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21 novembre 2024 - Anno XXVIII
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Con la sentenza su SECH-PSA il Consiglio di Stato conferma che la concorrenza si attua «in un ambito di maggiore ampiezza geografica rispetto al singolo scalo portuale»
Dichiarato ammissibile il ricorso di Spinelli, che tuttavia è stato respinto nel merito
Roma
17 ottobre 2023
Con sentenza pubblicata ieri, il Consiglio di Stato ha accolto, dichiarandolo ammissibile ma respingendolo nel merito, il ricorso presentato dal gruppo portuale e logistico Spinelli contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria che - ricorda la sentenza del Consiglio di Stato - ha dichiarato inammissibile il suo ricorso per l'annullamento degli atti con cui l'Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale aveva autorizzato il mutamento del controllo societario di Terminal Contenitori del Porto di Genova - SECH e il riassetto azionario di PSA Genova Prà, già Voltri Terminal Europa, società terminaliste del porto di Genova che operano entrambe nel segmento dei container ( del 28 gennaio 2022). Il Consiglio di Stato ricorda che con il proprio ricorso la società Spinelli deduceva che l'operazione societaria avrebbe comportato la formazione di una posizione dominante nel porto di Genova, in violazione della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (“Riordino della legislazione in materia portuale”) «per l'effetto dell'assegnazione ad un unico soggetto economico dell'uso di aree destinate all'attività terminalistica della superficie di circa mq 1.400.000, pari al 62,6% di quella complessivamente disponibile all'interno dello stesso scalo (mq 2.235.000)».

La sentenza pubblicata ieri ricorda inoltre che il Tar aveva dichiarato inammissibile il ricorso «per carenza di interesse ad agire ex art. 100 cod. proc. civ. in vista del conseguimento di un'utilità giuridicamente rilevante. Ciò sotto il duplice profilo pretensivo, desunto dall'impossibilità per la ricorrente di acquisire le aree in concessione alle controinteressate; ed oppositivo, in ragione dell'assenza di pregiudizi sull'attività economica esercitata dalla medesima ricorrente. Secondo la sentenza quest'ultima aveva quindi agito in giudizio a tutela di “un interesse 'generale' alla legittimità dell'azione amministrativa”, consistente nel mantenimento di assetti concorrenziali tra le imprese esercenti l'attività terminalista nel porto di Genova».

La sentenza del Consiglio di Stato rileva che «nel merito, vengono riproposte le censure di violazione della disposizione di legge da ultimo menzionata, che si assume applicabile anche ad operazioni di carattere societario come quella oggetto di contenzioso, e che in tesi, attraverso un divieto di carattere assoluto di “doppia concessione”, avrebbe la finalità di evitare che all'interno di ciascun porto, da considerarsi mercato rilevante, si formino situazioni di concentrazione in grado di fare assumere ad un soggetto imprenditoriale una posizione dominante nello sfruttamento delle banchine e delle attrezzature deputate all'attività di movimentazione delle merci trasportate dalle navi in approdo. A quest'ultimo riguardo - rileva la sentenza - sarebbe errato, per contrasto con il tenore letterale dell'art. 18, comma 7, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, l'avviso espresso dall'Avvocatura generale dello Stato in sede consultiva nei confronti dell'Autorità Portuale resistente, secondo cui il mercato rilevante non sarebbe il singolo porto ma l'area geografica di riferimento (c.d. catchment area), nel caso specifico individuata sulla base degli indirizzi delle autorità antitrust europea e nazionale nei porti di Genova, La Spezia, Vado e Livorno. Peraltro - viene aggiunto al medesimo riguardo - nessuna valutazione sui riflessi dell'operazione societaria contestata in questo diverso mercato rilevante è stata nondimeno svolta dall'Autorità Portuale resistente. Così sintetizzate le censure di cui si compone l'appello, quelle dirette a contestare la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire sono fondate, all'opposto di quelle di merito».

Il Consiglio di Stato osserva che la sentenza del Tar per la Liguria «è incorsa in errore nel non avere ravvisato l'interesse sottostante alla presente impugnazione ad opporsi all'operazione societaria che ha riguardato imprese terminalistiche attive nello stesso scalo portuale in cui opera la società ricorrente. Risulta infatti evidente che nella sua qualità di operatore economico quest'ultima è titolata ed ha interesse a contrastare operazioni societarie che secondo la sua prospettazione determinerebbero un effetto di restrizione della concorrenza nel settore imprenditoriale in cui la medesima ricorrente svolge la propria attività di impresa. La lesione contro cui questa ha inteso reagire nella presente sede giurisdizionale è nel caso di specie riferita all'effetto di concentrazione a favore di un unico operatore, ancorché formalmente articolato in due società, di una rilevante quota di aree portuali destinate all'attività di movimentazione delle merci, e dunque di un'infrastruttura essenziale per lo svolgimento dell'impresa. Come quindi deduce l'appello, l'interesse ex art. 100 cod. proc. civ. a base del ricorso è quello di carattere oppositivo che l'operatore economico vanta rispetto ad iniziative in grado di incidere negativamente sul mercato di riferimento, in cui lo stesso svolge la propria attività economica; e che nello specifico caso oggetto del presente giudizio trova riconoscimento nel più volte richiamato art. 18, comma 7, della legge portuale, il quale nella versione applicabile ratione temporis vietava in modo assoluto che a un'impresa già concessionaria di un'area del porto fosse rilasciata in concessione un'altra “area demaniale nello stesso porto” per ivi svolgervi la stessa attività. Nel merito, nondimeno, le censure basate sulla disposizione di legge ora richiamate sono infondate, come sopra accennato. Dirimente è il rilievo, di cui si fa menzione nel sopra richiamato parere dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui in materia di concessioni del demanio portuale il mercato rilevante non è più limitato al singolo porto, ma all'area geografica in cui questo è situato».

«Il mutamento di prospettiva delle valutazioni sul rispetto di assetti competitivi nello svolgimento di attività economiche all'interno delle infrastrutture portuali - spiega il Consiglio di Stato - ha innanzitutto trovato riconoscimento normativo, con la riformulazione dell'art. 18 della legge portuale ad opera della legge per la concorrenza 5 agosto 2022, n. 118. Per effetto del menzionato intervento normativo, “nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale”, il divieto di 'doppia concessione' è soggetto ad un regime derogabilità caso per caso, con valutazione “rimessa all'Autorità di Sistema Portuale”, la quale deve tenere conto «dell'impatto sulle condizioni di concorrenza”. Come sottolineato dalle parti resistenti, il sistema incentrato sul divieto assoluto, stabilito per legge (il comma 7 nella sua originaria formulazione), è stato sostituito da uno imperniato sulla valutazione di carattere amministrativo, da svolgersi in concreto. La modifica è stata a sua volta indotta dai rilievi critici in ambito europeo nei confronti dell'originaria formulazione del medesimo comma 7 sul quale si fondano le censure della società ricorrente, di cui si fa menzione nel parere dell'Avvocatura generale dello Stato».

«Nella stessa direzione - precisa ancora la sentenza del Consiglio di Stato - le società controinteressate hanno prodotto in giudizio un provvedimento del Garante della Concorrenza e del Mercato (n. 27917 del 21 ottobre 2019), che in un caso analogo ha fatto menzione della prassi prevalente presso la Commissione Europea, in cui è invalso il concetto di “'zone di attrazione' (cd. catchment areas)”, in cui sono collocati i “porti intercambiabili” dal punto di vista dell'offerta di servizi portuali, in relazione “alla collocazione geografica degli stessi e alla vicinanza territoriale, alla presenza di collegamenti stradali e ai connessi costi di trasporto terrestre, alle infrastrutture presenti e al loro grado di efficienza, nonché all'esistenza di servizi di trasbordo” (§ 19). Nella descritta prospettiva viene quindi dato atto della definizione del “mercato rilevante nelle operazioni portuali relative alla movimentazione delle merci” sulla base delle caratteristiche infrastrutturali sopra richiamate, in ragione delle quali la zona di attrazione può comprendere porti che “nell'ambito dello stesso tipo di traffico merci, siano distanti tra loro dai 200 e 300 km” (§§ 36 e 37). La supremazia del diritto europeo impone quindi di attribuire rilievo non già al porto, come per il passato, ma all'area geografica di riferimento (c.d. catchment area), in coerenza del resto con la riorganizzazione del sistema di governo dei porti e l'istituzione delle Autorità di sistema portuale in luogo delle originarie autorità preposte al singolo porto. Sotto il profilo in questione va poi sottolineato che nel caso di specie per effetto dell'operazione societaria avversata in questo giudizio non sono emersi profili di restrizione della concorrenza a livello dell'area geografica di riferimento. Contrariamente a quanto suppone la ricorrente, il profilo è stato specificamente esaminato dall'Avvocatura dello Stato, con valutazione condivisa dal Comitato Portuale nella delibera sopra richiamata ( del 23 luglio 2020, ndr), presupposta al decreto presidenziale di autorizzazione del riassetto societario che ha riguardato le società controinteressate».

«Non hanno pertanto pregio - specifica il Consiglio di Stato - gli assunti della medesima ricorrente secondo cui l'evoluzione normativa del sistema avrebbe riguardo al mercato dei servizi marittimi, in cui ha rilievo l'area geografica, dal quale tuttavia rimarrebbe distinto quello degli operatori economici attivi presso le infrastrutture portuali, necessariamente collocate nel singolo scalo. La tesi si infrange sulla modifica normativa sopra richiamata. Questa costituisce a sua volta la presa d'atto dell'evoluzione tecnica e commerciale economica del settore economico in questione, con il connesso potenziamento infrastruttura e della logistica integrata, e della conseguente ridefinizione degli assetti concorrenziali in senso più ampio, nel quadro di un mercato unico europeo con cui si tende ad assicurare la circolazione dei capitali su base transazionale, la contendibilità delle imprese del settore e dunque a favorire i connessi investimenti finalizzati ad incrementare l'efficienza dell'offerta di servizi portuali rivolta ai vettori marittimi e più in generale del commercio. La vicenda controversa è paradigmatica in questo senso, dal momento che, come emerge dagli atti e dalle concordi deduzioni delle controinteressate, l'operazione di riassetto societario avversata dalla società ricorrente è dichiaratamente motivata dall'esigenza di risanare un operatore economico in difficoltà (Società Terminal Contenitori Porto di Genova, ex Sech), attraverso il suo inserimento in un gruppo di ampie dimensioni in grado di rafforzarne la capacità industriale e di finanziamento. Anche questo aspetto è stato oggetto di esame da parte del Comitato Portuale nella più volte richiamata delibera sulla cui base è stata rilasciata l'autorizzazione impugnata nel presente giudizio».

«Nel descritto contesto - rileva ancora la sentenza - il porto non rappresenta più l'orizzonte in cui le Autorità di Sistema introdotte con la riforma del settore sono tenute a valutare il divieto di doppia concessione, posto che la disponibilità di superfici attrezzate allo svolgimento di un'attività economica a servizio del commercio marittimo, che permeava la ratio dell'originario divieto ex art. 18, comma 7, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, costituisce uno degli elementi che concorrono all'offerta rivolta ai vettori ma non il solo. La concorrenza si attua dunque in un ambito di maggiore ampiezza geografica rispetto al singolo scalo portuale, per cui contrariamente a quanto si sostiene nel presente appello l'offerta di servizi portuali è assorbita in quella più ampia dei servizi marittimi».

«La circostanza che le modifiche normative in esame siano successive all'epoca in cui sono stati adottati i provvedimenti impugnati - conclude la sentenza - non impedisce infine di attribuirne in chiave retrospettiva, e dunque enucleare ragioni di legittimità degli stessi attraverso un'interpretazione del diritto nazionale precedentemente vigente conforme ai principi e alle libertà fondamentali dei Trattati europei. L'appello va dunque accolto solo nella parte con cui si contesta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado, che pertanto va riformata, nel senso che questo va respinto nel merito».
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