|
CENTRO ITALIANO STUDI CONTAINERS | ANNO XIX - Numero 5/2001 - MAGGIO 2001 |
Logistica
Basatevi su traffici sostanziosi
Aggiungere un'area di libero scambio ad uno scalo containers non
attrae automaticamente nuovi attori disposti a trafficare, né
genera implicitamente nuove entrate. Bisogna metter in gioco altri
elementi per innescare un processo di sviluppo di successo.
Per riuscire ad attrarre sempre più commercio nel suo hinterland,
il porto di Tacoma, in USA, ha triplicato le dimensione della
sua area di libero scambio all'inizio di quest'anno. Un certo
numero di terminals hanno imitato il porto e hanno creato o, se
queste esistevano già, ampliato zone di libero scambio,
ritenendo questa una mossa giusta per richiamare più industrie
nelle proprie infrastrutture portuali.
Dal punto di vista del settore pubblico, le ragioni che sottolineano
la necessità, per lo sviluppo di un porto, di un aumento
del numero di industrie e/o di un incremento del livello dell'attività
commerciale, sono sostanzialmente due:
- Parte del lavoro di un governo consiste nel generale attività
economica addizionale per il Paese in cui il governo stesso opera,
ed è opinione comune che aggiungere una zona di libero
scambio per accrescere lo sviluppo di un certo porto è
un mezzo tanto naturale quanto relativamente semplice per raggiungere
l'obiettivo in questione. Dopo tutto, se si sta progettando un
terminal con infrastrutture dell'ultima generazione, sicuramente
non ne conseguirà che le aree ad esso adiacenti destinate
al libero scambio saranno poi riempite di industrie, attori economici
e, in ultima analisi, flussi commerciali conseguenti?
- Attualmente gli sviluppi privati del settore portuale sono
la norma, sebbene il processo usualmente coinvolga qualche determinata
forma di investimento del settore pubblico, anche sotto la forma
di regolamentazione della concorrenza. Il settore pubblico spesso
ritiene che l'addizionale zona di libero scambio potrebbe agire
da forte attrattiva per dei potenziali investitori portuali, che
potrebbero essere interessati dai volumi di traffico superiori
generati da tale processo complementare di sviluppo. Comunque,
queste sono motivazioni alquanto semplicistiche e, come tali,
sono chiaramente aperte al dibattito.
Prima di metterle in discussione totalmente, però, vale
la pena di definire il concetto di zona di libero scambio. È
pacifico ormai che esistono ben oltre 20 diversi termini correntemente
utilizzati per definire una zona di libero scambio e tutti i concetti
ad essa correlati, inclusi quelli di zone di export, zone economiche
speciali e zone libere da tasse doganali.
Dopo tutte queste premesse, è inevitabile che ci siano
un po' di incertezza e qualche idea confusa. Per semplicità,
in questo articolo si vuole definire zona di libero scambio una
certa area ben definita in cui i beni e le merci possono essere
stoccati, trattati o manufatti senza essere soggetti a dazi sull'import
o ad altre tasse.
Vale la pena notare che non tutte le aree di libero scambio sono
costruite prevalentemente per la produzione in senso stretto delle
merci o dei beni. Molte sono pensate solamente per lo stoccaggio
e la distribuzione, e ciò enfatizza il problema e l'importanza
della localizzazione e di avere delle efficienti connessioni di
trasporto, e spiega perché la maggioranza di queste deve
essere ancora trovata dentro o vicino a porti ed aeroporti.
Sembra che lo sviluppo di aree di libero scambio non abbia confini
geografici precisi. Comunque, mentre esse appaiono ormai ovunque,
alcune inevitabilmente hanno ottenuto migliori risultati delle
altre. Ma allora quali sono gli elementi di successo di una zona
di libero scambio?
Si può elencare tutta una serie di fattori che possono
avere una maggiore o minore influenza sulle performances di una
zona di libero scambio. Essi sono:
- un ambiente liberale;
- collegamenti globali funzionanti, tra la zona identificata
e i porti e gli aeroporti;
- eccellenti infrastrutture;
- localizzazione strategica, nazionale, regionale e globale;
- accesso a risorse umane di elevata qualità ad un alto
livello di competitività.
Esempi di zone di libero scambio di successo mostrano tutti la
rilevanza più o meno evidente di tutti questi fattori.
Quando una gran parte di persone al di fuori della comunità
marittima pensa a Jebel Ali negli Emirati Arabi Uniti, di solito
la equipara a una zona di libero scambio piuttosto che a un'insieme
di infrastrutture portuali adibite alla movimentazione dei containers.
Sono offerte eccellenti concessioni, e non c'è da 15 anni
nessuna tassa, il 100% dei profitti è rimpatriato, e non
sono imposte restrizioni di tipo monetario. Una persona deve solo
guardare al numero e al tipo di organizzazioni che operano in
questa zona di libero scambio - tra di esse Sony, Colgate, Palmolive,
IBM e Nokia - per accorgersi che ha raggiunto un livello consistente
di successo.
Comunque simili concessioni sono offerte anche in altre parti
del mondo senza che si sia registrato lo stesso livello di successo.
Ma allora cos'è che rende Jebel Ali così speciale?
Forse il fatto che tutte le maggiori compagnie di navigazione
del mondo fanno scalo al terminal container di Dubai.
L'Autorità della zona di libero scambio di Jebel Ali (JAFZ)
lavora a stretto contatto con l'Autorità Portuale di Dubai.
L'importanza delle connessioni di trasporto di Dubai non può
d'altro canto essere trascurata, e del resto nemmeno può
tralasciarsi il fatto che i più importanti fornitori di
servizi di logistica della regione sono presenti in zona. La JAFZ
è divenuto il maggiore centro regionale per lo stoccaggio
e la distribuzione, e serve non soltanto il Medio Oriente, ma
anche i mercati ad alto potenziale del sub-continente Indiano,
l'Africa Orientale e gli Stati dell'ex-Unione Sovietica.
Un'altra famosa area di libero scambio è Freeport nell'Isola
Grand Bahama. Essa fu costituita a metà degli anni Cinquanta
dal Governo e da allora è gestita dall'Autorità
Portuale di Grand Bahama (GBPA).
In qualità di principale operatore, la GBPA fornisce e
sviluppa tutta una serie di servizi disponibili a Freeport. Con
una popolazione di circa 300 mila abitanti, il maggior punto vendita
delle Bahamas in termini di commercio internazionale è
proprio il porto in questione - che tra l'altro è la porta
naturale per le Americhe. In un contesto siffatto, Grand Bahama
è uno dei porti costieri più vicini agli Stati Uniti
d'America ed inoltre è in una collocazione ideale rispetto
ai flussi di traffico che attraversano il Canale di Panama.
Questa posizione strategica e l'ambiente economico generale hanno
incoraggiato i porti di Hutchison allo sviluppo di un porto di
transhipment per containers che viaggiano in alto mare nel centro
esatto della zona di libero scambio. Le prime navi containers
hanno iniziato a fare scalo nel porto all'inizio del 1997. l'eventuale
capacità di movimentazione sarà di approssimativamente
1 milione di Teus all'anno.
Questi sono solo due esempi delle success stories delle zone di
libero scambio. Vene sono degli altri.
Un numero ancora maggiore di porti in altre parti del mondo sta
cercando di replicare il successo ottenuto dai terminals appena
descritti. A titolo di esempio, si può indicare il terminal
portuale, con vocazione di hub di transhipment per le caratteristiche
economiche intrinseche delle aree in cui esso è collocato,
di Salalah nell'Oman del Sud.
È stato costruito questo terminal proprio in quella zona
in virtù della prossimità con la maggiore rotta
di navigazione est-ovest, ma anche per riuscire a soddisfare l'obiettivo
del Paese di trasmettere e diffondere il più possibile
lo sviluppo e le attività economiche in tutto il territorio
in modo più omogeneo, anziché concentrarle tutte
a Muscat. Come parte integrante di questa politica, che include
la diversificazione economica, una zona di libero scambio rientra
nei piani di sviluppo portuale.
La Cina ha anche la sua parte di aree di libero scambio. Per fare
un esempio, ce n'è una a Tianjin, costituita nel 1991 e
collocata nelle vicinanze del maggior porto della Nazione. Sviluppatasi
come parte integrante del programma di sviluppo economici della
regione, l'area ha attratto le attività di investitori
sia stranieri che domestici. Nel 1999, si è stimato che
la zona di libero scambio ha registrato 4,6 milioni di dollari
di transazioni, ovvero circa 200 mila Teus di output.
Forse questa tendenza a sviluppare aree di libero scambio collegate
a porti per traffico containers e legarne i rispettivi piani di
sviluppo emerge più chiaramente dai piani ambiziosi degli
ultimi anni - soprattutto quelli del Porto di Tanjung Pelpas (PTP)
in Malesia.
Questo tipo di sviluppo ha colto perfettamente le linee guida
di successo, per tutta una serie di motivi, compresi il contemperamento
di variabili geografiche (come la vicinanza a Singapore) e socioeconomiche.
Il porto è stato progettato per essere uno scalo di transhipment
regionale, e le infrastrutture di distribuzione e di logistica
sono viste come parte integrante del piano di sviluppo. Pertanto,
era quasi naturale che scaturisse un distripark con al suo interno
un'area di libero scambio assai vasta.
Nessuno degli esempi succitati si trova nei Paesi ad economia
più sviluppata dell'Occidente, e ciò suggerisce
che detti Stati stanno per così dire lasciandosi sfuggire
tutti i benefici delle aree di libero scambio. Ma non è
assolutamente vero. Il sistema di commercio estero degli Stati
Uniti, ad esempio, è molto ben funzionante, e, in Europa,
le aree intorno a Trieste e Amburgo stanno lavorando bene.
Nel passato, zone di libero scambio non erano tanto considerate
molto, anzi si riteneva fossero poco di più di stazioni
di sosta a vocazione internazionale. Comunque, il mondo è
cambiato, principalmente a causa del veloce processo di globalizzazione.
Come risultato, il commercio mondiale è diventato sempre
più complesso. Con tutti questi cambiamenti, sistemi efficienti
di logistica sono diventati sempre più apprezzati, e le
aree di libero scambio sono divenute un elemento completamente
integrato del network mondiale di produzione e distribuzione.
Così, in un prossimo futuro, concessioni fiscali e lavoro
ad alto valore aggiunto, sebbene molto importanti, non garantiranno
più il successo, da soli, delle aree di libero scambio.
Nonostante le aree di libero scambio si trovino per lo più
in Paesi a basso livello di sviluppo, esse offrono lo stesso servizi
di distribuzione e produzione di merci e beni moderni ed efficienti,
alcuni dei quali non sono stati qui menzionati, e l'attenzione
crescente sulla logistica implica che le economie più sviluppate
sono in una buona condizione e in una posizione ottimale per offrire
le migliori supply chains richieste dal mercato.
Sempre di più le compagnie di navigazione stanno investendo
nelle industrie portuali seguendo delle proprie strategie per
essere sempre di più una parte integrante della supply
chain e della catena logistica (sua parte fondamentale). Stanno
guardando se vi è possibilità di mettere del valore
aggiunto in più nei servizi di base che esse offrono, così
da differenziare il loro prodotto e raggiungere maggiori livelli
di profittabilità. L'esistenza di una zona di libero scambio
può solo essere di aiuto a una tale strategia.
La regola d'oro per un qualunque sviluppo portuale resta comunque
che le infrastrutture siano fornite solamente dove c'è
domanda. Le infrastrutture non dovrebbero essere costruite dove
si spera ci sarà traffico. Il punto di vista più
cinico dice che aggiungere un'area di libero scambio in un piano
di sviluppo portuale è un debole tentativo per cercare
di generare del traffico addizionale e per giustificare degli
investimenti marginali. Alternativamente, un atteggiamento meno
cauto è quello di contestare che le aree di libero scambio
si alimentino dello sviluppo del porto stesso.
Mettiamoci per un attimo nei panni di un investitore privato che
debba decidere dove investitore e tra le scelte c'è un
porto con un'area di libero scambio. Dal punto di vista di un
operatore portuale detta area è vista come un bonus al
traffico esistente piuttosto che la maggiore ragione per investire.
Invece l'investitore privato, specie se è una compagnia
di navigazione, può vedere l'esistenza dell'area di libero
scambio come un elemento di attrattiva e di profittabilità,
nonché un elemento di forza da integrare nelle proprie
politiche di sviluppo degli affari orientato alla logistica.
(da: Container Management, Aprile 2001)
|