- Di sicurezza del lavoro in porto si parla, si discute, ci si indigna - giustamente - quando accadono incidenti, talvolta purtroppo gravi e mortali. Di sicurezza del lavoro in porto non si parla affatto, incomprensibilmente, quando il danno alla salute di un lavoratore portuale non è provocato dall'urto di un muletto, dalla caduta di un container o da un altro evento materiale, tangibile ed evidente agli occhi di tutti. Non si parla di sicurezza del lavoro in porto quando questa è minata da un virus, una “cosa” incorporea, “eterea”, che però può causare gli stessi gravi danni alla salute dei lavoratori sino a giungere all'estremo esito della morte.
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- Per scongiurare il ripetersi delle sciagure tangibili i vari attori del mondo portuale - istituzioni, datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori - hanno concordato l'adozione, ognuno secondo le proprie competenze e pertinenze, di tutte le misure possibili per impedire il ripetersi di incidenti. Anche i lavoratori portuali hanno concordato sulla necessità di consentire lo svolgimento del lavoro in porto, in particolare per gli addetti a mansioni operative, solamente a coloro che siano stati sottoposti alla formazione minima obbligatoria per evitare che il lavoratore possa farsi male o fare male ad altri lavoratori svolgendo i propri compiti.
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- Sorprende che una parte degli stessi lavoratori portuali, per i quali è di tutta evidenza che delle misure debbano necessariamente e doverosamente essere adottate per prevenire possibili disgrazie, non abbiano altrettanto presente il bisogno di imporre idonee misure per contrastare un pericolo potenzialmente altrettanto letale come quello posto da un impalpabile virus.
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- Difficile comprendere quali siano le motivazioni che inducono molti a ritenere che un pericolo trasparente non sia un pericolo. Arduo capire perché, ad esempio, il Coordinamento dei Lavoratori Portuali di Trieste si schieri non solo contro l'obbligo del green pass per lavorare in porto, ma pure contro l'obbligo, per svolgere attività lavorative, di esibire tale attestato che da domani sarà esteso a tutti i luoghi di lavoro e la cui adozione era stata proposta dalla Commissione Europea per tutelare la sicurezza dei cittadini dell'UE nel corso della pandemia di Covid-19.
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- Per fare un poco di luce sulla posizione oltranzista di taluni “no green pass” può essere utile rifarsi ad una delle voci ufficiali della protesta: quella della Unione Sindacale di Base (USB). Lunedì questo sindacato ha ribadito la propria posizione in merito al green pass specificando che «l'USB ritiene che il vaccino sia, allo stato dell’arte, il più importante e utile strumento sanitario per contrastare la pandemia da Sars - CoV-2, assieme all’utilizzo delle mascherine, del distanziamento e del tracciamento». Una dichiarazione che di per sé potrebbe far ritenere che l'USB, conformemente alla posizione del sindacato rispetto a come fronteggiare i pericoli “materiali” del lavoro in porto, sia altrettanto favorevole all'introduzione di un obbligo alla vaccinazione per contrastare i pericoli “immateriali”.
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- Poi però l'USB ha menzionato il proprio «corpo a corpo con l'amministrazione per ottenere protocolli di sicurezza adeguati all'emergenza in atto, conducendo una campagna nazionale ed internazionale per la totale gratuità, riproducibilità e diffusione dei vaccini togliendo il vincolo dei brevetti che devono essere pubblici e non a garanzia del profitto delle multinazionali, ritenendo indispensabile vaccinare tutti in tutto il mondo». Su questo, noi, siamo d'accordo: è indispensabile vaccinare tutti in tutto il mondo, così come è indispensabile, per evitare nuovi drammatici incidenti nei porti di tutto il mondo, attuare tutte le misure di prevenzione e formare obbligatoriamente il personale portuale. Questo non avviene in tutto il mondo.
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- Però in Italia c'è l'obbligo di formazione per i lavoratori portuali e nessuno protesta, anzi a tutti sembra una conquista irrinunciabile per la sicurezza dei lavoratori. Nessuno sciopero, insomma, perché ai lavoratori non formati è impedito di svolgere compiti in porto e nessuna protesta perché in altre nazioni la formazione non è obbligatoria o, addirittura, non esiste. Nessuna protesta, ci sembra, perché tutti - istituzioni, datori di lavoro e lavoratori - si rendono conto che per evitare altri morti è necessario, anzi doveroso, applicare le buone pratiche laddove è già possibile farlo. A noi di inforMARE sembrerebbe giusto fare lo stesso per affrontare un'insidia immateriale ma altrettanto potenzialmente letale.
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- Bruno Bellio
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