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PORTI
Con la sentenza su SECH-PSA il Consiglio di Stato conferma che la concorrenza si attua «in un ambito di maggiore ampiezza geografica rispetto al singolo scalo portuale»
Dichiarato ammissibile il ricorso di Spinelli, che tuttavia è stato respinto nel merito
Roma
17 ottobre 2023
Con sentenza pubblicata ieri, il Consiglio di Stato ha accolto,
dichiarandolo ammissibile ma respingendolo nel merito, il ricorso
presentato dal gruppo portuale e logistico Spinelli contro la
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria che -
ricorda la sentenza del Consiglio di Stato - ha dichiarato
inammissibile il suo ricorso per l'annullamento degli atti con cui
l'Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale
aveva autorizzato il mutamento del controllo societario di Terminal
Contenitori del Porto di Genova - SECH e il riassetto azionario di
PSA Genova Prà, già Voltri Terminal Europa, società
terminaliste del porto di Genova che operano entrambe nel segmento
dei container
(
del 28
gennaio 2022). Il Consiglio di Stato ricorda che con il proprio
ricorso la società Spinelli deduceva che l'operazione
societaria avrebbe comportato la formazione di una posizione
dominante nel porto di Genova, in violazione della legge 28 gennaio
1994, n. 84 (“Riordino della legislazione in materia
portuale”) «per l'effetto dell'assegnazione ad un unico
soggetto economico dell'uso di aree destinate all'attività
terminalistica della superficie di circa mq 1.400.000, pari al 62,6%
di quella complessivamente disponibile all'interno dello stesso
scalo (mq 2.235.000)».
La sentenza pubblicata ieri ricorda inoltre che il Tar aveva
dichiarato inammissibile il ricorso «per carenza di interesse
ad agire ex art. 100 cod. proc. civ. in vista del conseguimento di
un'utilità giuridicamente rilevante. Ciò sotto il
duplice profilo pretensivo, desunto dall'impossibilità per la
ricorrente di acquisire le aree in concessione alle
controinteressate; ed oppositivo, in ragione dell'assenza di
pregiudizi sull'attività economica esercitata dalla medesima
ricorrente. Secondo la sentenza quest'ultima aveva quindi agito in
giudizio a tutela di “un interesse 'generale' alla legittimità
dell'azione amministrativa”, consistente nel mantenimento di
assetti concorrenziali tra le imprese esercenti l'attività
terminalista nel porto di Genova».
La sentenza del Consiglio di Stato rileva che «nel merito,
vengono riproposte le censure di violazione della disposizione di
legge da ultimo menzionata, che si assume applicabile anche ad
operazioni di carattere societario come quella oggetto di
contenzioso, e che in tesi, attraverso un divieto di carattere
assoluto di “doppia concessione”, avrebbe la finalità
di evitare che all'interno di ciascun porto, da considerarsi mercato
rilevante, si formino situazioni di concentrazione in grado di fare
assumere ad un soggetto imprenditoriale una posizione dominante
nello sfruttamento delle banchine e delle attrezzature deputate
all'attività di movimentazione delle merci trasportate dalle
navi in approdo. A quest'ultimo riguardo - rileva la sentenza -
sarebbe errato, per contrasto con il tenore letterale dell'art. 18,
comma 7, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, l'avviso espresso
dall'Avvocatura generale dello Stato in sede consultiva nei
confronti dell'Autorità Portuale resistente, secondo cui il
mercato rilevante non sarebbe il singolo porto ma l'area geografica
di riferimento (c.d. catchment area), nel caso specifico individuata
sulla base degli indirizzi delle autorità antitrust europea e
nazionale nei porti di Genova, La Spezia, Vado e Livorno. Peraltro -
viene aggiunto al medesimo riguardo - nessuna valutazione sui
riflessi dell'operazione societaria contestata in questo diverso
mercato rilevante è stata nondimeno svolta dall'Autorità
Portuale resistente. Così sintetizzate le censure di cui si
compone l'appello, quelle dirette a contestare la dichiarazione di
inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire
sono fondate, all'opposto di quelle di merito».
Il Consiglio di Stato osserva che la sentenza del Tar per la
Liguria «è incorsa in errore nel non avere ravvisato
l'interesse sottostante alla presente impugnazione ad opporsi
all'operazione societaria che ha riguardato imprese terminalistiche
attive nello stesso scalo portuale in cui opera la società
ricorrente. Risulta infatti evidente che nella sua qualità di
operatore economico quest'ultima è titolata ed ha interesse a
contrastare operazioni societarie che secondo la sua prospettazione
determinerebbero un effetto di restrizione della concorrenza nel
settore imprenditoriale in cui la medesima ricorrente svolge la
propria attività di impresa. La lesione contro cui questa ha
inteso reagire nella presente sede giurisdizionale è nel caso
di specie riferita all'effetto di concentrazione a favore di un
unico operatore, ancorché formalmente articolato in due
società, di una rilevante quota di aree portuali destinate
all'attività di movimentazione delle merci, e dunque di
un'infrastruttura essenziale per lo svolgimento dell'impresa. Come
quindi deduce l'appello, l'interesse ex art. 100 cod. proc. civ. a
base del ricorso è quello di carattere oppositivo che
l'operatore economico vanta rispetto ad iniziative in grado di
incidere negativamente sul mercato di riferimento, in cui lo stesso
svolge la propria attività economica; e che nello specifico
caso oggetto del presente giudizio trova riconoscimento nel più
volte richiamato art. 18, comma 7, della legge portuale, il quale
nella versione applicabile ratione temporis vietava in modo assoluto
che a un'impresa già concessionaria di un'area del porto
fosse rilasciata in concessione un'altra “area demaniale nello
stesso porto” per ivi svolgervi la stessa attività. Nel
merito, nondimeno, le censure basate sulla disposizione di legge ora
richiamate sono infondate, come sopra accennato. Dirimente è
il rilievo, di cui si fa menzione nel sopra richiamato parere
dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui in materia di concessioni
del demanio portuale il mercato rilevante non è più
limitato al singolo porto, ma all'area geografica in cui questo è
situato».
«Il mutamento di prospettiva delle valutazioni sul
rispetto di assetti competitivi nello svolgimento di attività
economiche all'interno delle infrastrutture portuali - spiega il
Consiglio di Stato - ha innanzitutto trovato riconoscimento
normativo, con la riformulazione dell'art. 18 della legge portuale
ad opera della legge per la concorrenza 5 agosto 2022, n. 118. Per
effetto del menzionato intervento normativo, “nei porti di
rilevanza economica internazionale e nazionale”, il divieto di
'doppia concessione' è soggetto ad un regime derogabilità
caso per caso, con valutazione “rimessa all'Autorità di
Sistema Portuale”, la quale deve tenere conto «dell'impatto
sulle condizioni di concorrenza”. Come sottolineato dalle
parti resistenti, il sistema incentrato sul divieto assoluto,
stabilito per legge (il comma 7 nella sua originaria formulazione),
è stato sostituito da uno imperniato sulla valutazione di
carattere amministrativo, da svolgersi in concreto. La modifica è
stata a sua volta indotta dai rilievi critici in ambito europeo nei
confronti dell'originaria formulazione del medesimo comma 7 sul
quale si fondano le censure della società ricorrente, di cui
si fa menzione nel parere dell'Avvocatura generale dello Stato».
«Nella stessa direzione - precisa ancora la sentenza del
Consiglio di Stato - le società controinteressate hanno
prodotto in giudizio un provvedimento del Garante della Concorrenza
e del Mercato (n. 27917 del 21 ottobre 2019), che in un caso analogo
ha fatto menzione della prassi prevalente presso la Commissione
Europea, in cui è invalso il concetto di “'zone di
attrazione' (cd. catchment areas)”, in cui sono collocati i
“porti intercambiabili” dal punto di vista dell'offerta
di servizi portuali, in relazione “alla collocazione
geografica degli stessi e alla vicinanza territoriale, alla presenza
di collegamenti stradali e ai connessi costi di trasporto terrestre,
alle infrastrutture presenti e al loro grado di efficienza, nonché
all'esistenza di servizi di trasbordo” (§ 19). Nella
descritta prospettiva viene quindi dato atto della definizione del
“mercato rilevante nelle operazioni portuali relative alla
movimentazione delle merci” sulla base delle caratteristiche
infrastrutturali sopra richiamate, in ragione delle quali la zona di
attrazione può comprendere porti che “nell'ambito dello
stesso tipo di traffico merci, siano distanti tra loro dai 200 e 300
km” (§§ 36 e 37). La supremazia del diritto europeo
impone quindi di attribuire rilievo non già al porto, come
per il passato, ma all'area geografica di riferimento (c.d.
catchment area), in coerenza del resto con la riorganizzazione del
sistema di governo dei porti e l'istituzione delle Autorità
di sistema portuale in luogo delle originarie autorità
preposte al singolo porto. Sotto il profilo in questione va poi
sottolineato che nel caso di specie per effetto dell'operazione
societaria avversata in questo giudizio non sono emersi profili di
restrizione della concorrenza a livello dell'area geografica di
riferimento. Contrariamente a quanto suppone la ricorrente, il
profilo è stato specificamente esaminato dall'Avvocatura
dello Stato, con valutazione condivisa dal Comitato Portuale nella
delibera sopra richiamata
(
del 23
luglio 2020, ndr), presupposta al decreto presidenziale
di autorizzazione del riassetto societario che ha riguardato le
società controinteressate».
«Non hanno pertanto pregio - specifica il Consiglio di
Stato - gli assunti della medesima ricorrente secondo cui
l'evoluzione normativa del sistema avrebbe riguardo al mercato dei
servizi marittimi, in cui ha rilievo l'area geografica, dal quale
tuttavia rimarrebbe distinto quello degli operatori economici attivi
presso le infrastrutture portuali, necessariamente collocate nel
singolo scalo. La tesi si infrange sulla modifica normativa sopra
richiamata. Questa costituisce a sua volta la presa d'atto
dell'evoluzione tecnica e commerciale economica del settore
economico in questione, con il connesso potenziamento infrastruttura
e della logistica integrata, e della conseguente ridefinizione degli
assetti concorrenziali in senso più ampio, nel quadro di un
mercato unico europeo con cui si tende ad assicurare la circolazione
dei capitali su base transazionale, la contendibilità delle
imprese del settore e dunque a favorire i connessi investimenti
finalizzati ad incrementare l'efficienza dell'offerta di servizi
portuali rivolta ai vettori marittimi e più in generale del
commercio. La vicenda controversa è paradigmatica in questo
senso, dal momento che, come emerge dagli atti e dalle concordi
deduzioni delle controinteressate, l'operazione di riassetto
societario avversata dalla società ricorrente è
dichiaratamente motivata dall'esigenza di risanare un operatore
economico in difficoltà (Società Terminal Contenitori
Porto di Genova, ex Sech), attraverso il suo inserimento in un
gruppo di ampie dimensioni in grado di rafforzarne la capacità
industriale e di finanziamento. Anche questo aspetto è stato
oggetto di esame da parte del Comitato Portuale nella più
volte richiamata delibera sulla cui base è stata rilasciata
l'autorizzazione impugnata nel presente giudizio».
«Nel descritto contesto - rileva ancora la sentenza - il
porto non rappresenta più l'orizzonte in cui le Autorità
di Sistema introdotte con la riforma del settore sono tenute a
valutare il divieto di doppia concessione, posto che la
disponibilità di superfici attrezzate allo svolgimento di
un'attività economica a servizio del commercio marittimo, che
permeava la ratio dell'originario divieto ex art. 18, comma 7, della
legge 28 gennaio 1994, n. 84, costituisce uno degli elementi che
concorrono all'offerta rivolta ai vettori ma non il solo. La
concorrenza si attua dunque in un ambito di maggiore ampiezza
geografica rispetto al singolo scalo portuale, per cui
contrariamente a quanto si sostiene nel presente appello l'offerta
di servizi portuali è assorbita in quella più ampia
dei servizi marittimi».
«La circostanza che le modifiche normative in esame siano
successive all'epoca in cui sono stati adottati i provvedimenti
impugnati - conclude la sentenza - non impedisce infine di
attribuirne in chiave retrospettiva, e dunque enucleare ragioni di
legittimità degli stessi attraverso un'interpretazione del
diritto nazionale precedentemente vigente conforme ai principi e
alle libertà fondamentali dei Trattati europei. L'appello va
dunque accolto solo nella parte con cui si contesta la dichiarazione
di inammissibilità del ricorso di primo grado, che pertanto
va riformata, nel senso che questo va respinto nel merito».
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