pari" vale sia sul piano internazionale che su quello italiano e che qualche settimana fa, quando chiedemmo a Clerici un parere sulla privatizzazione del cabotaggio pubblico, rispose telegraficamente: "saremo contenti se si privatizzerà. Punto".
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