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La World Maritime University denuncia la frequente alterazione dei registri delle ore di lavoro dei marittimi
Quello regolato dalle convenzioni internazionali - sottolinea una ricerca - è un sistema che, se risulta buono sulla carta, maschera invece tacite pratiche collusive che hanno un impatto negativo sulla loro efficacia
16 novembre 2020
Sembra lapalissiano, eppure quasi nessuno si chiede perché, dato che ci sono norme che impongono alle autorità degli Stati di bandiera di verificare che ogni nave rispetti le prescrizioni delle convenzioni internazionali che stabiliscono la durata del lavoro a bordo delle navi, in questi mesi non si registri un'impennata dei blocchi nei porti di quelle navi che non sono in regola con queste normative.
Eppure, in questi tempi caratterizzati dal dilagare a livello mondiale della pandemia di Covid-19 che ha determinato l'imposizione di limitazioni alla mobilità che hanno causato notevoli difficoltà ad operare i cambi degli equipaggi, molte navi violano queste norme. Dato che ogni mese sono circa 100mila i marittimi che devono spostarsi, spesso varcando confini, per raggiungere le loro navi o per lasciarle, gli effetti della crisi sanitaria - secondo le ultime stime delle principali organizzazioni internazionali dello shipping - hanno fatto sì che 400mila marittimi siano ancora a bordo delle loro navi nonostante il loro periodo di servizio sia da settimane o mesi già interamente trascorso oppure non possano iniziare il loro periodo di imbarco.
Non ci risulta che, nel mondo, alcuna nave sia stata fermata per questo specifico motivo. Autorità degli Stati di bandiera, governi e armatori sono consci del problema. Gli armatori - almeno loro! - hanno ripetutamente sollevato la questione. Le autorità degli Stati di bandiera, che dovrebbero far rispettare queste norme, se fermano le navi lo fanno per altri motivi e queste non le degnano della minima attenzione. I governi, tranne alcuni di qualche nazione marittima asiatica, non si interessano della cosa e, se sollecitati, fanno orecchie da mercante.
Chi di questi tre attori in scena è il colpevole? Secondo una ricerca condotta da ricercatori della World Maritime University, non ci sono dubbi: rei sono gli armatori, con la complicità delle autorità degli Stati di bandiera. L'ultima indagine, secondo i ricercatori della WMU, non fa altro che confermare i risultati di una loro precedente ricerca che evidenziava il diffondersi di irregolarità nel registrare lo stato di servizio dei marittimi a bordo della nave a partire dall'orario di lavoro svolto.
Secondo i ricercatori della WMU, le autorità degli Stati di bandiera sono corree in quanto non sempre adempiono alle loro responsabilità non assicurandosi che gli armatori rispondano alle proprie.
La World Maritime University, in qualità di “giudice inquirente”, riconosce tuttavia un'attenuante alle autorità degli Stati di bandiera, ruolo quest'ultimo che in Italia è assegnato al Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera. Secondo i ricercatori della WMU, infatti, il timore delle conseguenze negative determinate dal mancato superamento di ispezioni da parte delle autorità e la conseguente creazione di problemi alle compagnie di navigazione travalicherebbe l'obbligo di far rispettare le normative internazionali. Detta così questa non sembra affatto un'attenuante, quanto un'accusa di complicità nella manipolazione di documenti, alterazione che - sostengono i ricercatori - è nota a tutti gli stakeholder, ma differentemente percepita: la ricerca spiega infatti che se i marittimi o gli ex marittimi testimoniano inequivocabilmente che questi registri sono frequentemente falsificati, altri stakeholder che non hanno esperienza di navigazione non sembrano riconoscere l'entità del problema.
Nelle conclusioni la ricerca della WMU si parla di un sistema, quello regolato dalle convenzioni internazionali, che se risulta buono sulla carta, maschera invece tacite pratiche collusive che hanno un impatto negativo sulla loro efficacia. In una certa misura - precisa l'indagine - tutti gli stakeholder marittimi sono consci dell'esistenza di una “cultura dell'accomodamento”.
Tra gli attori chiamati in causa la ricerca menziona anche i marittimi, in quanto consentirebbero tacitamente che tale “prassi” di manipolazione della documentazione avvenga, temendo che altrimenti possa essere posta in dubbio la loro professionalità e ciò danneggi la valutazione del loro lavoro.
Tuttavia se l'indagine del giudice inquirente WMU dovesse condurre ad un processo, non si vede il motivo per cui, in quell'ambito, i marittimi non dovrebbero essere considerati le vittime. Altro che collusi.
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