 L'odierno populismo di destra, dilagante in diverse nazioni,
celebra molte delle proprie azioni come di portata storica. A
centinaia dei provvedimenti firmati da Donald Trump, da quando a
gennaio è tornato alla Casa Bianca, il presidente
statunitense ha attribuito questa connotazione. Così anche al
decreto esecutivo siglato nelle scorse ore che sarebbe memorando in
quanto in grado di «ripristinare il dominio marittimo
americano». Il provvedimento prevede la creazione di un
Maritime Action Plan (MAP) con l'obiettivo di rivitalizzare
l'industria marittima nazionale, conferendole resilienza, rimuovendo
un ostacolo che l'amministrazione governativa ritiene abbia sinora
penalizzato il settore e che è individuato in procedure di
appalto pubblico ed eccessiva regolamentazione che avrebbero frenato
la capacità dell'industria privata di costruire navi nei
tempi e con il budget previsto.
Il decreto prevede iniziative sia relativamente alla produzione
navale militare che a quella commerciale, incaricando il segretario
della Difesa, Pete Hegseth, di valutare le opzioni per investire ed
ampliare la base industriale marittima, tra cui l'autorità
conferita al presidente dal Titolo III del Defense Production Act
del 1950 di intervenire per incidere sull'industria nazionale
nell'interesse della difesa nazionale, e incaricando il
rappresentante per il Commercio degli USA (USTR), Jamieson Greer, di
formulare raccomandazioni in merito alle azioni da intraprendere
contro la concorrenza della Cina nel settore della cantieristica
navale.
Inoltre, il provvedimento incarica il segretario della Sicurezza
interna, Kristi Noem, di far rispettare la riscossione delle tasse
portuali e di altre tariffe sulle merci estere che entrano negli USA
al fine di prevenirne l'elusione tramite il passaggio delle merci
attraverso il Canada o il Messico, al fine di impedire ai vettori
marittimi di eludere la tassa di manutenzione portuale HMF sulle
merci importate attraverso la pratica di fare scalo in Canada o in
Messico e di inviare le merci negli Stati Uniti attraverso le
frontiere terrestri.
Tra gli altri obiettivi del piano MAP c'è anche lo
sviluppo di una strategia per garantire la sicurezza e la leadership
americana sulle vie marittime artiche per far fronte a quella che si
ritiene essere una crescente presenza di navi straniere nella
regione.
Motivando le finalità del provvedimento, nel decreto si
osserva che «la capacità di costruzione navale
commerciale e la forza lavoro marittima degli Stati Uniti sono state
indebolite da decenni di negligenza da parte del governo, conducendo
al declino di una base industriale un tempo solida, rafforzando al
contempo i nostri avversari ed erodendo la sicurezza nazionale degli
Stati Uniti. Sia i nostri alleati che i nostri concorrenti
strategici - rileva il documento - producono navi ad una frazione
del costo richiesto negli Stati Uniti. Dati recenti mostrano che gli
Stati Uniti costruiscono meno dell'1% delle navi commerciali a
livello globale, mentre la Repubblica Popolare Cinese ne produce
circa la metà. Per risolvere questi problemi è
necessario un approccio globale che includa la garanzia di
finanziamenti federali costanti, prevedibili e duraturi, la
competitività commerciale delle navi battenti bandiera
statunitense e costruite negli Stati Uniti nel commercio
internazionale, la ricostruzione delle capacità
manifatturiere marittime americane (la base industriale marittima) e
l'espansione e il rafforzamento del reclutamento, della formazione e
del mantenimento della forza lavoro necessaria».
Se le azioni annunciate recentemente annunciate da Trump per
rivitalizzare l'industria marittima nazionale, formalizzate in
questo decreto, avranno successo, non un effetto positivo, ma
piuttosto assai negativo, lo avranno, almeno nel breve termine, i
dazi doganali introdotti dal governo americano rispetto alla
totalità dei partner commerciali degli Stati Uniti. Lo
evidenzia l'ultimo rapporto “Global Port Tracker”, che è
realizzato dall'americana National Retail Federation (NRF) e da
Hackett Associates e che analizza e formula previsioni sullo
sviluppo dei traffici portuali containerizzati statunitensi. Il
rapporto spiega che è atteso un drastico calo, già a
partire dal prossimo mese, delle merci in importazione nei
principali porti container americani a seguito dell'imposizione dei
dazi. In particolare, il traffico containerizzato che si stima i
porti americani abbiano movimentato lo scorso mese è pari a
2,14 milioni di teu, in crescita del +11,1% rispetto a marzo 2024.
Per il corrente mese di aprile, che include le merci spedite prima
dell'annuncio dei nuovi dazi, è previsto un traffico pari a
2,08 milioni di teu, in aumento del +3,1% su base annua. Tuttavia si
prevede che il prossimo maggio abbia termine il periodo di 19 mesi
consecutivi di crescita tendenziale essendo atteso nel mese un
traffico di soli 1,66 milioni di teu, il -20,5% in meno rispetto a
maggio 2024. Il prossimo giugno è previsto un traffico di
1,57 milioni di TEU (-26,6%), il volume più basso da febbraio
2023, e il prossimo luglio è atteso un traffico di 1,69
milioni di teu, in calo del -27% su base annua, e ad agosto di 1,7
milioni di teu (-26,8%). “Global Port Tracker” precisa
che, prima dell'annuncio dell'ultima tornata di dazi, per aprile
2025 era previsto un traffico di 2,13 milioni di teu, in aumento del
+5,7% rispetto ad aprile 2024, per maggio di 2,14 milioni di teu
(+2,8%), per giugno di 2,07 milioni di teu (-3,2%) e per il prossimo
luglio un traffico di 1,99 milioni di teu, in diminuzione del -13,9%
sul luglio 2024. Le attuali previsioni indicano, quindi, un traffico
per il primo semestre del 2025 pari a 11,73 milioni di teu, in calo
del -2,9% sui primi sei mesi del 2024, anziché pari ai 12,78
milioni di teu previsti prima dell'annuncio dei dazi, in aumento del
+5,7% su base annua.
«I rivenditori - ha spiegato Jonathan Gold, vice
presidente Supply Chain and Customs Policy della NRF - hanno per
mesi introdotto merci nel Paese nel tentativo di mitigare l'effetto
dell'aumento dei dazi, ma questa opportunità è giunta
al termine con l'imposizione dei dazi “reciproci”. I
dazi - ha rilevato - sono tasse sugli importatori statunitensi,
pagate in ultima analisi dai consumatori. Stanno creando ansia e
incertezza sia per le imprese che per le famiglie americane data la
velocità con cui vengono applicate e si accumulano l'una
sull'altra. A questo punto, ci si aspetta che i rivenditori facciano
un passo indietro e facciano affidamento sulle scorte accumulate,
almeno per il tempo necessario a vedere cosa succederà
prossimamente».
Ben Hackett, fondatore di Hackett Associates, ha reso noto che
la previsione è di un calo di almeno il -20% anno su anno
delle importazioni nella seconda metà del 2025, il che - ha
precisato - potrebbe portare nell'intero 2025 il volume totale delle
merci a registrare una flessione di almeno il -15%, a meno che lo
scenario non cambi. «In questo contesto di totale incertezza -
ha affermato Hackett- le nostre previsioni relative alle
importazioni saranno soggette a significativi aggiustamenti nei
prossimi mesi. Al momento, prevediamo che le importazioni
inizieranno a diminuire entro maggio e che subiranno un drastico
calo nella parte rimanente dell'anno».
Se l'analisi previsionale di NRF e Hackett Associates si limita
a stimare l'impatto negativo delle nuove politiche tariffarie
americane sui porti nazionali, l'effetto sulle economie mondiali
sarà altrettanto assai rilevante. Lo ha sottolineato Ngozi
Okonjo-Iweala, direttore generale della World Trade Organization
(WTO), osservando che «l'escalation delle tensioni commerciali
tra Stati Uniti e Cina rappresenta un rischio significativo di una
brusca contrazione del commercio bilaterale. Le nostre proiezioni
preliminari - ha spiegato - suggeriscono che lo scambio di merci tra
queste due economie potrebbe diminuire fino all'80%. Questo
approccio basato sull'“occhio per occhio” tra le due
maggiori economie mondiali, il cui commercio bilaterale rappresenta
circa il 3% del commercio globale - ha sottolineato Okonjo-Iweala -
comporta implicazioni più ampie che potrebbero danneggiare
gravemente le prospettive economiche globali. Le nostre valutazioni,
basate sugli ultimi sviluppi, evidenziano rischi sostanziali
associati ad un'ulteriore escalation. Gli effetti macroeconomici
negativi - ha specificato il direttore generale dell'Organizzazione
Mondiale del Commercio - non saranno limitati a Stati Uniti e Cina,
ma si estenderanno ad altre economie, in particolare alle nazioni
meno sviluppate. Di particolare preoccupazione è la
potenziale frammentazione del commercio globale lungo linee
geopolitiche. Una divisione dell'economia globale in due blocchi
potrebbe portare ad una riduzione a lungo termine del prodotto
interno lordo reale globale di quasi il 7%. Inoltre, la diversione
degli scambi commerciali rimane una minaccia immediata e pressante,
che richiede una risposta globale coordinata. Esortiamo tutti i
membri della WTO ad affrontare questa sfida attraverso la
cooperazione e il dialogo. È essenziale - ha concluso
Okonjo-Iweala - che la comunità globale collabori per
preservare l'apertura del sistema commerciale internazionale. I
membri della WTO hanno il potere di proteggere un sistema
commerciale aperto e basato su regole. La WTO funge da piattaforma
vitale per il dialogo. Risolvere queste questioni all'interno di un
quadro cooperativo è fondamentale».
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