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CENTRO ITALIANO STUDI CONTAINERS | ANNO XIX - Numero 7-8/2001 - LUGLIO/AGOSTO 2001 |
Progresso e tecnologia
Allora, qual è questa volta la scusa?
L'automazione ha dimostrato di non essere né troppo
complessa dal punto di vista tecnico, né troppo costosa,
a differenza di quello che i suoi principali detrattori sostenevano.
Ora il mondo dell'industria dovrebbe smettere di perdere altro
tempo con inutili scuse per non tenere in considerazione l'automazione
e iniziare a fronteggiare la realtà della situazione.
Uno studio del mese scorso sull'effettiva implementazione dell'automazione
nel mondo dei terminal containers ha messo in luce solo tre nomi,
tra tutti, per indicare coloro che avevano deciso di passare definitivamente
all'automazione. Naturalmente viene da chiedersi perché
la maggior parete dei terminals non ha ancora fatto la scelta
dell'automazione. In altri settori inerenti la portualità,
come stoccaggio e sistemi di distribuzione, il passo in avanti
è già stato fatto, tanto che l'automazione è
diventata il core del loro business. Carichi sempre più
pesanti sono trasportati con mezzi automatici in ambienti sempre
meno ideali, come nel settore dell'industria dell'acciaio. Allora
perché non muoversi?
I preconcetti principali nell'industria sono che l'automazione
portuale è molto dirompente, troppo costosa e tecnicamente
esageratamente complessa. Non c'è alcun dubbio sul fatto
che la tecnologia possa essere di una complessità talvolta
insormontabile, ma l'esempio del porto sul Tamigi, Londra, dovrebbe
essere una prova sufficiente del fatto che spesso le complessità
si possono superare attraverso l'impiego di un nuovo modo di pensare
più pragmatico e aggressivo.
È facile adagiarsi sulla convinzione, peraltro errata,
che i cambiamenti verso l'automazione siano troppo costosi e richiedano
sforzi immani. Alcuni terminals hanno espresso delle preoccupazioni
sul fatto che le performances superiori ottenute senza automazione
non saranno mantenute senza un equipaggiamento adeguato e aggiornato.
La tecnofobia domina ancora prepotentemente e, se combinata alla
filosofia della "paura di sbagliare", c'è poco
da sorprendersi che staffs competenti tecnicamente siano spesso
scoraggiati dal promuovere e installare sistemi automatizzati.
Innegabilmente, i costi iniziali in termini di capitali dell'automazione,
in particolare per quanto concerne i veicoli automatizzati, sono
maggiori dei costi dell'attrezzatura tradizionale e saranno sormontati
solamente dai minori costi di personale che si otterranno successivamente.
Bisogna poi considerare anche i costi di manutenzione e i cicli
di vita dei macchinari, che sono sempre più brevi, ma che
dovrebbero risultare dal canto loro inferiori ai costi del personale.
Quest'ultimo è senza dubbio il motivo che dovrebbe portare
la dirigenza a scegliere l'automazione. E si otterrebbero gli
stessi vantaggi e spin offs della rivoluzione tecnologica nella
logistica che ha portato all'utilizzo dei containers.
Una delle ragioni principali a sostegno dello scetticismo dei
terminal operators in merito all'automazione può essere
la strutturazione diversa da porto a porto e da paese a paese
di suddivisione delle competenze. In molti casi, l'operatore portuale
è solo un franchisee a breve termine, e potrebbe anche
doversi trovare a operare su equipaggiamenti di terzi. Pertanto
si pongono dei problemi di sicurezza.
Ad eccezione del caso nel quale un terminal sia di proprietà,
ovvero concesso in licenza a lungo termine, di un certo consorzio
o di una data compagnia di navigazione, il throughput dell'operatore
portuale potrebbe rivelarsi molto incerto allorché due
o più terminals siano in concorrenza nella stessa area
di affari. Questo può costituire un disincentivo per qualunque
tipo di iniziativa radicale quale l'automazione, e può
gettare incertezza ed eventualmente allontanare i clienti più
prudenti in mercati conservativi. Allo stesso modo, dove un terminal
sembra avere un monopolio de facto, ci devono essere anche incentivi
minori a innovare e questa riluttanza può riflettersi per
gli stessi motivi sui terminals dedicati, dove il business dovrebbe
essere quantomeno certo e regolare.
Con tutta la buona volontà del mondo, ci saranno sempre
alcuni terminals per i quali l'automazione resterà sempre
un argomento negativo almeno nel breve, e altri in cui invece
si registra l'atteggiamento opposto. Capacità complessiva
e throughput totale diverranno sempre meno fattori decisionali
man mano che i sistemi sono implementati in tutto il mondo, ma
il mercato del lavoro locale, ad esempio, potrebbe essere tale
da non generare sufficienti risparmi in termini di mano d'opera.
L'attrezzatura che può sembrare giusta in una determinata
situazione per ragioni che includono disponibilità e flessibilità,
potrebbe non essere utile o efficace senza dei manovratori, come
i front-end loaders, specialmente nelle aree in cui è impossibile
impedire l'accesso al pubblico. Le soluzioni tecniche e di software
sono già in fase di studio, ma sostanzialmente ci potrebbero
essere dubbi nelle economie a sviluppo minore che hanno scarsi
livelli di alfabetizzazione tecnologica e operano con successo
da già parecchi anni con macchinari di tipo tradizionale.
Il core dell'automazione è il sistema centrale computerizzato.
La complessità ed il costo del sistema di controllo che
deve essere sviluppato ex novo per amministrare e gestire un ambiente
operativo in cui non c'è un manovratore, in particolare
nell'epoca odierna pionieristica, fanno pensare che siano necessari
elevati volumi di traffico per poter conseguire delle economie
di scala sufficienti ad ammortizzare i costi e a generare un qualche
profitto. Però, i sistemi di controllo di oggi sono disegnati
apposta per raggiungere automaticamente i livelli ottimali di
operatività a comando a distanza e per ricevere adeguato
e tempestivo feedback una volta terminato il compito. Sistemi
di questo tipo dovrebbero essere anche capaci di fornire sufficienti
istruzioni per una struttura senza manovratore, ma equipaggiata
completamente, e senza troppi costi addizionali.
Un impianto senza manovratore, sia che si utilizzi per lo stoccaggio
o per lo spostamento orizzontale dei containers, dovrebbe essere
rifornito di equipaggiamento necessario tale da renderlo capace
di conseguire gli adeguati livelli di posizionamento, di movimentazione
sicura e di affidabilità dal punto di vista operativo,
e di tutte quelle strumentazioni che gli permettano di muoversi
agevolmente e senza interferenze con gli altri veicoli.
In un terminal container già ben posizionato e operativo,
i costi e le difficoltà insite nell'automazione e, soprattutto,
nel dover operare uno switch tra veicoli a manovra manuale e veicoli
automatici, potrebbero sembrare insormontabili, anche se i calcoli
e le equazioni di costo affermassero il contrario. Se il layout
del terminal e il suo rapporto con le altre sfere degli affari,
ovvero la suddivisione fisica e tecnica dei compiti e delle mansioni
e la loro integrazione con i veicoli di nuova generazione non
si ottenesse, i veicoli automatici potrebbero costituire un ostacolo
allo sviluppo del terminal, ma non necessariamente un fattore
di blocco dello sviluppo nel lungo periodo.
Se queste limitazioni si possono superare, è il momento
giusto per un terminal di dotarsi dell'automazione, e tutto è
più facile se sono in cantiere adeguati piani di sviluppo.
Gli investimenti già effettuati in infrastrutture e in
equipaggiamenti non si possono però abbandonare, anzi si
deve ottenere un'integrazione tra le due cose.
Anche cambiamenti radicali come il riallineamento di alcuni degli
stacks può essere considerato, forse con l'uso continuo
di manovratori almeno fino a che tutta l'attrezzatura non sia
convertita all'automazione e non si siano adattate tutte le aree
all'azione sincronica in assenza di intervento umano esterno.
I passi in avanti da questo punto di vista in direzione dell'automazione
completa delle aree containers divengono poi automatici.
Per una nuova sart-up queste istanze non dovrebbero essere sollevate
almeno fino a che le idee e i piani non sono tutti chiari. Il
design del layout deve facilitare la segregazione più adeguata
tra le aree senza manovratori e quelle con interventi umani. Se
il tutto è portato a termine con coerenza e attenzione,
si possono ottenere risparmi notevoli in termini di costi di stoccaggio,
sempre a seconda del tipo di attrezzatura scelta e del metodo
di operatività pianificato.
La scelta in merito all'equipaggiamento dipenderà da un
certo numero di fattori, tra cui le implicazioni di ingegneria
civile che sono insite nell'operazione e il numero di punti di
manovra richiesti per fornire il livello di servizio target. L'illuminazione
della zona di lavori dovrebbe poter essere ridotta per la diminuzione
del personale nella maggior parte dell'area di stoccaggio. Appropriati
sistemi di computers e comunicazioni dovranno essere installati
per monitorare i containers del terminal e per fornire istruzioni
operative efficienti e aggiornate in tempo reale sulle attrezzature
di movimentazione dei containers. Con tutte queste infrastrutture
operative, il terminal dovrà scegliere se adottare una
strategia di innovazioni graduale, come è avvenuto al porto
sul Tamigi, oppure esplosiva, come all'ECT.
Se l'automazione portuale non è così proibitivamente
complessa come molti personaggi del mondo industriale ritengono,
ci dovrebbero essere altri fattori in gioco che navigano contro
il suo sfruttamento commerciale e la sua implementazione nei porti.
Negli anni Settanta e Ottanta softwares e sistemi di computing
adeguati non erano disponibili a costi realisticamente accettabili
o in tempi plausibili, ma ora la situazione è ben diversa.
In più, fino a oggi i pochi sistemi di gestione portuale
presi in considerazione non hanno rappresentato sufficiente volume
di mercato per incoraggiare i manifattori o i fornitori a investire
nello sviluppo di attrezzature e sistemi appropriati, o di dirottare
strumentazioni da altri settori, adattandole opportunamente, ai
porti. I pochi fornitori coinvolti nell'automazione portuale sono
apparsi impreparati a fornire risorse addizionali a un volume
di affari così limitato, oppure avevano accordi esclusivi
che impedivano loro di sviluppare intese collaborative con terze
parti potenzialmente interessate. In ogni caso, i prodotti erano
ancora molto in fase di sviluppo e sperimentazione, e non tutti
erano pronti per essere introdotti sul mercato e i prezzi non
erano proprio modesti e riflettevano gli elevati costi di sviluppo
e la posizione di monopolio e dominanza dei fornitori.
Tutto ciò ha implicato la creazione di pionieri che agivano
al limite con apparecchiature innovative o addirittura ancora
in fase di sviluppo o prototipi, che richiedevano lunghi tempi
di adattamento e sperimentazione prima di funzionare al meglio,
sotto il costante controllo di staff competente e altamente qualificato.
Fino a poco tempo fa erano pochi i porti a poter sostenere tali
spese e rischi, ma c'è evidenza empirica crescente che
la situazione sta per cambiare molto e sarà sempre meno
richiesto il pioneering.
Ogni terminal ha le sue peculiarità e i suoi propri problemi
e vantaggi, e punti di forza e debolezza. L'unica cosa in comune
è la necessità impellente di personale motivato
e qualificato, un fattore che ormai rappresenta l'ultimo blocco.
(da: Cargo Systems, Agosto 2001)
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