Gran parte del mondo dello shipping italiano era presente oggi a Genova al convegno "Portualità: autonomia e centralismo condizionamenti reciproci tra pubblico e privato", organizzato per l'inaugurazione dell'anno accademico 1997/98 del corso di laurea in Economia marittima e dei Trasporti della Facoltà di Economia genovese.
Sono saliti a bordo della motonave "Splendid" della Grandi Navi Veloci (Grimaldi Group), che ha ospitato la cerimonia, il ministro dei Trasporti e della Navigazione, i presidenti di molte autorità portuali e di associazioni marittime italiane, i rappresentanti di istituzioni pubbliche e degli imprenditori di tutti i comparti della portualità.
La manifestazione è stata introdotta da Antonio Pellizzetti, presidente dell'associazione culturale genovese "Il Leudo" che ha organizzato l'incontro. Un'appuntamento annuale in cui è diventato consuetudine tracciare, con relazioni di illustri ospiti, il quadro generale di aspetti del mondo dello shipping italiano: oggi è toccato alla portualità e al suo inserimento nello scenario marittimo mondiale.
Compito che ha affrontato il ministro Claudio Burlando con un lungo intervento che si è concluso con alcune indicazioni sui prossimi interventi governativi nel settore del trasporto.
L'assetto attuale delle attività nei porti, ha premesso Burlando, è quello definito dalla legge 84 del 1994 e giuridicamente "il ruolo centrale delle Autorità Portuali è abbastanza forte. Anche se l'attuazione della normativa non è uniforme nelle vari parti del Paese".
Esiste quindi attualmente una distinzione piuttosto precisa tra funzioni pubbliche e private sulle banchine. E' infatti competenza delle amministrazioni portuali, che sono pubbliche e tali devono per Burlando rimanere, garantire ai soggetti privati (terminalisti, società aeroportuali, operatori ferroviari, ecc.) di poter acquisire, secondo criteri di libera concorrenza, la gestione delle attività portuali e di poter operare secondo leggi di mercato.
Sono condizioni ora possibili che però non sono presenti in tutti i porti italiani. E' infatti "una situazione che non può essere cambiata in poco tempo", visto anche l'alto numero di addetti che coinvolge.
Se la separazione fra pubblico e privato in alcuni settori, come quello dell'autotrasporto, è già un fatto compiuto, si deve lavorare in fretta per creare le migliori condizioni di lavoro anche negli altri comparti del trasporto. La liberalizzazione completa delle attività del trasporto è ormai alle porte e tra poco, ha ricordato il ministro, "sarà possibile per un armatore olandese prendere un container e portarlo con propri servizi da Genova a Milano".
I problemi da affrontare sono riconducibili, ha sintetizzato Burlando, a tre principali aspetti del ciclo portuale:
- l'attività terminalistica
- i servizi portuali (pilotaggio, rimorchio, ecc.)
- la manodopera portuale
Da questi è parzialmente slegata, per la complessità delle competenze che coinvolge, l'attività del trasporto passeggeri.
Per i tre punti indicati è possibile trovare un accordo tra la funzione pubblica, svolta dalle Autorità o dalle amministrazioni portuali, e l'imprenditoria privata:
- Per le attività terminalistiche "la parte pubblica deve garantire intanto che si rendano disponibili questo tipo di servizi".
Si tratta di una situazione ottenibile con le attuali procedure di assegnazione delle concessioni. Tanto che ormai si è arrivati alla piena applicazione delle regole di mercato nei terminal italiani. "Si è infatti passati in pochissimo tempo dalla mancanza assoluta di concorrenza tra gli operatori, alla libera concorrenza tra soggetti nazionali, per giungere ora alla presenza nei porti italiani di imprenditori internazionali". Burlando ha ricordato che la ECT (Europe Combined Terminals) di Rotterdam ha già in concessione trentennale il terminal contenitori molo VII di Trieste. E che il gruppo Evergreen di Taiwan ha avanzato la richiesta per la realizzazione di un secondo container terminal a Gioia Tauro. Nonostante alcune difficoltà, il ministro ha sottolineato come nel complesso ci sia stato un positivo adeguamento alle regole del mercato da parte dei terminalisti italiani. "Un risultato raggiunto nonostante si tratti di imprenditori che operano, a differenza di quanto comunemente avviene all'estero, anche in altri segmenti del mondo portuale". - "Per quanto riguarda invece i servizi portuali non c'è conflittualità tra pubblico e privato quanto tra liberalizzazione e sicurezza. L'abbattimento dei costi, conseguente al processo di liberalizzazione, potrebbe infatti comportare il rischio della diminuzione dei margini di sicurezza nelle attività portuali. "Sono problemi su cui il governo intende intervenire con molta cautela e in cui si dovranno valutare attentamente ambedue gli aspetti". Il ministero, ha detto Burlando, dovrà inizialmente affrontare alcuni temi fra cui, ad esempio, il costo delle operazioni di rimorchio nei porti italiani.
- "Nel settore della manodopera portuale, inteso nel senso più classico, si sono svolti negli ultimi anni gli scontri più evidenti. Il problema ha radici nella legislazione di epoca fascista che aveva chiari intenti corporativi. Una visione delle attività portuali che si è progressivamente evoluta. Ora - ha proseguito il ministro - i terminal privati hanno la possibilità di assumere dipendenti". Ma l'attività dei terminalisti è comunque atipica, "principalmente perché deve far fronte a 'picchi' di traffico e a relativi momenti di stasi. Non è pertanto confrontabile con l'attività industriale, anche in considerazione del fatto che deve rispettare più di altri comparti produttivi determinati livelli di sicurezza e deve far fronte a condizioni di promiscuità, visto che le operazioni coinvolgono la presenza in ambito portuale di migliaia di persone. Non si tratta quindi di un'attività assimilabile a quella industriale e penso che non sia facile introdurre le normative per il lavoro interinale".
Burlando ha ricordato che il governo ha intanto 60 giorni di tempo per modificare la legge di riforma portuale in base alle indicazioni fornite di recente della Commissione Europea, che ha visto nella normativa italiana residui di monopolio per le operazioni in banchina. Secondo il ministro la riscrittura dell'articolo 17 della legge, e in particolare del terzo comma, costituisce la soluzione idonea perché la legge possa essere accettata in sede comunitaria.
Questi sono quindi i principali problemi che restano da risolvere nei porti italiani. "Scali che godono adesso di buona salute" come confermato, ha proseguito il ministro, da un indicatore importante: la movimentazione dei teu. In un anno è stato ottenuto un aumento di un milione di unità e in altri 12 mesi di un ulteriore milione e mezzo. Tanto che è consentita "la previsione dei 6 milioni di teu complessivi nel 2000".
"Uno sviluppo che ha consegnato ai porti italiani il ruolo di leader in ambito mediterraneo, se pur con risultati lontani da quelli ottenuti dagli scali del Nord Europa".
Oltre alle buone condizioni create all'interno del sistema nazionale, i porti italiani sono stati avvantaggiati "dalla liberalizzazione e dallo spostamento dei traffici marittimi.
Se prima Stati Uniti ed Europa erano i mercati dominanti, situazione che privilegiava gli scali nordeuropei, "ora il grande sviluppo economico dell'Estremo Oriente ha dato importanza, grazie a Suez, al Mediterraneo".
Una nuova dinamica dei traffici che, ha sottinteso il ministro, potrebbe durare a lungo, visto che "l'economia asiatica ha attraversato in questi giorni una crisi finanziaria, ma sicuramente non produttiva".
"Si è quindi modificato lo scenario dei traffici marittimi che non si servono più di navi giramondo, ma piuttosto di linee pendulum che hanno come centro l'Europa e, in particolare, l'Italia". Qui, fra l'altro, trovano "tariffe e rese competitive con quelle degli scali nordeuropei".
Affrontati quindi gli ultimi ostacoli legati agli esodi dei dipendenti degli enti portuali e all'istituzione del secondo registro marittimo, che il ministro ha assicurato risolvibili in poche settimane, bisogna far fronte "al vero problema, che è fuori dai porti ed è legato alla logistica, all'intermodalità, alle ferrovie, all'autotrasporto".
La razionalizzazione e il collegamento dei sistemi portuali ai mercati saranno i prossimi obiettivi del governo. E' indispensabile quindi procedere ad una concentrazione delle attività portuali e aeroportuali. "Non è necessario ad esempio disporre di tre terminal per il carbone tra Genova e Savona-Vado".
Sono temi che, ha concluso Burlando, potranno essere efficacemente affrontati da un'Authority del trasporto, di cui il ministro intende farsi promotore.
Il punto di vista delle Autorità Portuali italiane è stato delineato invece da Giuliano Gallanti, presidente dell'Authority genovese.
Le amministrazioni portuali gestiscono sostanzialmente - ha detto Gallanti - tre aspetti dell'attività negli scali:
- la regolamentazione
- la proprietà delle aree
- l'operatività
E la maggiore o minore presenza delle istituzioni pubbliche in queste funzioni indica il grado di privatizzazione raggiunto dal porto.
Quello di cui hanno urgentemente bisogno le Autorità Portuali è - "una volta definito che la gestione è dei privati" - che venga stabilito con chiarezza quali siano le funzioni degli enti portuali.
Gallanti ha quindi sostenuto con fermezza il ruolo pubblico dell'Autorità Portuale, ente che deve essere messo in condizione di imporre norme e regole. Non si tratta di creare vincoli all'impresa privata, ma casomai di porre giuste condizioni di concorrenzialità. "Non sono tanto le Autorità Portuali a chiedere questo, ma sono proprio i privati, visto che il problema delle regole esiste".
Il presidente della Port Authority di Genova ha quindi rivendicato l'autonomia finanziaria delle Autorità Portuali. Autonomia che è un fatto consolidato nel Nord Europa e che consentirebbe agli enti portuali italiani di stabilire autonomamente tasse portuali.
Gallanti ha concluso ricordando il ruolo importante che questi enti svolgono nella ricerca di un difficile equilibrio tra lo sviluppo dei porti e quello delle città, rapporto di coesistenza complesso soprattutto per quanto riguarda i porti storici.
"Un equilibrio va comunque trovato visto che, nonostante sia oggi possibile realizzare un porto in qualsiasi punto della costa come è successo per Gioia Tauro e Algeçiras, rimane importante il ruolo svolto dagli scali storici. Londra, ad esempio, è il centro dello shipping mondiale sebbene non abbia praticamente più un porto". Negli scali storici, ha concluso Gallanti, si accentrano e si sviluppano infatti quei ruoli di supporto alle attività portuali, che gli operatori richiedono e che mancano nei nuovi scali.
Nel corso della prima parte della manifestazione sono intervenuti il preside della Facoltà di Economia, Lorenzo Caselli, il presidente del Grimaldi Group, Aldo Grimaldi, e il presidente della Camera di Commercio di Genova, Gianni Scerni.
Dopo una pausa i lavori sono proseguiti con le relazioni dei professori Giorgia Boi e Pietro Genco dell'Università di Genova, che hanno trattato il tema del convegno dal 'punto di vista del giurista' e di quello 'tecnico-aziendale'. Paolo Cuneo, assessore dell'A.L.C.E., ha invece parlato del 'punto di vista della merce' e Luigi Negri, presidente della Terminal Contenitori Porto di Genova, di quello del 'terminalista'.
Sono seguiti gli interventi di Marino Abbo, presidente dell'A.L.C.E., di Antonio Cosulich, presidente dell'Assoagenti, e di Gianni Cuttica, presidente della Spediporto.
Al dibattito conclusivo hanno partecipato Francesco Nerli, presidente di Assoporti, i professori Renato Midoro e Liana Fadda, dell'Università di Genova, e i presidenti delle Autorità Portuali di Trieste, Michele La Calamita, Savona, Giuseppe Sciutto, La Spezia, Giorgio Bucchioni, Livorno, Nereo Marcucci, e Cagliari, Italo Ferrari.
Bruno Bellio
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